La città della vittoria

La città della vittoria

Buongiorno, lettori! Esce oggi il nuovo romanzo di Salman Rushdie: La città della vittoria ( traduzione di Stefano Mogni e Sara Puggioni) ed edito da Mondadori.


Nell’India del XIV secolo, dopo una sanguinosa battaglia tra due regni ormai dimenticati, una bambina di nove anni ha un incontro divino che cambierà il corso della storia. La giovanissima Pampa Kampana, distrutta dal dolore per la morte della madre, diventa un tramite per la dea sua omonima, che non solo inizia a parlare attraverso la sua bocca, ma le accorda enormi poteri e le rivela che sarà determinante per la nascita di una grande città chiamata Bisnaga (letteralmente “città della vittoria”). Nei 250 anni successivi, la vita di Pampa Kampana si intreccia profondamente con quella di Bisnaga: dalla creazione resa possibile grazie a un sacchetto di semi magici alla tragica rovina provocata dall’arroganza dei potenti. E sarà proprio il racconto sussurrato a mezza voce dalla nostra eroina a dar vita, via via, a Bisnaga e ai suoi cittadini, nel tentativo di portare a termine il compito che la dea le ha assegnato: garantire alle donne un potere paritario in un mondo patriarcale. Ma tutte le storie hanno un modo per rendersi indipendenti dal loro creatore, e Bisnaga non farà eccezione. Con il passare degli anni, con l’avvicendarsi dei governanti, delle battaglie vinte e di quelle perse, il tessuto stesso di Bisnaga diventa un arazzo sempre più complesso, al centro del quale resta però comunque la nostra eroina. Brillantemente strutturato come la traduzione di un’antica epopea, La città della vittoria è una saga di amore, avventura e mito e una testimonianza del potere della narrazione.


Le parole sono le uniche vincitrici.

A duecentoquarantesette anni, cieca ma non per questo al buio, la poetessa Pampa Kampana, finalmente, conclude la mirabile vita che l’ha vista due volte regina, madre di un regno, sussurratrice, creatrice di re, e , all’inizio di tutto, figlia e testimone di un suicidio di massa devastante.

Siamo in India, nel XIV secolo: Pampa Kampana è una bambina quando la guerra per la prima volta – ma non ultima – cambierà il corso di una vita tutto sommato pacifica, condotta con la madre che eredita il mestiere del marito morto e lo tramanda alla figlia, quello di vasaio. Ma quando le notizie della guerra e della morte degli uomini spingono tutte le donne, madre compresa, a gettarsi letteralmente nel fuoco, Pampa Kampana è sola. La madre non ci ha pensato due volte a lasciarla a sé stessa, bambina, senza un futuro. E’ la dea che allora diviene sua madre e la salva, con un dono che sa anche, però, di maledizione. Pampa sboccia ma non invecchia, prevede il futuro, può creare la sua città; ma il dono nasce dal dolore, dalla perdita e dal lutto, non è premio di gioia ma sgorga dalle ferite e dall’olezzo di morte. Per lungo tempo, la giovane resta muta e sperimenta l’abuso di un uomo considerato dagli altri pio e devoto, sacro, che di notte si sollazza con una Pampa silenziosa a cui da un nuovo nome. E poi, quando arrivano due mandriani che hanno dovuto mascherarsi per non morire, Pampa ritrova la parola e, con il piglio che il lettore imparerà ad associarle, chiude quella parte di vita che non può essere definita infanzia per le cose che ha visto, e diviene madre di un impero, anzi, dell’impero più potente del suo tempo, di cui, purtroppo, non si conservano tracce …

Motore, fulcro potente, oggetto desiderato e bramato, Pampa è catalizzatrice di ciò che avviene nel suo romanzo: è voce narrante dalle pagine del poema che lei stessa, cieca, ha composto per far sì che nulla venisse dimenticato, e che, con un espediente narrativo, l’autore ci ridona. Pampa è una donna decisamente sui generis: modernissima per il suo tempo, al punto che in un passaggio le viene detto che forse lo è troppo per il XIV secolo e lei risponde che allora nella sua terra potranno far finta di trovarsi già nel secolo successivo ( capito che tipa?!), lotta per l’indipendenza del mondo femminile. A tratti potrebbe sembrare cinica e poco sensibile a ciò che le accade attorno ma in fondo c’è da considerare che lei sa già quale sarà la sua e l’altrui fine: amare sapendo che l’amato – o le amate figlie ad esempio – moriranno e lei sopravvivrà, non è facile. Ma cosa vuole davvero Pampa? Lotta per l’equità e la parità di genere. Sussurra ai primi uomini e donne che crea dai semi della dea che sparge per il mondo, e sussurra con la speranza di creare un mondo di giustizia … finendo per scontrarsi con alcune verità: i sussurri sono facili quando vengono rivolti a gusti vuoti, ma quando sono stati riempiti, cambiare la direzione generale con i sussurri non è pratica fattibile. Gli uomini tenderanno sempre al potere; l’invidia, il rancore, l’odio sono sentimenti da cui nessuno è immune, come pure la vanità e Pampa lo sperimenterà sulla sua pelle.

Vuole essere re, e ci prova. Non regina, badate bene. Non consorte né reggente, ma re. E ci prova per ben due volte e fallisce. Ci prova con l’imposizione e lavorando ai fianchi, ma viene smascherata.

A volte additata come megera, strega, meretrice, a volte osannata e venerata come madre, non raccoglie forse in sé le visioni del mondo circa la figura femminile? Incredibile come raccontando un mito, una storia di duecentocinquant’anni, l’autore parli di una storia senza tempo e senza spazio, o meglio di tutti i tempi e spazi. Parla di oggi come di ieri. Parla delle difficoltà delle donne, ma parla anche della ricerca del potere, della sua formula perfetta, parla delle pressioni sociali, parla della ricerca di una casa, parla di stranieri. E lo fa con un simbolismo potente ma mai complesso, anzi. Il linguaggio adoperato è immediato, sebbene i nomi da ricordare, imparare, sono tanti e spesso molto simili tra loro, ma è comprensibile considerando l’ambientazione del testo. Si gratta sotto la superficie e, come ci consiglia l’autore stesso riferendosi magari alle piccole incongruenze del racconto di Pampa Kampana sull’età di alcuni personaggi, ci si lascia guidare, si gode il viaggio nella storia, tra re ed elefanti, tra modernità e passato. Da notare, a mio avviso, anche la vena ironica e divertente di alcuni passaggi: l’ironia è sottile, elegante e intelligente, come la prosa e i personaggi che l’autore ci consegna in questo viaggio tra territori da conquistare, eredi maschi da mettere al mondo, veleni da schivare, e donne da amare.

-copia per la recensione fornita da Mondadori

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