Addio, Sweet Mister

Addio, Sweet Mister

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Addio, Sweet Mister, scritto da Daniel Woodrell (traduzione di Marcella Dallatorre) ed edito da NN Editore che ringrazio per la copia.


Shuggie è un tredicenne sovrappeso e solitario; vive ai margini di West Table con la madre Glenda e si occupa del cimitero locale. Il patrigno Red, uomo ottuso e brutale che vive di piccoli crimini con assoluta disinvoltura, gli impone di rubare medicinali nelle case di gente ricca e malata. Glenda è l’unica scintilla di bellezza nella vita di Shuggie: la donna, sensuale e appariscente, tratta il figlio come il fidanzato che avrebbe sempre voluto, lo chiama affettuosamente “Sweet Mister” e gli promette un futuro migliore. Un giorno arriva Jimmy Vin Pearce, smagliante a bordo della sua Thunderbird verde, che convince Glenda di poter davvero cambiare vita. Ma Shuggie si infiamma di un’accecante gelosia, che minaccia di inghiottire le loro vite.

Dopo La versione della cameriera e Tomato Red, Daniel Woodrell torna a WestTable, dove i bambini crescono in fretta e gli adulti cercano le tracce dell’innocenza perduta sul fondo di un bicchiere di bourbon. Addio, Sweet Mister è una storia amara e commovente, in cui con memorabile saggezza Daniel Woodrell mostra la tenace ambiguità delle passioni familiari, e le precarie linee di confine tra l’amore e la violenza.


Shuggie ha tredici anni, vive a West Table con la bellissima madre, Glenda, e il padre, un uomo poco raccomandabile che si colloca ai margini della legalità, Red. Glenda è miracolosamente riuscita ad ottenere un posto di lavoro presso il cimitero cittadino e lei e Shuggie vivono lì; il figlio, sovrappeso, narratore incessante in prima persona della sua storia, l’aiuta con i lavori. Farebbe di tutto, credo, per risultare più grande, più uomo agli occhi di una madre con cui intesse un rapporto patologico, insano, perverso. Lei lo tratta non come un figlio e il figlio stesso più volte rimarca l’incredibile bellezza, eleganza, innata seduzione di una madre giovanissima che indossa shorts e vestiti leggeri, che beve un the speciale e condivide col figlio le sigarette. I due si barricano in una sorta di rapporto inaccessibile: Shuggie non ha amici, il suo unico riferimento è questa madre che adora ma non riesce a capire fino in fondo. Perché non lascia finalmente Red, abusante, violento verbalmente e fisicamente, criminale? Stretti in un doppio legame, chi è il genitore di chi? I ruoli sono fusi su così tanti piani che, quando alla fine del libro la situazione degrada verso un evento quasi inevitabile, le parole, i gesti, hanno l’effetto di una bomba che esplode; Glenda poteva reagire diversamente? Pur filtrata attraverso lo sguardo innamorato del figlio, Glenda è un personaggio complesso, che a tratti mi ha impietosita; una donna palpeggiata, sognatrice, illusa, forse innamorata dell’amore, che si attacca con le unghie e con i denti ad un figlio che credo rappresenti per lei altro, a partire da quel nome che decide di dargli e che le ricorda un passato lontano, nebuloso, forse l’unico in cui è stata felice. Una donna abusata e sottilmente abusante nel rapporto con un figlio sovrappeso che lei nutre, non solo di cibo ma di parole, sguardi, silenzi che lo caricano di una certa idea di sé, di virilità. E come può esprimersi la virilità se non in quel modo? Prendendo ciò che crede suo o quantomeno “di tutti” ( terrificante ciò che Shuggie scarica addosso alla madre con così poche parole), e togliendole tutto? Da vittima a carnefice, ecco in cosa si trasforma Shuggie, solo, senza amici con cui parlare, coinvolto in quelle “robe da uomini” che Glenda deve sicuramente conoscere e da cui non protegge il figlio, lo accusa lui; e come potrebbe proteggere qualcuno quando la prima ad essere umiliata e manipolata e brutalizzata è lei? Costretta a farsi toccare davanti al figlio, ma senza spezzarsi almeno fin quando la speranza di una possibilità viene definitivamente recisa di netto. Dal racconto di Shuggie, Glenda sembra essere sempre leggera nonostante tutto, ma sarà davvero così?

Madre e figlio dialogano come due adulti, lui vede in lei cose che vorrebbe dimenticare e lei vede in lui una bellezza pronta a sbocciare a fronte delle parole terribili con cui lo appella il padre, Red, e anche altri personaggi; “ciccione”, anche se questa parola non sembra avere effetti su di lui né ne produce sulla madre che continua a chiedergli se voglia degli spuntini. Finge di non vedere, Glenda, o la situazione di Shuggie è funzionale al loro rapporto disfunzionale? Quale vita è stata quella di un tredicenne che può bere e fumare con la madre, che deve fare il lavoro duro per lei ed essere ricompensato con languidi sorrisi, costretto a rubare e a vivere in quest’atmosfera familiare fatta di terrore e rabbia?

Camminavo da solo, liberando le mie urla. Urlavo per cose che credevo di aver dimenticato. Urlavo passando davanti ai recinti pieni di mucche sulla strada bruciata dal sole. Parti di me che non capivo si sciolsero ostruendomi la gola.

Shuggie ha dovuto essere sempre altro: un ricordo, un fantasma, un ideale. Mai se stesso, un ragazzino di tredici anni. Mai nessuno che gli abbia chiesto dei suoi sogni, dei suoi desideri. Bloccato, agonizzante, condannato, come le rane che Carl tortura, non ha possibilità di sperare in qualcosa di diverso da West Table e quella vita ed ecco che perversamente costringe l’amata madre allo stesso destino.

Dal ritmo ipnotico, una scrittura magistrale che denuda le contraddizioni e le ambiguità di quei rapporti famigliari in cui amore e odio si fondono così come i ruoli: adulto-bambino, genitore-figlio, figlio-amante idealizzato, fino a non sapere più chi si è davvero, fino ad aderire a una nuova versione di sé, pur di mantenere l’equilibrio precario intatto. Shuggie fa di tutto per impedire alla madre di andare via, dove con la partenza non solo lui rimarrebbe solo alla mercé di una vita che senza Glenda non ha senso, ma lei si emanciperebbe, fuori dal suo controllo; si trasforma, alla fine, in un uomo non dissimile dal padre – se è vero che lo è – Red, e nonostante questo non ho potuto che provare un moto di affetto per questo ragazzino lasciato a se stesso, a rubare medicine, a occuparsi di una madre sull’orlo di una crisi depressiva, senza più riferimenti se non quel legame distorto e perverso con la bella Glenda dai capelli corvini e gli occhi azzurri. Una storia oscura ambientata in un’America dove l’illegalità è quasi normale non solo per Red e Basil, soci in affari sin dalle scuole medie, ma anche per l’anziana nonna di Shuggie che colpisce la segnaletica stradale ed è convinta di aver ragione; un’America fatta di sopravvivenza e espedienti, di gioco d’azzardo e alcol, di parole brutali e rovi di more, cantante da una penna incredibile, capace di punte liriche e di brutali verità.

Condividi:

Leave comment

Your email address will not be published. Required fields are marked with *.