Donne medievali – Sole, indomite, avventurose

Donne medievali – Sole, indomite, avventurose

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del volume Donne medievali – Sole, indomite, avventurose, scritto da Chiara Frugoni ed edito da Società Editrice IlMulino, che ringrazio per la copia.


«Ma d’ongni chosa mi darei pace, pure che fosi chognosciuto la metà di quello ch’io fo» Margherita Datini, lettera del 28 agosto 1398

Nella società medievale, guerriera e violenta, la presenza femminile rimane in ombra: le donne, per lo più analfabete e sottomesse, offese e abusate, a volte addirittura considerate specie a parte rispetto agli uomini, come gli animali, non hanno voce. A meno di non essere obbligate al monastero, dove possono vivere in modo più dignitoso, imparando a leggere e scrivere. Da dove viene tanta misoginia? Una volta affermatosi il celibato dei preti con Gregorio VII, ogni donna è una Eva tentatrice, non compagna dell’uomo ma incarnazione del peccato da cui fuggire. Eppure, da questa folla negletta emergono alcune personalità eccezionali, capaci di rompere le barriere di un destino rigidamente segnato. Illuminate dalla finezza decifratoria di Chiara Frugoni, oltre che da un bellissimo corredo di immagini, incontriamole: sono monache e regine come Radegonda di Poitiers, scrittrici geniali come Christine de Pizan, personaggi leggendari come la papessa Giovanna, figure potenti come Matilde di Canossa, donne comuni ma talentuose come Margherita Datini. Tutte hanno scontato con la solitudine il coraggio e la determinazione con cui hanno ricercato la piena realizzazione di sé.

Chiara Frugoni ha insegnato Storia medievale nelle Università di Pisa, Roma e Parigi. Tra i suoi numerosi libri segnaliamo, per il Mulino, «Vivere nel Medioevo. Donne, uomini e soprattutto bambini» (2017), «Uomini e animali nel Medioevo. Storie fantastiche e feroci» (2018), «Paradiso vista Inferno. Buon governo e tirannide nel Medioevo di Ambrogio Lorenzetti» (2019), «Paure medievali. Epidemie, prodigi, fine del tempo» (2020). I suoi saggi sono tradotti nelle principali lingue europee, oltre che in giapponese e in coreano.


Illuminante, riccamente corredato da note e illustrazioni d’epoca, il volume offre uno spaccato interessante sul ruolo della donna nel Medioevo partendo dal racconto di cinque figure d’eccezione: Radegonda, monaca ex regina, Matilde di Canossa e la papessa Giovanna, due donne “potenti e sole“, Christine de Pizan, indomita donna indipendente che si mantiene con la sua produzione di scrittrice, e Margherita Datini, moglie innamorata del marito mercante e che per necessità passa da analfabeta a donna avveduta capace di gestire casa, traffici del marito. Ma per parlare delle figure femminili nel Medioevo occorre un adeguato contesto storico culturale al fine di meglio comprendere non solo ciò che queste donne potevano fare, le loro aree di manovra, ma anche il perché sono state scelte dall’autrice come rappresentanti del mondo femminile in un’epoca maschile e maschilista, nella quale la donna, lungi dall’essere autonoma e indipendente, era mero apparato dell’uomo, alla stregua di una proprietà, pedina di matrimoni se ricca.

Come sottolinea l’autrice, dobbiamo cancellare l’idea romantica che il matrimonio a quel tempo nascesse da affetto e per amore: spesso le figlie femmine erano destinate in tenerissima età a matrimoni politici, alleanze di potere, e altrettanto frequentemente erano costrette, se restavano vedove, a risposarsi più e più volte, per garantire l’accesso a proprietà economiche. Il matrimonio passa dall’essere laico (“affare privato“) a sacramento celebrato da un sacerdote; allargando lo sguardo, l’autrice ci invita a riflettere su come l’influenza della Chiesa, una lettura delle Scritture, la decisione combattuta per il celibato del sacerdote, abbia contribuito a veicolare una certa immagine della donna, a cui ha fatto seguito non solo un certo tipo di comportamento verso le donne da parte degli uomini ma anche una precisa visione che le donne hanno avuto di se stesse. Il corpo femminile diventa il corpo di Eva, tentatore, “biondo“, seduttore, il cui sesso per sua stessa natura portava alla lussuria, al peccato; un corpo debole e da sottomettere, da guidare perché incapace; un corpo da non educare alla lettura e alla scrittura a meno che la sua vita non fosse legata al monastero, “isola felice“. La Chiesa presenta in modo diverso gli uomini dalle donne, quest’ultime impossibilita ad accedere al sacro, al sacro, peccatrici “perché già il loro corpo le porta inesorabilmente alla trasgressione“.

Radegonda, orfana e prigioniera perché bottino di guerra, va in sposa a Clotario I, figlio di re Clodoveo, ma sin dalla più tenera età mostra spiccati tratti di una personalità in comunione col divino, ascetica, spirituale, al punto che, andando contro anche alle rigide regole sul vincolo matrimoniale, abbandona il marito per diventare badessa e poi chiudersi definitivamente in monastero; la ritraggono due biografie dell’epoca molto diversi per interlocutori e intenti e una biografia per immagini. Ne emerge una donna sicuramente forte, dalla determinazione ferrea, religiosa, ma anche politica, attiva sul piano sociale, dotata di spirito e attenta ai piaceri della vita. Una donna potente che rifugge però l’uso autoreferenziale del suo titolo e della sua posizione mettendosi al servizio degli altri; una santa amata e pianta dalla sua gente.

Nata nel 1046, forse a Mantova, figlia del signore di Canossa e di un discreto altro numero di territori, marchese di Toscana e di Beatrice di Lorena, Matilde diviene orfana di padre giovanissima. Il padre è descritto come uomo violento e pieno di nemici che potrebbero appunto averlo assassinato così come in circostanze misteriose, Matilde perde subito dopo fratello e sorella maggiori; alla ricerca di protezione, la madre di Matilde finisce in Germania, sposando Goffredo in nozze politiche che perseguono legando il destino proprio della giovane Matilde e del figlio di Goffredo, Goffredo il Gobbo. Cresciuta nel periodo in cui veniva abolita sia la simonia che il matrimonio del clero, Matilde e la sua nuova famiglia hanno influenzato e appoggiato tali decisioni per ampliare il loro potere, stretti in un doppio legame con la Chiesa stessa, bisognosa dell’appoggio di famiglie nobili e potenti. Come Radegonda, anche Matilde abbandona il marito, senza eredi, e torna in Italia dove la madre, possidente e influente, ha fondato un monastero per la figlia; forte anche dell’appoggio papale, probabilmente di facciata e convenienza, Matilde resiste alle pressioni del marito e non cede, restando in Italia con la madre. La figura di Matilde diviene centrale in questo momento storico in cui la Chiesa lotta per affermare se stessa: è emblematico notare che per i suoi detrattori, ella era una donna e in quanto tale peccatrice, ma per i suoi ammiratori le sue qualità sono “virili“, come a dire che da donna comunque non vale. Mediatrice e ambiziosa, subisce la situazione politica voluta dal sovrano Enrico IV, costretta a spostarsi, a scontri armati e sconfitte, con la perdita anche dell’ amicizia papale: cosa le rimaneva se non tentare un nuovo matrimonio? Fallimentare anche questo, Matilde rivolge il proprio operato al pubblico divenendo attiva e generosa mecenate delle terre a lei vicine, una donna “potente e sola, un destino subìto e voluto“.

Mai esistita eppure ugualmente terrificante per la Chiesa misogina e maschilista è la figura di Giovanna la papessa, scoperta perché in procinto di partorire e destinata quindi alla morte dopo aver assunto sembianze maschili fino ad assurgere al papato stesso; la sua storia si lega anche a quella di Cristina, o come lei volle essere chiamata, Christine de Pizan, figlia di un astrologo che cede alle lusinghe della corte parigina e vi si trasferisce con i figli ( da qui il nome francesizzato). Infanzia felice e agiata, fu un “maschio mancato” : il padre infatti voleva moltissimo un maschio e pur avendo generato una femmina, la figlia gli somigliava moltissimo in spirito e fisico. Forse, questa somiglianza funse da specchio per l’astrologo che orgoglioso dell’intelligenza vivace di Christine le insegnò a leggere e scrivere a discapito del volere materno. Nonostante ciò, Christine rimpianse per tutta la vita l’istruzione parziale: il padre sì era stato lungimirante ma non abbastanza da contravvenire in toto ai dogmi dell’epoca. Figlia e moglie di uomini poco previdenti, rimasta sola, vedova con figli a carico, madre e nipote, Christine deve destreggiarsi tra una situazione economica infelice e diversi processi giudiziari, creditori; l’amarezza e la disperazione per la situazione cui si aggiunse la separazione dagli amati fratelli, ebbe su di lei l’effetto di un motore spingendola a divenire autonoma e indipendente attraverso la scrittura. Fu la prima donna a vivere dei proventi delle sue opere: iniziò a comporre poesie dedicandole a nobili della corte che grazie al padre aveva frequentato, si istruisce, lavora, abile nel farsi conoscere e creare uno spazio per la sua voce. Non si nasconde, non nasconde le proprie opinioni anche di contrasto, scatenando polemiche e dibattiti; si fa promotrice di se stessa, consapevole del proprio valore e da voce alle donne del suo tempo. Affascinata dalla sua contemporanea eroina Giovanna d’Arco, Christine è una donna di spessore, colta, una figura da scoprire. Quarantuno anni lui, sedici lei: sono Francesco Datini, mercante toscano e Margherita, una fanciulla che “portò in dote solo giovinezza e molte qualità“. La giovane moglie e il marito, spesso via per lavoro e per altri lidi, si scambiano una lunga corrispondenza attraverso la quale ricaviamo uno spaccato della vita quotidiana di Margherita, sottoposta ad angherie e offese per la sua infertilità probabilmente dovuta a un’endometriosi. Lungi dall’essere compresa, Margherita viene anzi doppiamente ferita quando il marito avrà un figlio illegittimo con una schiava proprio in casa sua. La questione della mancanza d’un erede segna negativamente i rapporti tra moglie e marito, con sensi di colpa della prima e avventure, figli illegittimi del secondo; criticata dal marito che le lascia ogni incombenza riguardante la casa, Margherita appare comunque brillante e sfida apertamente il marito quando già adulta decide di imparare a leggere e scrivere per evitare che la sua corrispondenza con Francesco avvenga per mezzo di scrivani. Una donna che non ci sta ad essere assoggettata del tutto al marito, consapevole di se stessa, delle sue fragilità e di quanto il mondo attorno a lei sia pronto ad usarle per ferirla, ma non si lascia abbattere, pur rimanendo sensibile.

Puntuale e critico, lo sguardo dell’autrice ci restituisce un mondo complesso e complicato per la donna ( così come per i bambini), merce di scambio e in ombra fino a miglior destinazione d’uso; bisogna cercarle ma le voci di donne che emergono ci sono, sgomitanti e fulgide nelle loro esistenze, l’autrice ne traccia storie e ritratti, le immaginiamo in quell’universo così distante temporalmente dal nostro ma la questione del ruolo femminile, purtroppo, è tutt’altro che passata.

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