Un bacio prima di morire

Un bacio prima di morire

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Un bacio prima di morire, scritto da Ira Levin (traduzione di Daniela De Lorenzo) ed edito da Edizioni Sur che ringrazio per la copia.


I destini di una ricca famiglia newyorkese e di un arrampicatore sociale piacente e spregiudicato si intrecciano quando Dorothy, la figlia più giovane del magnate del rame Leo Kingship, si innamora di un compagno d’università di qualche anno più grande. Qualcosa va storto, però, perché Dorothy resta incinta prima del matrimonio, e i due ragazzi sono costretti a rivedere i loro piani per il futuro. Quello che Dorothy non sa è che i piani del suo fidanzato sono già fin troppo dettagliati, e inclinano pericolosamente dalla parte del denaro più che da quella dell’amore… 

Un bacio prima di morire è il primo romanzo nato dalla penna (e dal genio) di  Ira ­Levin, l’autore di Rosemary’s Baby. Accolto alla sua pubblicazione, nel 1953, dagli elogi del New York Times e del New Yorker, fu premiato l’anno seguente con un prestigioso Edgar Allan Poe Award; nel corso degli anni la sua perfetta trama «hitchcockiana» ha ispirato due fortunate trasposizioni cinematografiche, la più recente, nel 1991, con Matt ­Dillon, Sean Young e Max von Sydow.


Lei, terzogenita del magnate del rame. Lui, figlio unico di un addetto alla lubrificazione. Lei abbina fazzoletto all’abito; lui è cresciuto in un sobborgo. Lui ha sempre ottenuto buoni voti a scuola, soprattutto quando gli affiancano al banco una ragazza “bruttarella ma brillante”: il ragazzo piace, piace perché è bello, educato, attento, dice la cosa giusta al momento giusto e si adatta fluidamente ad ogni interlocutore. Sua madre lo venera, suo padre è un pò più riluttante a farlo ma finisce con il trattarlo anche lui “come un dio”, sebbene litighi spesso con la moglie proprio per il denaro che la donna da al figlio per il suo abbigliamento. Il futuro si apre radioso dinanzi a lui, nonostante l’esperienza della guerra, da cui si porta a casa due medaglie e il disprezzo per la paura del nemico: torna a casa, si scopre orfano di padre, rifiuta proposte di lavoro. Per lui c’è di meglio, lo sa: c’è New York, gravida di possibilità e ricchezze. Ma i mesi scorrono, e lui sembra impantanato in una vita che puzza di mediocrità: non può permetterlo, non proprio lui. Stila un elenco delle sue doti, si iscrive a una scuola di arte drammatica ma l’entusiasmo scema presto quando si rende conto della mole di lavoro che gli viene richiesto per migliorarsi. Lui, che scopre di avere qualcosa da dover migliorare! Frequenta una vedova benestante da cui si fa in pratica mantenere ma la relazione ha vita breve: la vedova è avvezza a cambiare frequentemente “giovanotti”. Ironicamente, lui si rende conto che è l’ennesimo lavoro senza sbocco, senza futuro. Si iscrive quindi alla Stoddard, in Iowa, dove conosce e frequenta prima la figlia di un noto imprenditore di macchine agricole, poi, Dorothy Kingship. Il suo personale biglietto per l’Olimpo della ricchezza. Il suo progetto è semplice: farsi conoscere dal futuro suocero e guadagnarsi un posto nella sua società, se non fosse che la bella Dorothy si arroga il diritto di rovinare tutto … Lui scopre in sé una rabbia cieca e furibonda che chiarisce sin dall’incipit del romanzo: come si è permessa, lei, di mandare all’aria i piani ben congegnati per una vita felice e soprattutto ricchissima? Ma lui non è un personaggio incline all’autocommiserazione, come si accorge ben presto il lettore, ha subito in mente un piano: le cose che accadono sono appunto solo cose, meri ostacoli sulla sua personale strada per l’arrampicata sociale che nessuno può impedirgli. La caparbietà non gli manca di certo: decide di agire in prima persona di agire, senza contare sugli altri. Pericolosamente in bilico tra l’apparenza che deve mantenere con la fidanzata e i piani di morte, orchestra un piano all’apparenza perfetto: nessuno mai scoprirà nulla, nessuno potrà collegarlo a Dorothy … a meno che …

Lui proprio non ci sta a lasciar perdere questa famiglia: i soldi sono un lasciapassare troppo invitante. Come un abile camaleonte, lo ritroviamo alle prese con Ellen, la sorella secondogenita di Dorothy: nuova università, stesso copione. Lui aderisce perfettamente all’ideale della ragazza, grazie ai racconti della sorelle Dorothy, se non fosse che anche Ellen decide di rovinare tutto quando si mette in testa di capire cosa sia successo alla sorella. Così Ellen torna alla Stoddard, e cerca il ragazzo che stava frequentando la sorella piccola convinta di riuscire a scoprire qualcosa degli ultimi momenti di vita di Dorothy: perché ha chiesto ad una quasi sconosciuta una cinta da abbinare al suo abito quando ne possedeva una identica e nuova? Perché non ha abbinato il fazzoletto al suo vestito? Perché ha comprato dei nuovi guanti? Coincidenze o indizi?

L’accanimento folle di Bud, però, non si ferma: resta solo la sorella maggiore, diversissima da Ellen e Dorothy, ma ormai è in gioco, che tripletta sia. Così parte alla conquista di Marion, vulnerabile: per la prima volta qualcuno sembra davvero accorgersi di lei, vederla per quello che è, condividere le passioni che l’hanno sempre definita diversa rispetto alle esuberanti e bellissime sorelle. Che importa se Bud, affascinante, poetico, amante dei quadri, ha avuto un flirt con Ellen: lui giura e spergiura di non aver mai amato prima. Solo Marion. E grazie a lei, finalmente Bud conosce il padre, Leo, il magnate! Leo è un uomo che ha allontanato la moglie, ha perso due figlie in circostanze dolorose: gli è rimasta solo Marion e farebbe di tutto per accontentarla, per non perderla, anche sopportare il suo futuro marito che a lui pare un perdigiorno, ma per amore di Marion lo accetta, gli offre un posto prestigioso nella sua azienda. Che momento incredibile per Bud! I suoi sogni finalmente si avverano, e che segreto godimento vedere la faccia di sua madre dinanzi alla ricchezza della sua futura moglie! E’ arrivato in cima al tetto del mondo, rappresenta la quintessenza dell’uomo che ce l’ha fatta. Non riesce nemmeno a definirsi criminale: quando si pensa come assassino, intimamente è piacere che prova assaporando quella parola, un piacere edonistico, di autocompiacimento. Anche in questo ce l’ha fatta: nessuna traccia, nessuna impronta, nessun collegamento. Certo, ha dovuto dire a Marion delle cose, avrebbe preferito non farlo ma avrebbe altresì destato troppi sospetti. Ci sono momenti in cui una certa sincerità è doverosa, anche se faticosa. Bud sembra aver considerato tutto nel suo piano, eppure gli sfugge la cosa meno ovvia per lui: qualcuno può agire mosso da un autentico interesse per una di queste sorelle, qualcuno può davvero volere la verità. Personalmente, arrivata alla fine del libro mi sono chiesta come mai questo padre così potente abbia accettato quasi passivamente la morte di ben due figlie e abbia avuto bisogno di più e più prove, e di una terza persona estranea alla faccenda, per mettere in dubbio qualcosa che nel profondo lui aveva già messo in dubbio.

Con una penna ipnotica, l’autore ci regala una storia di suspence e di immoralità: non nego di aver avuto momenti durante la lettura in cui ho percepito una certa dose di angoscia e altri in cui mi sono sentita in scacco, oppressa da questa figura pericolosa a cui sembra andare tutto bene; un uomo che con un paio di sorrisi e di bugie ben piazzate riesce a mettere in pericolo tre donne, tre sorelle, convinte di aver trovato l’uomo perfetto e invece alla mercé di un arrampicatore sociale interessato egoisticamente solo a se stesso. La cosa che mi colpisce è che Levin descrive un uomo manipolatore incapace di provare empatia, un personaggio cattivo fino alla fine, che si “merita” il finale, anzi, appena terminata la lettura avrei voluto che Bud la pagasse ancora e ancora ma poi mi sono accorta che questo finale è perfetto per una storia calibrata in maniera eccelsa: in una sorta di inquietante parallelismo, nelle battute finali, Leo e gli altri personaggi si ritrovano a dover gestire loro le conseguenze di una vita di menzogne e di criminalità, decidendo se perpetrare il lascito di Bud o se dire una verità così perversa e anche spiacevole per Leo stesso, gabbato tre volte. Bud fa leva sulle fragilità di queste tre giovani donne, che sembrano quasi passare dalla rigidità paterna ad una libertà anche economica difficile da gestire diventando le vittime di un predatore dalla bellezza mozzafiato e con un sangue freddo notevole; l’intento criminale di Bud, infatti, non viene minimamente scalfito neanche da un minimo accenno di rimorso, che testimonierebbe una certa moralità da parte sua, anzi, il fatto di non essere stato scoperto la prima volta lo rende più audace, fiero, indomito. Nulla potrà mai davvero accadergli, lui è l’eccezione che conferma le regola. Bud è figlio del suo tempo e di una società dove il denaro, la posizione, contano più del resto e dove l’ambizione spinge a fare qualunque cosa, a usare tutto e tutti per il proprio tornaconto. Narcisista convinto, Bud è francamente l’uomo peggiore che possa capitare. Due passaggi mi hanno colpito, in particolare: quando sta per compiere il suo primo crimine, Bud sente di avere il “diritto” di prendersi il suo tempo per uccidere perché la vittima si è addirittura permessa di fargli passare una settimana intera a “logorarsi i nervi”; c’è in Bud un’invidia profonda del mondo di Dorothy che la ragazza, perversamente, deve espiare. Dorothy deve pagare il privilegio della ricchezza paterna, lei che non sa cosa voglia dire essere poveri. Altro momento topico è il finale quando Bud per la prima volta in vita sua, forse, si disprezza ma anche in quel frangente non può dirsi certe cose e così le sublima nel ricordo di quel nemico ucciso in guerra, coi pantaloni macchiati dal segno della paura. Mi sono chiesta cosa abbia spinto Bud ad essere così: la venerazione materna? l’ossessione per i privilegi dei ricchi? Un’inclinazione naturale? L’esperienza della guerra? Forse tutti questi elementi insieme hanno contribuito a creare il suo personaggio; le donne del romanzo escono inevitabilmente colpite da questo suo carisma letale, manipolate, ingannate, ferite, uccise da un uomo che le considera mere pedine sacrificabili per il raggiungimento della massima consacrazione di sé stesso.

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