L’apprendista assassino (Trilogia dei Lungavista vol.1)

L’apprendista assassino (Trilogia dei Lungavista vol.1)

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo L’apprendista assassino, primo volume della Trilogia dei Lungavista, scritto da Robin Hobb (traduzione di Paola Bruna Cartoceti) ed edito da Fanucci Editore, che ringrazio per la copia.


Un’umanità di servi e signori abita un mondo pervaso da una magia sottile e inquietante, fra intrighi di corte e minacce di misteriosi pirati in grado di manipolare le loro vittime privandole di ogni forma di raziocinio e sentimento. Tra questi pericoli si aggira il giovane Fitz, un “bastardo” di stirpe reale, la cui sola consolazione è un magico e tenero legame con gli animali. Accolto a corte, Fitz dovrà apprendere l’uso delle armi e le regole dell’etichetta, ma il suo destino è legato all’abilità di uccidere nell’ombra… Diventare un assassino vuol dire intraprendere un mestiere crudele e solitario, e soprattutto scoprire i propri poteri, lascito del sangue dei Lungavista… Sospeso nella magia del mito e del romanzo cavalleresco, L’apprendista assassino racconta un universo drammatico in cui la lotta fra il Bene e il Male non è mai una prevedibile guerra tra opposti inconciliabili, ma scontro umano tra fato e necessità, tra libero arbitrio e destino, con personaggi la cui esistenza è sempre, inevitabilmente, imprevedibile.


Una penna che vacilla su un foglio, mentre l’autore-narratore cerca di fissare su carta la storia dei Sei Ducati che passa, inevitabilmente, dalla storia dei Lungavista, la famiglia regnante, sangue del suo sangue. Prima dei sei anni, non ha ricordi, non ha memorie e anche quel poco che mette insieme da quando arriva a Occhio di Luna è avvolto dalla nebbia: è davvero un suo ricordo o ormai ha sentito così tante volte da così tante voci quel racconto da aver evocato autonomamente delle immagini? Una mano, una voce, un portone, corridoi infiniti, un uomo che lo scruta profondamente. E’ lì che inizia per lui la danza dell’equilibrio che lo caratterizzerà per tutta la sua vita.

Come si chiama? Non lo sa, non ha ricordi di una madre che lo chiami per nome, e ovviamente suo padre nemmeno sapeva della sua esistenza e anche ora che lo sa non si prende la briga di chiamarlo. La questione del nome e’ molto importante e complessa: essere umano e nome sono legati, è il nome che forgia – o almeno così si pensa – la personalità ed è quindi dai nomi che si arguisce il tipo di persona che ci si troverà ad affrontare. Così accade tra i nobili, ma lui chi è? Ragazzo – così lo chiamano tutti. Fitz – bastardo, così lo chiama Burrich, uomo del padre, del re-in-attesa Chevalier Lungavista. Il ragazzino non fa in tempo ad abituarsi all’odore caldo e calmo delle stalle, al suo rapporto esclusivo ed unico con gli animali, alla protezione che comunque Burrich gli fornisce, a quel borgo che inizia a conoscere che la sua vita viene nuovamente stravolta: suo padre abdica e si ritira a vita privata con la moglie, dama Pazienza, sterile. Come può Chevalier che ha fatto dell’onestà, della rettitudine morale, convivere ora con l’onta di un bastardo e dare tale disonore all’amata ed eccentrica moglie?

Così Fitz vive a Castelcervo ma non è mai davvero parte di questo mondo che percepisce come marginale nella sua vita: la corte è qualcosa che osserva di nascosto ma che non gli interessa poi così tanto e lui non interessa a loro, o almeno così crede. In realtà, i bastardi reali possono esistere solo se hanno uno scopo: questo è ciò che crede re Sagace, nonno di Fitz. Il ragazzo viene istruito nella scrittura, nella lettura, nelle armi e continua a seguire come un ‘ombra Burrich sebbene il loro rapporto sia sempre ambiguo e ambivalente da quando l’uomo ha scoperto che il ragazzo pratica lo Spirito: è fondamentale per lui che non macchi mai il nome di Chevalier. Fitz è l’ultimo compito che l’amato principe ha lasciato al capostalliere e non ammetterà fallimenti. E Fitz cresce, studia, si impegna, affronta rassegnato il suo destino di bastardo, parola con cui ormai ha una discreta familiarità: non lo toccano più gli sguardi, lui cerca di vivere giorno dopo giorno prendendo seriamente il patto fatto con il nonno anche quando gli chiede di essere un uomo del Re e di perseguire un addestramento singolare … Così passa da Poiana a Piuma lo scrivano fino a Umbra che lo inizia all’arte dell’assassinio, dei veleni, delle bugie, delle menzogne. Umbra lo chiama nel cuore della notte, le loro lezioni sono ammantate di fascino e segretezza e Fitz, come fa in modo molto naturale, ammira il suo maestro dipendendo dalla sua approvazione. Si sottopone con ardore ed entusiasmo alle sfide sempre più pericolose che Umbra gli sottopone, discute con lui di politica, soprattutto perché qualcosa nei Sei Ducati si muove.

Fitz è catalizzatore di eventi, come gli dirà anche il Matto: sembrano esserci tanti incroci e lui si trova sempre al centro. Qual è il suo ruolo? Sembra ripercorrere l’eredità di un padre che non ha mai conosciuto ma da cui ha preso l’arte sottile della diplomazia e del trattare con la gente, quasi per caso incontra dama Pazienza e anche lei diviene una sua maestra pretendendo che il ragazzo venga istruito nelle arti tipiche dei nobili; si sa relazionare con gli altri, sa usare le parole, sa osservare bene ma non bisogna dimenticare che è un ragazzino, che cerca disperatamente di capire quale sia il suo posto in un mondo che sembra solo volere cose da lui senza dargli nulla in cambio. E per giunta, stando a quanto emerge dal disprezzo del fratellastro Regal, dovrebbe anche essere grato. E dovrebbe capire che è solo un bastardo, ma quanta paura fa la sua posizione? Tantissima.

E lo scoprirà sulla sua pelle Fitz, al centro di tradimenti, bugie, agguati e missioni sempre più pericolose che lo portano a rischiare la sua vita e quella delle persone a cui si è affezionato, fino agli incalzanti capitoli finali in cui metterà in discussione la sua lealtà, le sue certezze. Coinvolto suo malgrado in un gioco politico molto più grande di lui, riuscirà Fitz a fare la scelta giusta?

Protagonista in toto della sua storia, raccontata proprio da lui in prima persona, Fitz non pensa mai a se stesso con questo nome di cui fatica a portare il peso e la responsabilità; è un personaggio determinato anche se spesso preda del bisogno atavico di sentirsi amato ed accettato al punto che qualche volta accetta maltrattamenti solo nella speranza di essere finalmente riconosciuto, guardato, al di fuori dell’appellativo bastardo che di fatto non può definirlo come persona. Osservatore attento e abile conoscitore della natura umana, capirà solo durante il suo addestramento quanto la sua abilità spaventi il suo stesso maestro, una minaccia a piani ambiziosi e colmi di tradimento e rancore. Lui rappresenta il fulcro di tali sentimenti, l’ultimo ed unico erede, ostacolo, ad un potere che qualcuno brama al punto da uccidere, avvelenare, mentire. Non si deve solo difendere da agguati intestini, perché l’intero mondo che conosce è in bilico e sull’orlo di una guerra infame contro la Nave Rossa che rapisce e restituisce gusci di uomini non più umani. L’unico membro della sua famiglia che ha sempre avuto parole buone per lui senza secondi fini è lo zio Veritas, fratello di sangue di suo padre.

Questo primo volume segue passo dopo passo la crescita e l’evoluzione di questo ragazzo, così umano nelle sue incertezze e fragilità eppure così dotato: affezionarsi a lui, tifare per lui, è stato, per me, praticamente scontato. Fitz mi ha fatto ridere e commuovere, solo in un mondo che non può permettersi atti e gesti di affetto conclamati, solo tra personaggi che condividono il suo stesso sangue ma per i quali è figura a margine utile solo se può servire ad uno scopo. Sacrificabile. La sua solitudine è così tangibile e viene raccontata con una tale intensità da essere credibile e reale, ma Fitz è anche intelligenza, coraggio, lealtà, voglia di mettersi sempre in gioco e scoprire i propri limiti. Un ragazzo che trova nel rapporto intenso con gli animali la propria dimensione, una famiglia che non giudica e non affibbia nomi ma che accetta senza recriminazioni tutti; per i suoi animali, Fitz come Burrich, farebbe qualunque cosa. A fare da sfondo alla sua storia, una moltitudine di personaggi interessanti, alcuni volutamente enigmatici, altri malevoli, in un mondo che si è da troppo tempo assestato sulle proprie comodità ed agi, isolato, in cui i Ducati dell’Interno non capiscono i problemi di quelli sulla Costa e viceversa. I Ducati sono arroccati nelle loro posizioni e non vogliono scendere a compromessi o venirsi incontro e proprio in questo momento delicato agisce il nemico, separando ulteriormente ciò che è già in divisione. In tutto ciò, la lotta per il trono è senza esclusioni di colpi: tutto è lecito, persino tornare ad usare un’abilità antica, per alcuni arcaica, elitaria … l’Arte. Lo stile è semplice senza mai essere banale, descrittivo senza annoiare, scorrevole; l’autrice è brava a miscelare momenti di azione e momenti più riflessivi in cui vediamo lo svolgersi della routine quotidiana del ragazzo e del mondo che gli si muove attorno, tutto ha un senso, tutto ci viene narrato a tempo debito. Un primo volume che mi ha letteralmente soggiogata: non vedo l’ora di scoprire cos’altro accadrà a questo catalizzatore, a questo giovane uomo, e ai Lungavista.

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