La ragazza che levita

La ragazza che levita

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo La ragazza che levita, scritto da Barbara Comyns (traduzione di Cristina Pascotto) ed edito da Safarà Editore che ringrazio per la copia.


Cresciuta nel sud di una Londra d’età edoardiana, Alice Rowlands desidera romanticismo e avventura, e la liberazione da una vita triste, restrittiva e solitaria. Suo padre, un sinistro veterinario, è brutale e sprezzante; la sua nuova ragazza sfacciata e lasciva; i pochi amici bizzarri e sfuggenti. Alice cerca rifugio nei ricordi di una madre perduta e nelle fantasie di un indistinto desiderio d’amore, e nella fioritura di ciò che lei percepisce come un potere occulto da nascondere a tutti i costi. Una serie di inesplicabili eventi la porterà a un epilogo di terribile trionfo, durante il quale sarà chiamata a svelare suo malgrado il suo eccezionale potere segreto.


Alice è una giovane donna, figlia di un veterinario disamorato della famiglia e di una madre ammalata e in fin di vita; la loro esistenza si dipana sugli orari e sui passi sinistri di questo padre, figura imponente, che toglie l’ossigeno, annulla le scarse risate e impone regole di condotta svilenti e maschiliste. Alice non ha amici se non Lucy, aspirante sarta sordomuta e la governante che nonostante tutto il padre assume quando la madre si ammala gravemente; mentre Alice si prende cura di lei , la madre racconta di quel Galles in cui è cresciuta, un luogo che diventa il simbolo di un potenziale perduto, di un passato felice a fronte di un presente logorato e logorante. Nella fantasia di Alice, la fattoria in cui la madre è cresciuta è il verde brillante dei campi, è il suono di canti e risate, è famiglia, un concetto che Alice conosce e riconosce negli altri ma non nelle sue fatiscenti mura domestiche. Quando la madre muore, il padre, assente per parecchi giorni, torna con una donna estroversa, che si appropria del posto fisico – la camera – della madre di Alice, ricoprendola di rosa e rose: quel che è peggio, pensa Alice, è che a sua madre sarebbe piaciuto, lei che amava e bramava la semplicità di un gesto da poco come il dono di un fiore. La donna vuole anche combinare un incontro amoroso per Alice, o meglio incastrarla in una situazione pericolosa ma, almeno in quest’occasione, quando il padre scopre l’accaduto caccia la donna; proprio dopo l’approccio sessuale di questo capo cameriere-facchino, Alice, rifugiatasi presso la casa dell’amata governante, levita per la prima volta in vita sua. Sogno o realtà?

L’incontro con un giovane veterinario che sostituisce il padre, segna il futuro della ragazza: Mr. Pebbles, denominato da Alice Occhiolino, prende a cuore le sorti della ragazza e le si affeziona fino a offrirle il posto come dama di compagnia di sua madre. Alice, pur non ricambiando i forse teneri sentimenti dell’uomo, viene mandata via dal padre il quale spera francamente di non vederla più ma in campagna Alice si troverà ad affrontare un vero e proprio percorso di formazione, per la prima volta in vita sua sola e qui si manifesterà per la seconda volta il dono della levitazione. Riuscirà a definire il proprio destino o soccomberà in un mondo dove non c’è spazio per la diversità?

In campagna, Alice si relazionerà con Mrs. Pebbles, una donna fragilissima che ha tentato il suicidio e completamente alla mercé di una coppia malvagia assunta dal figlio per prendersi cura di lei e della casa; non solo, scoprirà anche i batticuori e le delusioni d’amore nonché l’impatto che la sua diversità, il suo dono, hanno sugli altri. Anche il rapporto con Occhiolino è ambivalente: se da una parte Alice percepisce il suo interessamento come ingombrante e soffocante, dall’altro arriverà quasi a bramarlo, come se fosse l’ultimo baluardo che si frappone tra lei e un baratro che la condannerà ad essere un fenomeno da baraccone. Alice non è abituata ai gesti di gratitudine e alle premure: e come potrebbe quando il padre con un violento calcio ha fatto saltare i denti alla madre?

La narrazione in prima persona mi ha permesso sin da subito di entrare in sintonia con il personaggio di Alice e con la storia narrata con una grande competenza stilistica: l’autrice è riuscita a ricreare un mondo coerente attorno alla sua protagonista e al tempo stesso a descrivere i suoi sentimenti, lo scollamento costante tra luce ed ombra, tra colori e piattezza. Tutta la narrazione, poi, è solcata da questa inquietudine, quest’angoscia di morte che aleggia tra le pareti di casa, questi momenti rituali che ruotano attorno alla presenza paterna, elemento che quando assente permette lo sbottonarsi di parole e dialoghi che però raramente si aprono a sorrisi; anche in campagna, la presenza di Mrs. Pebbles, con i suoi pianti e le sue crisi, contribuisce ad un mondo relazionale fatto di malvagità, crudeltà, timore e pianto, un’addolorante costante attorno a cui gravita – levita Alice stessa.

Al grigiore opprimente di una casa senza amore risponde l’incontro di Alice con la natura, elemento che non smette mai di meravigliarla e che l’autrice satura di descrizioni cariche di rigogliosa vitalità, quasi un contraltare alle atmosfere asfissianti e senza sbocchi della consuetudine di Alice; la campagna, i fiori, il colore e il calore del sole divengono una sublimazione che Alice fa di tutto ciò che di bello vorrebbe e che non è. E’ nell’incontro con una primavera che sembra finire sull’uscio di casa che Alice vede il bello, il colore, la pienezza, che scopre l’esistenza di un amore che travalica i limiti di una famiglia piena di rancorosi disprezzi e diviene universale. La parola dell’autrice sposa perfettamente la duplicità di Alice e della sua vita: la sua penna crea un mondo gravido di una tristezza senza fine che strazia il cuore del lettore, donandoci una protagonista un pò figlia di quel tempo e luogo, di quel contesto deprimente e carente, un pò sognatrice romantica che vede nella bellezza di occhi blu cangiante la possibilità di una carezzevole evasione. Alice è la quintessenza dell’ingenuità, è una giovane donna senza malizia, piena di paure, timorosa e timida, con un nucleo, però, pulsante di vita e desideri che non riesce nemmeno a concedersi; Alice vuole essere normale e rifugge l’idea della bizzarria nata dal suo dono speciale. In un mondo maschilista e patriarcale, persino lo spazio di quella sua unicità diventa appannaggio di un predominio paterno ributtante e svilente: la levitazione, di cui Alice ricercava fonte e testimonianze, viene arraffata dal padre-padrone, un’ennesima occasione per soffocarla, zittirla, sottometterla e per di più guadagnarci dei soldi. E Alice che strumenti ha per contrastare questo strapotere maschile? Cosa può fare, lei, da sola, senza nemmeno quella misera protezione rappresentata dalla madre prima e dalla governante poi? Potrebbe fuggire via, levitare fino ai boschi, fino a un mondo tutto suo in cui essere libera, finalmente. Emblematico che nell’epilogo, la stessa Rosa, matrigna imbellettata e senza scrupoli, perda il suo ghigno e pianga anche lei per Alice in una sorta di sorellanza solidale che giunge, forse, troppo tardi.

Talvolta la vita che conducevo mi sembrava talmente inutile e triste che immaginavo di vivere in un altro mondo. Allora tutti i tetri utensili marroni della cucina si trasformavano in grandiosi fiori esotici e mi ritrovavo in una sorta di giungla e, quando il pappagallo chiamava dalla sua prigione-gabinetto, non era più il pappagallo, ma un grande pavone bianco che gridava forte.

L’autrice ci regala una favola cupa e dolorosa sulla condizione della donna in una Londra povera e fuligginosa, ambientando il romanzo breve in una casa perennemente sporca e popolata da animali che lungi dall’essere compagni e alleati della giovane Alice, sono anch’essi devastati, lamentosi. Restano solo i guaiti, i tormenti, le torture, le gabbie lerce: una desolazione umiliante e avvilente dove vige il terrore di quest’uomo dai baffi neri che tiene tutti sotto scacco, che si nutre di carne lasciando agli altri l’odore nauseabondo del cavolo – metafora di una pochezza esistenziale; un padre che non solo non ha parole buone per la figlia e per la moglie ma che è violento, verbalmente e fisicamente, egoista, disinteressato. Per la giovane Alice non ho potuto che provare sentimenti di compassione misti a desiderio di confortare la sua terribile infelicità, un abisso profondo che si apre sotto i suoi piedi e la inghiotte. Non sembra esserci scampo per lei, per la bruttura di una vita che sembra insignificante, eppure affiora in lei, in alcuni momenti, uno slancio vitale che me l’ha resa ancora più cara: una diciassettenne che vuole solo essere normale, amata, protetta, tutelata, e non solo soffocata da una morale asfittica e patriarcale.

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