Musa e getta

Musa e getta

Buongiorno! Oggi vi parlo del volume Musa e Getta, a cura di Arianna Ninchi e Silvia Siravo, che nella loro prefazione lo definiscono, a mio avviso giustamente, un “seme” piantato e da coltivare, edito da Ponte alle Grazie, che ringrazio per la copia.


In questa sorprendente raccolta, molte fra le più amate e apprezzate scrittrici italiane raccontano altrettante «muse»: donne sfrontate e bellissime o, al contrario, miti e riservate che, per lo spazio di una notte o per l’esistenza intera, hanno stretto relazioni complesse (e pericolose) con uomini di successo. Muse non sempre «gettate» ma per lo più misconosciute – dando così corpo all’odioso detto secondo cui «dietro ogni grande uomo c’è una grande donna» – che tornano dunque, finalmente, al centro del palcoscenico letterario. Le pioniere della psicanalisi e Kate Moss dalle cento copertine, Kiki regina di Montparnasse per una notte e Maria Callas la Divina per sempre, Nadia Krupskaja che lavora a realizzare il socialismo, Rosalind Franklin che scopre la struttura del DNA, le ispiratrici di pittori, musicisti, scrittori, filosofi: spaziando fra epoche e luoghi diversi, destini felici e infelici, Musa e getta giunge al cospetto di leggende viventi, persino sbarcate su Instagram, come Amanda Lear. Sedici autrici di prim’ordine svelano qui altrettante donne meravigliose, offrendo a lettrici e lettori uno sguardo nuovo sul rapporto tra i sessi, l’identità femminile, la lotta per l’emancipazione.

Le scrittrici: Ritanna Armeni, Angela Bubba, Maria Grazia Calandrone, Elisa Casseri, Claudia Durastanti, Ilaria Gaspari, Lisa Ginzburg, Chiara Lalli, Cristina Marconi, Lorenza Pieri, Laura Pugno, Veronica Raimo, Tea Ranno, Igiaba Scego, Anna Siccardi, Chiara Tagliaferri.
Le muse: Lou Andreas-Salomé, Luisa Baccara, Maria Callas, Pamela Des Barres, Zelda Fitzgerald, Rosalind Franklin, Jeanne Hébuterne, Kiki de Montparnasse, Nadia Krupskaja, Amanda Lear, Alene Lee, Dora Maar, Kate Moss, Regine Olsen, Sabina Spielrein. A cura di Arianna Ninchi e Silvia Siravo


Nata da libri scambiati, da libri da leggere, su e di donne, testi teatrali e non, l’antologia (parola che, come ci ricordano Arianna Ninchi e Silvia Siravo, significa “raccolta di fiori”) racconta sedici donne, sedici muse. E per farlo, sono scese in campo altrettante autrici femminili le quali, con la propria voce, hanno interpretato la narrazione di queste vite. Ritanna Armeni racconta Nadia, moglie di Lenin, compagna, che accudisce l’uomo amato da cui sa bene di non essere ricambiata e ricattata da Stalin per questa ferita; Angela Bubba ripercorre l’amore speciale di Maria e Pier Paolo ( la divina Callas e Pasolini) sul set di Medea, un amore fatto di riconoscimento, di poetica atmosfera, di malinconia e tenerezza. Su di un palcoscenico,Maria Grazia Calandrone fa danzare il dialogo tra il Maestro Dalì e la sua musa, Amanda, forza della natura: i due discutono di desiderio e paure, di morte e arte, di bellezza e fragilità. Amanda con la sua ironia prorompente, è una donna incredibile che ragiona di inconscio e identità, di tempo e di intelligenza, di sogni e adesione alle aspettative altrui, della brutale verità. “Posso essere quello che voglio perché non so chi sono“.

Segue l’incredibile vita di Pamela  des Barres, la regina delle groupie (anche se lei condanna l’accezione di tale termine in senso dispregiativo), tra le rock-star più grandi di tutti i tempi, concerti, confidenze, sesso, perennemente alla ricerca di se stessa, immaginata qui da Elisa Casseri in una Disneyland del ricordo a rievocare le tappe della sua esistenza. Una donna che brama l’amore, l’arte, la felicità per cui ” Si vive sospesi nel tempo, si sogna sospesi nel tempo e si scrive sospesi nel tempo”.

Alene Lee raccontata da Claudia Durastanti, è una musa suo malgrado, usata da Kerouac con cui ha una relazione travagliata e difficile; donna importante, definita dagli amici di una rara intelligenza, che si porta dietro il retaggio delle origini Cherokee; mentre Ilaria Gaspari immagina Jeanne Hébuterne raccontarsi di quando a sedici anni lei sognava di diventare musa, di venire guardata per davvero e tramite tale sguardo cogliere la sua unicità. Lo scarto tra l’audacia del pensiero e le riserve della vita vera, in cui l’ansia la fa da padrona al posto di una libertà selvaggia, non placheranno il bisogno di essere persino disegnata, di abitare una bellezza. Una donna che scrive e scrive di sé, del suo amore per Modigliani, in un monologo interiore toccante ed emozionante: una “diva un poco macabra perché la tua vita è una vita molto postuma”, morte nota e famosa, vita dimenticata, dolorosamente perduta, come quei primi anni nella tomba solitaria prima del ricongiungimento con l’amato.

Magnetica, bellissima, Lou Andreas- Salomè, raccontata da Lisa Ginzburg, viaggia con il suo grande amore, Rainer: trentasei anni lei e ventidue lui, un riconoscimento di anime così totalizzante suggellato dalla potenza e bellezza dei versi poetici che lui scrive per lei. Sensuali, intreccio di sguardi, attrazione gravitazionale: “intimità e ampiezza”, scriverà Lou. Il suo carisma è vitale e fluido, folgorante, capace di plasmare Rainer a nuova vita (cambiandogli il nome),  Lou non si può imbrigliare, è già oltre, è autodeterminazione.

E tra le muse nascoste, non può non comparire Rosalind Franklin, narrata da Chiara Lalli, relegata a nota a margine da Watson nel suo libro che vuole raccontare il lavoro suo e dalla sue equipe che lo ha portato al Nobel; qui, Rosalind diviene Rosy, uno stereotipo. E’ solo grazie ad Anne Seyre se la sua figura viene riscoperta. Ne viene fuori il racconto di una Rosalind, ammalata ma mai afflitta, determinata a fare la scienziata, va a Cambridge, ambiente quasi del tutto frequentato da uomini, si laurea, scrive articoli scientifici, fa ricerca a Parigi dove impara a usare i raggi X e la cristallografia, che segnerà la sua vita, portandola a scattare quella foto che farà la storia, senza che il suo nome venga riconosciuto. Il ritratto che emerge di Rosalind è di una donna che credeva fermamente nell’eguaglianza tra i generi, senza favoritismi o sconti, una  storia, la sua, in cui ognuno dei protagonisti si è sentito libero di far sentire la propria voce, tutti tranne lei, morta prematuramente.

Agli esordi del 1900, in Alabama, nasce una donna eterna, per cui etichette si sono sprecate e continuano a farlo: Zelda Sayre Fitzgerald, bella, piena di vita, carisma, una ragazza che sa cosa vuole, più di tutto sa chi vuole. Vuole quello scrittore biondo, ma vuole anche un certo tenore di vita e lui, ammaliato, scrive di lei. E’ subito amore, matrimonio, New York, successo. Ma è davvero tutto così scintillante? Nell’angolo, c’e’ l’alcol, ci sono scelte sbagliate: sono fiamme e fuoco, sono centro del mondo e devastazione. Intensa, eccezionale, ambiziosa: un’ icona che affascina sempre e che, nonostante tutto, mantiene caro il suo segreto, raccontata dalla penna di Cristina Marconi.

L’immagine che Lorenza Piera ci regala di Kiko de Montparnasse è quella di un’artista e musa a sua volta ispirata da un’altra musa: la fame, motore della creatività, intesa come vorace spinta verso sogni, cibo, sesso, esperienze. Già dal racconto della sua nascita, celebrata e battezzata con l’orgia del vino, si legge l’imprinting di una certa storia: dopo essere cresciuta con la nonna, viene richiamata a Parigi dalla madre. Ha 12 anni, c’è la guerra, e ben presto oltre a fare tanti lavori, è di troppo per la madre e il suo giovane nuovo compagno. Quasi fortuitamente incontra l’arte: è il destino. E’ l’inizio di una vita piena di incontri, in cui però Alice rinata Kiki, sceglie per se stessa, sempre libera.

Sabina Spielrein raccontata da Laura Pugno, uccisa dai nazisti, anche lei nota a margine nei trattati di psicoanalisi, riappare nel 1977 grazie al ritrovamento di un carteggio. Chi era? Quale la sua storia? Nel 1980, Aldo Carotenuto racconta la sua storia: donna, amante, allieva, paziente, in parte causa della scissione tra i due maestri della psicoanalisi, Freud e Jung.  La sua storia si intreccia inevitabilmente alle prime sperimentazioni della psicoanalisi, nella prestigiosa clinica di Zurigo diretta da Bleuler, in cui i pazienti possono collaborare con i medici per alcune attività. Una storia “d’amore e non d’amore”, di reciproche influenze; una donna colta, dal passato travagliato, il cui corpo dice ciò che la mente non può, che diviene medico, che lotta con i pregiudizi dovuti ai suoi ricoveri. Sabina, che passa da curata a curare, perché è solo nella psicoanalisi nascente che può abitare il suo corpo e non lasciarsi soccombere ad esso. Sabina che ama, e col suo amore cambia il destino.

Quando il “poeta religioso” Kierkegaard attraversa l’ennesima crisi vocazionale, chiede alla sua Regine di stare al gioco, di inscenare quel “rimpianto amoroso” di cui necessita per continuare a cavalcare l’onda; non solo, egli vuole vincere il tempo inventando un epistolario con una Regine immaginata. Eppure, qualcuno va a scavare per ritrovare lei, in questa corrispondenza a metà: ma chi è Regine? Ancora una volta fantasticata, la sua vita è davvero quella di una musa e in quanto tale misteriosa? Amata e amante, ce la racconta Veronica Raimo.

La storia cammina a grandi passi frettolosi lasciando integri solo i giganti, gli altri sono sabbia che riempie la misura del tempo”, così Tea Ranno introduce la figura di Luisa Baccara e del suo amore feroce con D’Annunzio. Lui stregato dalla sua musica, lei dalla sua parola: “ho sete di musica, cioè ho sete di voi, di te”.  E l’autrice scava, con curiosità e desiderio, un’archeologia della conoscenza per ridarci una donna che ama, che pare inconoscibile, “muta”. Una donna che vuole conoscere l’anima dell’amato, che vuole comprendere, non la mera comunione di corpi. Una donna con i suoi misteri, che tocca l’autrice e inevitabilmente ha toccato me.

Igiaba Scego riscopre Laure, una bambinaia di colore in una Parigi che sta cambiando, notata da un pittore, Manet: di una bellezza conturbante, Laure resta figura sullo sfondo di cui non si colgono dettagli, eppure cattura, avvince, affascina.

Anna Siccardi visita Place Pompidou sille tracce di Dora Maar, fotografa e musa di Picasso, soggetto-oggetto, e qui immagina l’incontro con una donna che potrebbe essere lei e che si racconta a partire dall’idea materna che “il dolore porti amore”. In un gioco di luci e ombre, di fantasmi e memorie, Dora ci fa riflettere su chi è la musa, sull’interpretazione che lei da a questo concetto, su cosa voleva lei prima di Picasso e nonostante Picasso. Lei, una donna “non proprio”, il suo, un amore complicato: un tour in una Parigi della malinconia, della morte e della memoria, della bellezza. Suggestiva.

Il dialogo tra Chiara Tagliaferri e Kate Moss comincia negli anni 90, con una foto attaccata nell’interno dell’armadio; Kate, icona di mistero e desiderio, depositaria di un non detto, di un disagio che tutti vogliono tirarle fuori. Un corpo che rompe gli schemi, incontri che cambiano il destino: Galliano, Naomi, Johnny Depp. Chi è Kate? Un canovaccio su cui stendere la propria visione, un bisogno da colmare? Il racconto è spiraglio su Kate tanto quanto su Chiara, perché è così che le icone fanno: diventano parte del quotidiano, entrano nell’armadio.

Voci di donne con parole di donne per scoprire e riscoprire icone e muse, nascoste o conclamate, in un dialogo costante alla ricerca di riconoscimento, amore, libertà, felicità. Sedici autrici capaci di raccontare epoche, sogni, speranze, paure, di immaginare monologhi e dialoghi, bivi e scenari possibili. Ci sono state, per me, muse inedite e muse conosciute, storie che hanno suscitato il mio interesse e la mia emozione, tutte hanno sottolineato ai miei occhi l’importanza del racconto, della testimonianza, della storia. Semi da vegliare, in attesa di nuovi semi da piantare.

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