I quaderni dell’anima

I quaderni dell’anima

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del volume I quaderni dell’anima, scritto da Edvard Munch (traduzione e cura di Serena Rinaldi), edito da Nuova Editrice Berti che ringrazio per la copia.


Alla sua morte, Edvard Munch lascia alla città di Oslo un patrimonio di quadri, disegni e incisioni. Tra questi materiali ci sono anche numerosi manoscritti che gli studiosi del Museo Munch stanno digitalizzando e traducendo dal norvegese all’inglese. Riuniti qui, gli appunti definiti dallo stesso Munch “Quaderni dell’anima”: annotazioni sparse che come tessere di un mosaico ricostruiscono pezzo dopo pezzo il credo estetico di un artista unico, difficile, a tratti respingente.


Come i disegni anatomici di Leonardo illustrano le sezioni del corpo, così le mie riflessioni indagano i meccanismi dell’anima.

Nato nel 1863 a Loten in Norvegia, secondo di cinque fratelli, perde per tubercolosi la madre quando aveva cinque anni; da allora, lo spettro della morte, e i “semi della follia”, sembreranno perseguitarlo come una maledizione, dice Munch stesso, segnando anche il suo immaginario, teso tra morte e vitalità.

Il pittore sembra essere costantemente teso da una sua intima dualità, che si riflette nella sua opera: ritrarre, aggrapparsi all’ immanente, della natura o dell’anima, destinato a perdurare e quasi a non cambiare, e oscillare invece sulla corda della fuggevolezza. I suoi demoni ancestrali ed ereditari lo spingono, lo attraggano, verso qualcosa che sia destinano a non morire mai, perché la paura della morte è così forte da essere soverchiante, ma al tempo stesso il suo sentire sensibile, il suo occhio, non può che posarsi sulla bellezza fugace di un momento, di una primavera, di un tramonto, sul bianco fulgido del collo di un cigno. E immortalarlo. La sua pittura è emozione, così egli ce la descrive, è memoria e ricordo della sua infanzia da cui riprende forme e colori per dargli collocazione nel suo Fregio della Vita, della cui genesi proverà a parlarci.

In questi appunti, come finestre che si aprono su un mondo privato, l’autore ci racconta non solo il suo rapporto con l’arte, ma anche com’è nato il pittore stesso, partendo da un primo periodo impressionista che però gli sta stretto perché lui sente di voler raccontare, fissare, la sua interiorità. Sono raccolti qui pensieri, poesie, immagini in parole, appunti di vita, riflessioni sulla natura, sull’amore, sulla morte. Come viene introdotto dalla Nota al testo, si scorge il ritornare di tematiche care all’autore – pittore che si considerata artista “duale”, capace e desideroso di esprimersi quindi sia tramite i quadri che tramite le parole. Torna frequentemente in questi testi significativi l’urlo della natura e la sua reazione ad esso, l’angoscia esperita mentre gli amici, puntualmente, proseguono oltre, come se la natura in quel momento parlasse solo a lui, fosse solo per lui.

Angoscia, tormento, morte, ma anche bellezza, amore, ritratti di città e di momenti intimi, ispirazioni sognanti, nate dalla malia che la vita possiede. Un viaggio affascinante nell’intimità di un grande artista, che vuole, come egli stesso dice “raffigurare gente viva, che respira, si emoziona, soffre e ama“. Nelle righe che dedica alla creazione di Bambina malata, ho percepito la forza struggente di un pittore determinato a ricreare l’intensità che ha percepito in un momento, quando ha visto il volto cinereo della bambina, e raschia, toglie, riprova, aggiunge e sottrae finché l’emozione dipinta fa eco a quella provata. 

L’arte nasce dal desiderio umano di comunicare con i propri simili e qualunque mezzo è valido a tal fine.

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