La classe

La classe

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo La classe, scritto da Christina Dalcher (traduzione di Barbara Ronca) ed edito da Casa Editrice Nord che ringrazio per la copia.


Immagina una scuola in cui non c’è spazio per i favoritismi e tutti sono giudicati in base ai risultati. Una scuola in cui gli studenti migliori non vengono rallentati dai mediocri o presi in giro dai bulli. In America, tutto questo è diventato realtà grazie al Q, un quoziente calcolato sulla base di test e sulla condotta, che determina l’istituto da frequentare: gli alunni più brillanti vengono ammessi nelle impegnative Scuole Argento, che assicurano l’ingresso ai college più esclusivi, mentre gli studenti normali rimangono nelle Scuole Verdi. Le «mele marce», invece, sono allontanate dalle famiglie e portate nelle Scuole Gialle, delle strutture isolate dove imparano le materie di base e la disciplina. E per fare in modo che nessuno rinunci a migliorarsi o si sieda sugli allori, i test Q vengono ripetuti ogni mese. Elena Fairchild ha partecipato alla creazione del sistema Q e lo riteneva la chiave per una società più equa, più giusta. Adesso però, dopo alcuni anni come insegnante in una Scuola Argento, è tormentata dai dubbi: sebbene abbia accolto diversi alunni provenienti dalle Scuole Verdi, non ha mai visto qualcuno tornare dalle Scuole Gialle. I genitori ormai temono quel pullmino che passa di casa in casa il giorno successivo all’esame. E ora anche lei è una di quei genitori: sua figlia Freddie ha ottenuto un risultato troppo basso e le verrà portata via. Senza esitare, Elena si fa bocciare al test Q per insegnanti e viene trasferita nella stessa Scuola Gialla della figlia. E lì scoprirà che, quando le persone sono ridotte a numeri, non c’è limite a quello che può succedere a chi non conta più nulla…

Nessuna scelta ha importanza, quando qualcun altro ha già scelto per te.

Immagina una scuola in cui a definire lo status sociale siano i voti. Non più la bellezza, i soldi, essere atleti o fare la cheerleader, ma il punteggio che hai ottenuto al test di chimica o alla verifica di storia. Una scuola in cui i “secchioni” sono i nuovi leader, i primi nella fila a mensa, quelli che, tronfi della loro supremazia, passano letteralmente dall’altra parte senza aver minimamente introiettato cosa significhi essere diversi. E il divario cresce, si approfondisce. Cambia chi è diverso, ma c’è sempre un diverso. Uno stupido. Il passo successivo è quasi piccolo, quasi. E se tutta la società funzionasse così? Tutti quelli perfetti, intelligenti, con punteggi QI elevatissimi, da una parte (la migliore), gli altri mandati altrove, per il loro bene sia chiaro.

Questa è la realtà che vive Elena, intelligentissima insegnante e moglie di uno dei fautori della riforma dell’Istruzione che ha diviso la scuola in classi argento, verdi e gialle. La pressione, tra studenti e insegnanti, sottoposti mensilmente a estenuanti verifiche per ricalcolare il proprio QI e sulla base di esso essere assegnati ad un livello, è folle, estenuante, angosciante. Elena insegna in una scuola argento, ha una figlia, Anne, che frequenta la scuola argento e un’altra, Freddie, che è in una classe verde. Anne, emblema del motto ” Intelligentia, Perfectum, Sapientiae” (intelligenza, perfezione, sapienza), organizza la sua vita sulla base di quel numero, del QI, cataloga amicizie e ragazzi, in una sorta di eco degli atteggiamenti messi in atto da Elena e dal marito Malcolm da ragazzi. Freddie, timida e ansiosa, vive schiacciata dal peso di non riuscire; il padre, del tutto anaffettivo ed egoisticamente proiettato sui bisogni della maggiore delle figlie in cui ripone sogni e speranze, non riesce proprio a capire come funzioni la mente e la personalità di Freddie, il suo bisogno di rassicurazioni, di un mondo diverso. Sarà proprio il fallimento di Freddie ad innescare una serie di scelte, di conseguenze, di svelamenti che metteranno in luce il marcio di una società alla disperata ricerca della perfezione, di un controllo maniacale che passa attraverso il Quoziente Intellettivo per arrivare alla manipolazione genetica, riecheggiando ben più concreti e reali contesti storici mai dimenticati.

Lo stile è lucido, asciutto, a tratti asettico, e questo rende la lettura, a mio avviso, ancor più coinvolgente. La narrazione è serrata, si articola su flashback del passato di Elena in cui la sua voce, ben lontana dal giustificarsi con il suo lettore, mira a far vedere il seme, la scintilla, come qualcosa di piccolo, una frase buttata casualmente ma accolta da orecchie attente, possa cambiare il mondo. Lei è prigioniera di un mondo che ha contribuito a costruire. Da vittima a carnefice, ora sembra espiare le sue colpe con Freddie, vittima innocente di un sistema aberrante. Se ho odiato francamente sin dalla prima pagina Malcolm, marito di Elena e frutto in tutto del nuovo ordine delle cose, ho provato sentimenti contrastanti per Elena. Forse la sua voce in prima persona, che spesso sorvola dettagli che avrei voluto approfondire per rimarcarne altri, forse il suo svelarsi per quel tipo di adolescente che è stata, mi ha fatto pensare “se lo merita”. Ma credo che fosse proprio questo l’effetto voluto dall’autrice: Elena è complessa, è madre, donna, moglie; ha paura per le sue figlie, ha mentito per loro, ha contraffatto, ha manipolato, ha finto, e al tempo stesso deve fare i conti con un marito che non la ama, che non l’apprezza, con un lavoro che le chiede di essere sempre perfetta e con l’età che avanza. Una donna come tante, quindi, che deve fare l’equilibrista tra i ruoli imposti e quelli che ha scelto. E si racconta con feroce autocritica, pur nella sua quasi fanciullesca ingenuità: anche dinanzi ad alcune evidenze, Elena spera che non sia così, fino alla caduta del mito, al vaso scoperchiato.

Perché si sente il bisogno di identificare e classificare l’altro? Di richiuderlo in categorie cui viene fornita una definizione, uno stigma? Perché c’è bisogno di dividere, di isolare: di qua quelli intelligenti, promettenti, e di là quelli indesiderabili. Come può un atteggiamento simile essere venduto dai politici come progressismo? Come civiltà consapevole ed evoluzione? Dove si colloca il limite tra ricerca di progresso e manipolazione? Chi decide cosa è perfetto e cosa imperfetto?

Queste sono alcune delle domande che Elena si trova a porsi, forse troppo tardi o forse no, e che di conseguenza mi sono posta assieme a lei, arrabbiandomi anche quando il velo delle sue convinzioni le impedivano di vedere quella che ai miei occhi appariva come una verità incontrovertibile. Eppure, anche questo mi ha fatto riflettere: cambiando la lente di osservazione, quanto diventa più facile leggere la traiettoria degli eventi futuri? Con il senno di poi, Elena avrebbe potuto prevedere dove l’avrebbe portata aver preso in giro una compagna o desiderato di essere desiderata? E sua nonna Oma avrebbe capito cosa poteva significare, per la storia futura, indossare la divisa della Lega delle ragazze tedesche? “Piccole” azioni, piccole privazioni alla libertà individuale: Malcolm dirà che in quelli istituti in cui vengono mandati ragazzi delle scuole gialle, nessuno si è mai lamentato. Ma nessuno è mai tornato. Nei quartieri ricchi, il passaggio del tipico scuolabus giallo è carico di funesti presagi: impossibile raggiungere poi i propri figli, se non per poche ore annuali. Perché? Come si è arrivati a questo? Pensando: a me, a noi, non capiterà mai. E quando accade, tutto crolla, si accartoccia su se stesso e il mito del “prima i nostri figli” è vuoto perché non si hanno più quei figli.

Ho letto questo romanzo divorandone le pagine, con la cupa sensazione di un’angoscia soffocante: riflessioni, domande, dubbi. Monito o accusa? L’umanità è davvero destinata a compiere ciclicamente gli stessi dannati errori? La serenità con cui alcuni personaggi perseguono i propri ideali perversi è tanto più raccapricciante perché ricorda pagine nere della nostra storia: l’autrice non inventa nulla, non inventa l’odio, la discriminazione, il ridicolizzare, l’umiliare. Non inventa la tortura, la segregazione, l’ideale di perfezione. Ce lo ricorda però con drammaticità e con uno stile claustrofobico: sono stata Elena, sono stata Oma e Ruby Jo, sono stata Freddie. Avrei voluto che l’autrice approfondisse maggiormente l’ultima parte del romanzo, da quando Elena finalmente apre gli occhi e capisce chi c’è dietro e quale il destino dell’umanità; ho trovato questa parte un pò affrettata rispetto al resto della narrazione che, seppure incalzante ha avuto il proprio ritmo e tempo per lasciarmi familiarizzare con questa società e le sue subdole regole e paure. Forse, nel mio complesso rapporto con Elena, avrei voluto che fosse più partecipe; avrei voluto sfogare io stessa quella rabbia, quella frustrazione e quel dolore, non solo come madre di Freddie ma come donna ed essere umano.

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