Il colonnello Clay

Il colonnello Clay

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Il colonnello Clay, scritto da Grant Allen (traduzione di Cristina Colla) ed edito da Nuova Editrice Berti, che ringrazio per la copia.


Sfacciatamente ricco e sicuro di sé, il milionario sudafricano Charles Vandrift viaggia da una località mondana all’altra accompagnato dalla capricciosa moglie Amelia e dal suo segretario personale (nonché cognato) Seymour. Un giorno, in un lussuoso grand hotel della Costa Azzurra, s’imbatte per la prima volta nel Colonnello Clay, vero artista del crimine, che inizia a prenderlo di mira, intaccandone la fortuna un colpo dopo l’altro. In questo spassoso romanzo apparso a episodi sullo Strand Magazine tra il 1896 e il 1897, Grant Allen ribalta per primo la prospettiva del romanzo poliziesco, rendendo il ladro protagonista e anticipando di molti anni Leblanc col suo Arsenio Lupin. Considerato il primo grande “ladro gentiluomo”, “Il colonnello Clay” è infatti un vero e proprio vulcano di trovate stravaganti, che tra trucchi e travestimenti riesce sempre a farla franca.


Il ricco miliardario Sir Charles Vandrift vanta un’arguzia senza precedenti e una fine intelligenza, oltre che un fiuto per gli affari che lo hanno portato ad essere l’uomo che ora è, partito dalla posizione di avvocato e divenuto un finanziere conosciuto e riconosciuto in tutto il mondo. Ha una sola spina nel fianco che risponde al nome di Colonnello Clay, un truffatore abile, intelligente quasi quanto Vandrift ( a suo dire) e capace di sfruttare le sue debolezze. Il racconto delle truffe a danno di Vandrift nel corso degli anni viene fatto in prima persona da Seymour – detto Sey – cognato di Vandrift e suo segretario: pagina dopo pagina, oltre a mostrarci il modo in cui il ricco finanziere viene pungolato proprio nei suoi punti più scoperti, la voce di Seymour diviene via via più caustica, mostrando anche una vena sottile di rabbia nei confronti dell’uomo, incapace di opporsi alle lusinghe che Clay e signora mettono in scena.

Tutto ha inizio a Nizza, quando il razionalismo di Vandrift viene stuzzicato dalla presenza di un fantomatico indovino messicano: convinto a smontare la sua sceneggiata, il miliardario lo fa convocare e condurre in Hotel proprio da Sey, con la premura di non aprire bocca su di lui. Riunito un piccolo pubblico, l’indovino messicano colpisce e stupisce: è davvero capace di indovinare le cose o è un caso? L’orgoglio e l’arroganza di Vandrift, non per la prima volta, lo spingeranno, soprattutto quando si trova davanti ad un gruppo di persone più o meno conosciute, a sottoporsi spontaneamente al gioco del suo avversario con l’intima convinzione di poterlo sbaragliare: firma, quindi, un foglio bianco e che dispiacere scoprire poi che non solo l’indovino non l’ha davvero bruciato, ma, con un lavoro certosino ed accurato, ha usato la firma di Vandrift per sottrargli del denaro. E’ la prima delle beffe: Clay inizia a diventare l’ossessione e l’incubo di Vandrift, che, dopo l’ennesima truffa davvero ben orchestrata con una complice che riesce sempre a catturare l’attenzione del magnate, decide di mettere in atto delle strategie per evitare nuovi danni. Ma a nulla sembrano valere: Clay è un trasformista, riesce così subdolamente a infilarsi, a infiltrarsi nella vita dei Vandrift che è difficile non nutrire sospetti verso tutti. Chiaramente, ne emergeranno equivoci e situazioni paradossali: Vandrift e Seymour prenderanno sonore cantonate e le finanze dell’uomo verranno ancora una volta alleggerite. Dovunque vada Vandrift, lì sembra esserci Clay: ora scienziato, ora esperto d’arte, ora povero curato, ora ricco proprietario tirolese, ora poeta, riesce sempre a farla franca. E a mettere in ridicolo Vandrift quando i suoi sospetti si rivelano infondati. Il truffatore manda anche delle lettere al suo avversario, un pò per beffarsi di lui, un pò per fargli capire cosa ha fatto davvero: in un’occasione, addirittura, restituisce il malloppo perché si è reso conto che quando vuole, Sir Charles, sa essere uomo d’onore e di cuore. E anche lui, pur essendo ladro, ha una sua sorta di etica. Ovviamente, Vandrift non riesce a credere a una sola parola, eppure il tarlo del dubbio si insinua: ormai, Clay è un codice da decifrare, sta mentendo o è la verità?

Come uomo d’affari, non mi permetterei neanche di reggervi il moccolo. Ma nel mio ambito, molto umile in verità, so come … usarvi. Vi spingo ad andare avanti, fin dove voi pensate di aver raggiunto un certo vantaggio sugli altri, poi faccio leva sulla stima che avete di voi stesso come abile uomo di affari, sul vostro desiderio innato di emergere, di dimostrarvi superiore a ogni altra persona … a quel punto io riesco a vincere, superandovi nel finale.

Ciò che più mi ha colpito in questo romanzo, apparso inizialmente a puntate, è il modo con cui l’autore, pian piano, svela e parla dei preconcetti di una società, di cui Vandrift stesso, per primo, è complice e preda: se una persona vanta certe credenziali, è assodato che ne sia in possesso; se di fronte ci si trova un povero uomo di Chiesa che sembra essere lontano anni luce dall’idea del curato sempre a caccia di sovvenzioni, allora non può mentire. Infarcito di credenze e teorie in voga all’epoca, la caccia all’uomo Clay diventa il modo per l’autore per parlarci di un mondo compassato, dove la ricchezza e il nome sembrano essere l’unica cosa capace di aprire porte; in questo romanzo non vi è spazio per i poveri, gl ambienti sono tutti altolocati, e la ricchezza diviene un vanto e un marchio di fabbrica. Vandrift ricalca in pieno l’idea di un uomo che si è fatto da solo e crede fermamente in se stesso: arrogante, impulsivo, incline a lasciarsi abbindolare dalle lusinghe femminili, è convinto di non sbagliarsi mai, e sbandiera ai quattro venti possedimenti e millantate capacità. Nei circoli, si fa quasi beffa delle disavventure con Clay, e nei suoi racconti, l’altro appare misero, e lui magnanimo: l’immagine che vuol dare di sé è quella dell’uomo solido, affascinato dalla bellezza femminile e intoccabile. Il rapporto con Sey risente di quanto sta avvenendo: certo, il segretario ha i suoi segreti da nascondere, ma è anche vero che, pagina dopo pagina, i due si allontanano quasi, con Vandrift ciecamente convinto di non aver bisogno di aiuto per smascherare l’altro. Non solo, la compostezza che Vandrift possedeva e che richiedeva in pubblico, si sgretola, dando cenni di cedimento, anche nell’interazione col segretario: Vandrift è intimamente convinto della sua superiorità, intellettiva e non, e non si fa scrupolo ad offendere, sebbene poi tempestivamente se ne penta. Il quadro che Sey offre di Vandrift sembra passare da un’iniziale ammirazione sconfinata a un ridimensionamento dell’altra figura, quasi come se, grazie alle truffe di Clay, Sey si sia accorto che Vandrift è solo un uomo, con un mucchio di soldi e di difetti. La sua opinione non viene nemmeno più richiesta, e lui si limita a dare ragione al suo capo e cognato, imbrigliato nella duplice veste di membro della famiglia e dipendente.

In un romanzo in cui le figure femminili, soprattutto quella di Amelia, capricciosa moglie di Vandrift, sembrano quasi marginali, emergono solo i ruoli della complice di Clay, ma, svolta finale, è proprio un’altra donna che darà a Vandrift e alla polizia la possibilità di acciuffare il furfante, autore di tante truffe. Non solo l’uomo era davvero molto vicino alla famiglia del magnate ma, nei capitoli finali, c’è il confronto in Tribunale tra i due: chi è stato, davvero, l’ipocrita? Clay, ora smascherato, mostra e racconta tutti gli espedienti messi in atto da Vandrift, secondo lui in buona fede, ma evidentemente anche il ricco miliardario si è macchiato di crimini, ha manipolato e mentito. Clay conclude accettando la propria condanna ma non considerandola giusta: lui pagherà, e il ricco continuerà per la sua strada. Ma come dice Sey, in un certo senso, il Colonnello Clay , pur nelle sue truffe, ha suscitato affetto: si può dire lo stesso di Vandrift?

Il romanzo si compone di una serie di episodi in cui Vandrift e Sey sono coinvolti nelle più disparate attività, sempre decise dal ricco magnate che soffre l’immobilità in un posto per troppo tempo e vuole spesso cambiare aria; segue i suoi affari e ne cerca di nuovi, con un’avidità che Seymour ormai conosce bene e accetta. Vandrift e la moglie sono così: se vogliono una cosa, devono averla. E questa debolezza viene sfruttata in toto dall’arguto e camaleontico truffatore, che va a colpire le debolezze della coppia: diamanti, titoli, retaggi familiari, possedimenti, tutto viene studiato alla perfezione allo scopo di sottrarre in grande stile. Il risultato è un romanzo a tratti spassoso ma che offre al tempo stesso uno spaccato sulla società dell’epoca. Il modo con cui Vandrift si pone e si impone quasi, lo rende poi passibile di derisione quando viene puntualmente umiliato da un avversario incredibilmente dotato: umorale, dopo la rabbia arriva la spinta a volerci riprovare, convinto di stanarlo, questa volta, ad ogni costo!

Nella vita, come nel gioco delle carte, due cose contribuiscono al successo. La prima è il caso, la seconda è … la capacità di barare.

Condividi:

Leave comment

Your email address will not be published. Required fields are marked with *.