Storia di una ragazza ribelle

Storia di una ragazza ribelle

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo di Storia di una ragazza ribelle, scritto da Carmen Aguirre (traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi), edito da Nuova Editrice Berti, che ringrazio per la copia.


Nel 1973, a soli sei anni, Carmen Aguirre lascia il Cile con la famiglia per scappare alle violente repressioni di Pinochet. Cinque anni dopo, quando la madre e il patrigno Bob decidono di ritornare in Sud America per unirsi alla resistenza armata, Carmen e sua sorella li seguono, iniziando una pericolosa esistenza da giovani ribelli. In questo memoir, Carmen Aguirre racconta la sua giovinezza avventurosa e l’ancor più difficile lotta per conciliare l’impegno politico e i normali desideri di un’adolescente in cerca della propria identità. Senza rimpianti o rivendicazioni, ripercorre la storia di una madre forte che ha scelto di essere una rivoluzionaria, e ha voluto portare le sue due figlie ancora piccole con sé: una testimonianza personale e appassionata per non dimenticare l’orrore delle dittature sudamericane dei primi anni Ottanta.


Carmen ha soltanto sei anni quando è costretta a lasciare la sua terra natale, il Cile, dopo il colpo di Stato che vede l’ascesa al potere dell’estrema destra rappresentata da Pinochet ai danni di Allende.

Sarò sempre insieme a voi. Quantomeno il ricordo che avrete di me sarà quello di un uomo degno che è stato leale verso la patria. Il popolo deve difendersi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare di colpi, ma non può nemmeno farsi umiliare.

Dopo aver trascorso cinque anni in Canada, lei, la sorella minore Ale e Mami, iniziano un viaggio avventuroso per tornare in quella terra lontana, quella patria amata, sognata, bramata, fatta per Carmen di ricordi lontani eppure vividi. Per la prima volta, Ale e Carmen lasciano il padre biologico e viaggiano prima con Mami e poi Bob, compagno rivoluzionario della madre, il quale dovrà essere nella loro nuova esistenza il loro patrigno; comincia per le due ragazze una vita fatta di segreti taciuti, di silenzi e di bugie, di identità nascoste e di facciata, di luoghi che cambiano così velocemente da richiedere una grande capacità di resilienza alle due bambine. La clandestinità, l’esilio dal Cile, impedisce a Mami di ritornarvi: è sulla lista nera, ma questo non le impedisce di essere membro attivo della resistenza. Mami è una combattente, decisa ad essere una donna che coniuga l’attivismo politico, il lavoro per mantenere la famiglia, e soprattutto a tenere con sé le figlie; nonostante, infatti, in molte altre donne abbiano deciso di occuparsi del Piano di rientro da sole, lasciando i propri figli ad un destino diverso (forse migliore, forse peggiore), Mami non è disposta a tale sacrificio. Carmen ed Ale la seguiranno ovunque, da Lima a La Paz, dalla Bolivia, all’Argentina, cambiando scuole, amicizie, perdendo legami, assistendo impotenti ai cambiamenti esterni ed interni alla famiglia, alla società. Non solo, Mami, nel bel mezzo di rivoluzioni e guerriglie, decide di avere un altro figlio da Bob, inarrestabile, nonostante la paura, è la forza della vita.

Le nazioni che toccano sono tutte coinvolte in procedimenti politici importanti: sembra che la scia della guerriglia, della repressione, segua Carmen senza mai abbandonarla. Sono periodi concitati: nessuno sa della sua vita vera, fatta di incontri clandestini, di personaggi rivoluzionari che sfiorano la sua vita e poi nottetempo spariscono nel nulla, senza che Carmen sappia che fine facciano; fatta di cassette postali, di notiziari da ascoltare col fiato sospeso, fatta di baci rubati e silenzi circa le proprie idee. Nessuno sa di cosa significhi vivere mentendo, tenendo in bilico così tante parti di sé da perdere il conto, tacendole, sotterrandole, con il terrore sordo e cieco di Mami, di Bob, che spariscono, che studiano carte a tarda notte e intraprendono continui viaggi. I quartieri, le case, i vicini, i compagni di classe, le città, i viaggi in pullman, le frontiere, si susseguono senza pace e sosta; la radio ascoltata di notte, la paura di essere scoperti ma al tempo stesso la devozione a una causa più grande per la quale dare la propria vita, il tutto cercando di mantenere salve le apparenze. Un lavoro estenuante ma doveroso. Non ci si può, non ci si deve lamentare, mentre altri soffrono, catturati, torturati, costretti a lavori subumani nel nome di un progresso macchinato abilmente dalle potenze che vogliono solo rendere quei Paesi ancora più poveri. Lo sfondo sociale e politico è filtrato dagli occhi di Carmen, come dice lei stessa nei ringraziamenti, ma nulla è inventato e per questo difficile da leggere senza farsi trasportare da emozioni: rabbia, angoscia, paura, tensione, voglia di vivere, di sopravvivere, colpa, rimorso, rimpianto.

Sembra non esserci stabilità ma questo non impedisce al tempo di trascorrere e tra musica proibita, viaggi dall’incredibile abuelita , Carmen cresce e con lei crescono i suoi bisogni. Cresciuta con determinati valori e con l’ideale di uno spirito patriottico e combattivo, le viene però chiesto di adattarsi alle varie realtà in cui deve vivere, incarnando di volta in volta i principi e i valori di quella società in quel determinato momento storico-politico; così deve fingere arroganza, di appartenere alla media-borghesia, in pubblico, e poi tornare a casa e origliare piani di guerra, politica e storia di sangue. La frustrazione di quegli adulti che troppo presto l’hanno voluta introdurre nel loro mondo, si riversa in scoppi di rabbia perché Carmen si adatta alla realtà: cosa deve fare, allora? In cosa consiste essere una rivoluzionaria?

Carmen vuole essere un’eroina ma si rende conto di quanto ciò sia dolorosamente difficile: sarà in grado lei di sacrificarsi? Pare però che non possa esserci alternativa per lei, e nonostante gli anni adolescenziali fatti di baci rubati e di ribellione, Carmen vuole diventare una rivoluzionaria, un membro attivo della resistenza, ad ogni costo. Vuole contare. Vuole che la sua vita serva a qualcosa, e cosa c’è di meglio che lottare per ciò in cui si crede? Per la libertà? Per i diritti fondamentali dell’uomo e per la possibilità di tornare a casa?

Non è affatto facile, scoprirà Carmen. Soprattutto quando cade preda di quello che lei chiama il Terrore, una paura letale, atrofizzante, che la rende piena di ansie, frigida, terrorizzata; deve indurire il suo cuore e portare a termine la missione. Perde amici, perde amori, si allontana dalla famiglia: tutto per la causa. Sullo sfondo di repressioni e guerre che hanno agitato il Sud America, l’autrice si racconta in un memoir intenso. La sua voce è limpida, pura; la sua è una storia personale ma anche corale, fatta di personaggi che hanno perso tutto ma vogliono lottare ancora, fatta di Paesi che combattono per la libertà e lo fanno tramite la lotta armata. La sua è una storia fatta di incontri segreti, di giovani speranze, di equilibrio tra i desideri umani e legittimi di una giovane donna e i compiti, le missioni, cui sembra predestinata. Carmen sa che non vuole deludere la sua famiglia e ingoia il nodo dell’angoscia per servire il proprio paese, anzi, vorrebbe essere in prima linea, a combattere in e per quel Cile che sente suo. La sua identità è figlia di tante terre, di tanti popoli; la sua è una storia necessaria narrata con lucidità e senza intenti o fini politici, Carmen ci racconta la sua vita incredibile, la lotta del suo Paese, la caduta del mito e la disillusione del mondo moderno.

La mia visione politica e la mia vita personale erano sempre state intrecciate ma erano anche in contrasto tra loro.

Nell’epilogo, ambientato nel 2010, la troviamo cresciuta e nel suo incontro con Alejandro, marito, amico, compagno, il primo con cui contravvenendo a ogni regola di sicurezza e segretezza lei si racconti, sembra chiudersi un cerchio. Tra le righe di queste pagine, si trova il dolore della guerra, la paura della repressione, la voglia di poter essere semplicemente se stessi e non più esiliati; tante le riflessioni che questo libro mi ha lasciato, a partire dalla figura di Mami e il suo rapporto con le figlie, fatto di alti e bassi. Come poteva Carmen dare voce alle proprie legittime istanze adolescenziali, al proprio desiderio di essere come gli altri, quando sua madre rischiava ogni giorno la propria vita in nome di un ideale di libertà? Come poteva conciliare l’importante bagaglio ideologico con tutto il resto? Nel finale, Alejandro si chiede se abbia fatto abbastanza per la propria terra: se raccontasse a suo figlio adolescente ciò che lui e Carmen hanno fatto, ci crederebbe? Lo capirebbe? Come cambia la prospettiva in così poco tempo: la loro lotta appartiene già alla storia. La resistenza cilena si è sciolta, ma come dice Carmen ad Alejandro, non c’è stata l’elaborazione di quel lutto: tutti quegli anni, tutti quei progetti, quei sogni, quelle speranze, quel sangue, non sono stati pianti adeguatamente, lasciando a loro il doloroso compito da svolgere in solitudine di andare avanti.

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