Review Tour: La vita invisibile di Addie La Rue

Review Tour: La vita invisibile di Addie La Rue

Buongiorno, lettori! Oggi Review Tour dedicato al romanzo La vita invisibile di Addie La Rue, scritto da V.E. Schwab (traduzione di Marina Calvaresi) ed edito da Mondadori, nella collana Oscar Fantastica. Ringrazio la Casa Editrice per questa lettura in anteprima.


“Non pregare mai gli dèi che sono in ascolto dopo il tramonto.” 

E se potessi vivere per sempre, ma della tua vita non rimanesse traccia perché nessuna delle persone che incontri può ricordarsi di te?
Nel 1714, Adeline LaRue incontra uno sconosciuto e commette un terribile errore: sceglie l’immortalità senza rendersi conto che si sta condannando alla solitudine eterna.
Tre secoli di storia, di storie, di amore, di arte, di guerra, di dolore, della solennità dei grandi momenti e della magia di quelli piccoli.
Tre secoli per scegliere, anno dopo anno, di tenersi stretta la propria anima.
Fino a quando, in una piccola libreria, Addie trova qualcuno che ricorda il suo nome.

Nella tradizione di Vita dopo vita e La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempoLa vita invisibile di Addie LaRue si candida a divenire una pietra miliare nel genere del “romanzo faustiano”.


In un piccolo paesino della Francia, vive una bambina. Villon è tutto il suo mondo, la certezza delle strade famigliari, gli odori, i luoghi a lei cari, la famiglia; per la prima volta, però, insieme a suo padre, se ne allontana per andare al mercato. Che viaggio! Che storie incredibili le racconta suo padre, con quella voce che sa di casa e cura, di accoglimento e protezione, di affetto. La bambina la ricorderà per tanto, tanto tempo. E scoprirà l’importanza delle storie, la bellezza del mondo, seppure per ora confinato ad un altro paese della Francia. Colleziona piccoli quaderni, disegna ciò che vede e ciò che sogna, perché lei è una sognatrice, lei è Adeline La Rue, detta Addie, un nomignolo diretto, meno importante di Adeline, che le è affidato Estele, la donna che prega gli antichi dei. Addie cresce e sogna, prega e spera, eppure gli anni le scivolano via leggeri come gocce di pioggia e l’infanzia cede il passo alla giovinezza: ora, viaggiare col padre non è più consentito. Addie assapora l’aspro sapore della gabbia, della restrizione, del crescere. E inizia a pregare gli dei di Estele affinché non le tocchi il destino di sposare un uomo che non ama, fino a quando, la morale, la regola, non si impone. Ormai adulta Addie deve sposare un uomo vedovo, ma lei non vuole. Pensa solo a fuggire, a pregare ogni voce in ascolto, nonostante gli avvertimenti di Estele … si avvicina il tramonto, e Addie finirà per pregare proprio quel buio tanto temuto dall’amica. Il buio le risponde, giocando con le parole e la confusione della ragazza. Il destino di Addie è così segnato, maledetto.

Che cos’è la libertà? Essere dimenticati? Non lasciare alcun segno del proprio passaggio? non avere vincoli? Ma che cosa sono i vincoli? La certezza di un lavoro e di un affitto pagato, di una quotidianita’ fatta di amici e complicita’, i risvegli con una persona, uomo o donna che sia, capace di ricordarsi.

Addie dovrà scoprirlo a caro prezzo in un viaggio attraverso se stessa ed il mondo che dura trecento anni, tra invenzioni meravigliose, guerre devastanti, mode che passano. Addie, scacciata ed esiliata, tornerà ciclicamente in quel paesino che via via scolora nei suoi ricordi, che si fonde ai tempi nuovi, fino ad essere irriconoscibile ai suoi occhi che pure lo hanno perlustrato in ogni anfratto, beffandosi quasi della sua maledizione: tutti hanno lasciato il proprio segno, fosse anche solo nella morte, con una lapide, tutti tranne Addie, destinata a non restare impressa mai troppo a lungo. Provando a cercare un proprio posto, Addie arriva a Parigi, ma troverà la città tutt’altro che la sfavillante meraviglia delle storie paterne, anzi: è sporca e cupa, ma diviene una sorta di casa per la ragazza che non invecchia di un giorno, anche se casa è un concetto davvero singolare per lei. Deve vivere, sopravvivere come puo’: quando hai l’eternita’ di un giorno davanti, come si misura la morale? Addie e’ costretta a manipolare la verita’, mentire e rubare.

E’ immortale? Non lo sa con certezza. Ma sa che il suo viso nonostante i patimenti della fame e del freddo, conserva l’ovale florido della notte in cui è scappata, di quel 29 luglio che ha segnato tutta la sua vita; sa che il suo corpo sente la sofferenza ma non ne porta i segni, ma i suoi occhi, oh i suoi occhi, hanno il tormento, la disperazione, la solitudine. Ma non solo. Hanno la fame di vita. L’oscuro sconosciuto, invocato dopo il tramonto, nato quasi dall’immaginazione di Addie per darsi una possibilità, il sogno di una vita libera da asfittiche decisioni, quando ancora Addie era la vecchia Addie, le chiede ogni anno se non sia stanca, se non sia pronta ad adempiere al patto e porre fine alle sue sofferenze terrene: Addie, un pò per sfida, un pò perché ci crede, risponde sempre di no. Lei deve conoscere, vedere, famelica di stupore e meraviglia. Perché una sognatrice è anche una ribelle.

Così Addie vagheggia mattinate insieme, ma è della notte che si accontenta e, se proprio non può essere amore, be’, almeno che non sia nemmeno solitudine.

La narrazione, pulita, scorrevole, non attraversa solo il passato di Addie, il suo viaggio attraverso i secoli e le città, il suo incontro con gli artisti, da sempre le sue persone preferite, ma porta il lettore anche nel 2014, a New York. Addie ha quasi trecento anni alle spalle, e ha imparato a convivere con la sua maledizione dopo averne saggiato margini e confini: non può conservare nulla di suo, tranne due oggetti, non può scrivere né pronunciare il suo nome, motivo per cui si presenta sempre con altri nomi, non può lasciare alcuna traccia scritta di sé … eppure, eppure. Ha scoperto che le idee sono più potenti del ricordo, che germogliano, e sbocciano: come piccole briciole, le sue sette stelle compaiono in quadri, in schizzi, la sua storia fa l’occhiolino dal testo di una canzone. L’arte è immortale. Addie si abbevera di musei, di concerti, di esposizioni, di letture: un modo per mantenersi viva, per colmare il vuoto dell’eternita’.

Il suo nome svanisce, portato via dalla corrente senza aver avuto modo di ingrossarsi e invecchiare, il suo nome strappatole via da voce umana, ma nella sua testa Addie va ripetendoselo come un mantra, come una promessa. Potrebbe arrendersi, come sarebbe facile, basterebbe un’invocazione, e lui verrebbe a reclamarla, quale il premio che lei è. Ma Addie non ci riesce. Il suo rapporto con l’oscuro, cui da anche un nome, è complicato: la loro sfida è una battaglia mortale , la vita di Addie è un gioco, un passatempo, eppure come Addie scoprirà c’è qualcosa di più che li lega. E’ amore? O solo possesso?

Se ogni giorno è come una goccia d’ambra, allora lei è l’insetto intrappolato nella sua morsa. 

Finchè arriva Henry, e tutti i trecento anni passati a cercare espedienti per vivere, resi difficili dall’Oscuro sconosciuto, volutamente pieni di ostacoli, vengono spazzati via. ” Io mi ricordo“. E tutto, vorticosamente, cambia. Ma perché Henry ricorda? Henry, fragile e irrequieto, con le sue tempeste e la sua incapacità di scegliere perché scegliere una via equivale a scegliere una vita e uccidere altre cento – mille possibilità … cos’ha di strano e di diverso questo ragazzo alla soglia dei trent’anni, col suo cuore che sente troppo. In cosa è diverso dagli amanti del passato, dalle ferite che Addie porta comunque sul suo cuore vecchio di trecento anni? Due metà che si incontrano. Due anime diverse. Un solo destino.

Inutile dire che ho amato ogni singola parola, ogni singola frase di questo libro; i riferimenti alla storia, all’arte, alla letteratura, la narrazione fluida, che mescola passato e presente e li fonde assieme. Mi sono emozionata, commossa. Questa è una storia potente e intensa, che mi ha lasciato così tante riflessioni: l’importanza del nome, del tempo. Chi siamo noi? Cosa ci definisce? Quanto è importante lasciare un segno del nostro passaggio? Addie, con la sua forza, la sua resilienza, il suo amore viscerale per la vita, per la bellezza che va ricercando nel mondo con lo stesso immutato stupore del primo viaggio fuori da Villon. Addie temeraria, ribelle, Musa ispiratrice di sogni che si concretizzano in idee, lei, indomabile, inafferrabile, lei indimenticabile nonostante tutto. Che potenza ha un’idea! Quanto forte può essere un incontro. Henry, che sente troppo, che vuole solo essere amato per ciò che è, che non si sente abbastanza e per questo decide di averne abbastanza. Quanta verità e quanto dolore nei suoi pensieri, nelle sue paure ancestrali e così comuni. E su tutto, la penna delicata e poetica dell’autrice, capace di raccontare, di emozionare, di coinvolgere e di lasciare senza fiato. L’arte, in ogni sua forma, è voce, è possibilità, è nome, è futuro, è idea, è vita. La storia di Addie e Henry mi accompagnerà per diverso tempo, sorprendendomi con un ricordo, con una frase, con un’intuizione, proprio come quel seme che piantato, germoglierà. Io mi ricordo, Addie.

L’atto di credere ha in sé qualcosa di gravitazionale. Se abbastanza persone si convincono di una cosa, quella diventa solida e reale come la terra sotto i piedi. Ma se sei l’unico a restare aggrappato a un’idea, a un ricordo, a una ragazza, allora è più dura impedire a quell’idea, a quel ricordo o a quella ragazza di volare via.

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