Il gran mondo
Buongiorno, lettori! Trovate disponibile dal 6 settembre il romanzo Il gran mondo, di Pierre Lemaitre (traduzione di Elena Cappellini), edito da Mondadori.
Beirut, 1948. Louis Pelletier e sua moglie Angèle sono emigrati da molti anni in Libano e hanno avuto quattro figli. Negli anni Venti Louis ha acquistato un modesto saponificio trasformandolo nel “fiore all’occhiello dell’industria libanese” e ne va enormemente fiero. Il figlio primogenito Jean, detto Bouboule, ventisette anni, è un uomo senza ambizioni, succube della terribile moglie Geneviève, con la quale si è trasferito a Parigi deludendo le aspettative del padre che l’avrebbe voluto alla direzione del suo impero. Il secondogenito, l’intraprendente François, sogna di fare il giornalista. Partito per Parigi, riesce a farsi assumere nella redazione di cronaca del giornale più popolare del momento. Nella capitale francese arriverà anche la figlia più giovane, Hélène, fragile e ribelle che entrerà in un giro di persone poco raccomandabili. Diversamente, il terzogenito Étienne, un sensibile “idealista senza ideali”, decide di seguire il suo amante, un militare in missione in Indocina, e si stabilisce a Saigon dove si scontrerà con una durissima realtà. Mentre i genitori rimangono soli e ignari a Beirut, in un’epoca in cui tutto sembra possibile e non lo è affatto, i figli devono fare i conti con amare delusioni e le conseguenze delle loro azioni, finché il passato irrompe nelle loro vite con il suo pesante bagaglio di inconfessati segreti. Drammatico e vitale, ironico e feroce, Il gran mondo è un’appassionante saga familiare e uno straordinario romanzo d’avventura dal ritmo inarrestabile. L’autore mescola sapientemente storie d’amore, una serie di omicidi, il profumo dell’esotismo, scandali politici e finanziari, malefatte dell’impero coloniale con colpi di scena fino all’ultima pagina. Con Il gran mondo Pierre Lemaitre prosegue la sua opera letteraria dedicata al Ventesimo secolo, inaugurando una nuova trilogia dedicata agli “anni gloriosi” del secondo dopoguerra.
Tutte le notti hanno una fine.
E’ il 1948. A Beirut, la famiglia Pelletier si appresta a compiere l’annuale “processione di famiglia” dalla casa al saponificio di famiglia, attività che è stata la fortuna di Louis e Angèle, emigrati dalla Francia. In Libano, la famiglia ha prosperato pur senza eccessi appariscenti. La coppia ha avuto quattro figli dalle fortune alterne. Jean, François, Étienne ed Hélène, la più giovane, di diciotto anni. Ogni figlio che lascia il nido, è una stilettata al cuore per Angèle, che vive malissimo queste partenze dei figli “ingrati”. Prima il maggiore sposa la tremenda Geneviève, e vanno a Parigi, dopo la disastrosa esperienza al comando del saponificio di Jean; poi il secondogenito prende anche lui la strada di Parigi per frequentare una rinomata scuola, fonte di vanto per il padre; ed ora è il turno di Étienne che volerà nell’esotica e pericolosa Indocina, a Saigon, per ricongiungersi con l’amato Raymond, militare. Con la partenza di Étienne, prendono il via una serie di circostanze e il lettore si trova coinvolto nelle vite, e nei segreti, di questa famiglia.
Mentre Jean è coinvolto in un matrimonio obiettivamente infelice dal quale non si capisce perchè non si tiri fuori, con una moglie talmente impossibile da risultare quasi esilarante, François rincorre il sogno di diventare giornalista, sebbene da diciotto mesi sia a Parigi ma per ora non ha avuto fortuna. L’occasione propizia avverrà proprio con Jean e la moglie quando il terzetto si recherà al cinema a vedere un nuovo film e, durante la proiezione, verrà compiuto un atto criminoso che lancerà di fatto la carriera di François.
I fratelli Pelletier sono molto diversi tra loro e hanno scatenato in me sensazioni e sentimenti diversi, in fasi differenti della storia. Senza perdermi troppo in lungaggini, mi espongo dicendo che il mio preferito è stato Étienne. Nonostante si trovi dall’altra parte del mondo a gestire un evento che, pur se prevedibile, lo ha devastato, dopo un momento di sconforto e di abbandono alla via dell’oppio, Étienne prova a rialzarsi con le sue forze e a scoprire la verità. Forse lo fa più per una specie di vendetta catartica che per autentico amor di verità, fatto sta che si espone a rischi enormi, che mette insieme i pezzi e che, in fin dei conti, ha la storyline che più mi ha appassionata e coinvolta. Mentre Étienne rischia la vita a Saigon, gli altri tre fratelli vivacchiano in una Parigi sull’orlo di una crisi civile.
Tutti mentono. Tutti nascondono segreti, omettono parti di verità perchè pensano che i genitori non saprebbero comprenderli o perderebbero la loro approvazione. Se questo è un tratto che posso comprendere, su una cosa i tre Pelletier parigini mi sono piaciuti meno. Lontano dall’essere spavaldamente arroganti, godono comunque di una serie di privilegi nonostante le loro presunte “sventure” economiche o malefatte autenticamente criminali (non posso dire altro pena lo spoiler!).
Tutti sono coperti dal padre, dalle sue risorse, dalla sua capacità di anticipare mosse e desideri dei figli. Prendo ad esempio Hélène la ribelle, che arriva nottetempo a Parigi con pochissimi soldi, sbattuta letteralmente fuori da entrambi i fratelli che per ragioni diverse non possono e non vogliono – soprattutto – occuparsi di lei. Sì, di una giovane sorella di diciotto anni fuggita letteralmente di casa e arrivata in una metropoli. La abbandonano a sé stessa, senza scrupoli né conseguenze; dal canto suo, l’ingenua ragazza viene salvata ovviamente dal padre, a cui mente ancora e ancora, ma dal quale viene coperta. Ecco, l’ingenuità dei Pelletier mi ha scioccata. Sembrano quasi usciti da un mondo ovattato e perfetto, in cui le cose brutte li sfiorano senza toccarli. Peggio, a loro è concesso fare brutte cose senza essere toccati ( ma su questo non posso dire di più). Quando, infine, sono colpiti dalla tragedia, la reazione di François è … originale. Nella tragedia vede l’occasione sprecata di un grande salto di qualità nella sua carriera da giornalista. Probabilmente, l’epoca in cui il romanzo è ambientato richiede anche un certo codice comportamentale dei figli verso i genitori e di questi verso la progenie: piangere è un atto vietato, come pure un conforto fisico che vada oltre la pacca sulla spalla, come a turno fanno notare i membri della famiglia. Un abbraccio, forse, avrebbe aiutato a gestire meglio il dolore, le scoperte, le menzogne, il passato che torna. O forse sono io ad essere troppo severa con questi Pelletier! Chi francamente mi ha stupito in positivo è la madre: una donna che dimostra una determinazione feroce nel ritrovare la verità. Che donna!
Lo stile di Lemaitre è magistrale: ho divorato in pochissimo questo romanzo corposo, completamente rapita dalla sua prosa; proprio per le domande e le riflessioni che i personaggi hanno fatto sorgere in me, il libro mi è scivolato tra le mani perchè volevo sapere, osservare, conoscere, capire. Nonostante l’ingenuità dei Pelletier, ne ho saputo cogliere l’ironia, i desideri, le paure, le ambizioni. Durante la lettura, i personaggi non solo sono risultati per me subito riconoscibili ma sono diventati di famiglia, e forse proprio per questo mi hanno stuzzicato, stimolato, facendomi ridere, arrabbiare, commuovere. Mi sono, credo, rivista sia in loro ma anche in questi due genitori che cercano di aiutarli come possono ma che, in fondo, sono umani anche loro e come tutti nascondono segreti e hanno aspettative, velleità. L’autore offre inoltre una sapiente ricostruzione sia della condizione sociale della Parigi del 1948, sia la situazione della guerra in Indocina, regalandomi pagine avvincenti e interessanti. In definitiva, per me un libro assolutamente da leggere!
-copia per la recensione fornita da Mondadori