Quelle in cielo non erano stelle

Quelle in cielo non erano stelle

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Quelle in cielo non erano stelle, scritto da Nicoletta Bortolotti ed edito da Mondadori che ringrazio per la copia.


Sono passati cinque anni dall’esplosione che nel 1986 ha distrutto la centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, sprigionando nell’aria una nube tossica che si è posata ovunque: sulla foresta cambiandone i colori, sugli animali facendoli ammalare, su fotografie, vestiti, giocattoli… e sulle persone. Omar, un ragazzino che vive nel Nord Italia, non sa nulla di tutto questo finché a casa sua non arriva una bambina ucraina dai capelli color sabbia, per trascorrere un mese lontano dalle radiazioni. Vassilissa non parla e lascia vedere di rado il suo simpatico sorriso: è diffidente, come lo è Omar verso di lei. Ma se per essere amici non ci fosse bisogno di parlare la stessa lingua? E se per disintossicarsi dalla paura l’amicizia fosse la medicina migliore? Un romanzo corale scritto con passione e grazia che, attraverso le vive voci di una volpe, di un ragazzino e della stessa nube, rinnova la memoria di uno dei più drammatici eventi della Storia contemporanea. Età di lettura: da 11 anni.


E’ il 1991 e a Caronno Pertusella ( o Caron City), ai margini della Pianura Padana, Omar e la sua famiglia si apprestano ad accogliere Vassilissa, sorella in affitto per un mese, proveniente dall’Ucraina, dove qualche anno prima, nel 1986, si è consumato il disastro nucleare collegato all’esplosione a lungo taciuta di un reattore nucleare. Omar non è particolarmente interessato a questa fantomatica ragazzina di nove anni che non è ancora arrivata e già gli ruba la scena in famiglia, anche se sa benissimo che i genitori gli affibbieranno il compito di mediare una diversità linguistica e un crescente imbarazzo. L’unico ad entrare in empatico contatto con Vassilissa sembra essere Dien, il terranova di Omar, che risponde alla prima parola della bambina, il suo nome appunto. In una sorta di lunga lettera aperta a Vassilissa, Omar ricostruisce quel mese, dai primi timidi e imbarazzati approcci all’amicizia, alla complicità che culmina con le promesse di due ragazzini di ritrovarsi, di non perdersi. La normalità di Omar viene sconvolta dal ruolo, seppur temporaneo, di fratello affidatario maggiore che deve quindi inserire nei suoi giochi e impegni Vassilissa.

Alternati ai capitoli declinati dalla voce di Omar, troviamo quelli raccontati proprio dalla nuvola radioattiva e da una volpe chiamata Coda Scarlatta, emblema di speranza e di rinascita.

Lo sguardo di U-235 si estende, come fa la nuvola stessa, e qualcuno, la Svezia, si accorge del disastro incorso in Ucraina; ma l’uomo ancora tende a mascherare, a omettere, a nascondere come quei tumuli di terra che seppelliscono la natura, gli animali, le case intere, la vita stessa. Tumuli di terra da scorticare, per estirpare l’avvelenamento creato dall’uomo, per un esperimento. Non è solo il “fuori” ad essere colpito: la nuvola radioattiva si insinua all’interno delle case, nei pensieri di una Madre che ha fatto bere alla figlia il latte di una mucca, frutto di una catena di contaminazioni, e la nuvola contagia, sì, la vita intera, con la sua scia di ansia, preoccupazione, incertezza.

U- 235 ci mostra la fuga da Pripyat verso una Città nuova, che però è sempre la vecchia città di qualcun altro, alla ricerca di una normalità che però non appartiene alla famiglia di Vassilissa; Madre, Nonna e Bambina di notte, nei loro sogni, a distanza siderale dal reale, sono ancora in quella casa natale, a giocare con la volpe e a prendersi cura di orto e animali. Anche se non è del tutto convinta, la Madre finisce per accettare un mese lontana da sua figlia per mandarla in quell’Italia ” a sud”, per ripulirsi, l’ennesima cosa che la nuvola le toglie.

Nel tuo Paese la morte non ha un sapore particolare, dice Omar nel suo racconto, nella narrazione tutta personale che ha con Vassilissa, come a dire che la morte non è identificabile e può giungere all’improvviso e da ogni parte, può arrivare da una pozzanghera che a lui sembra normalissima e invece a Vassilissa blocca il corpo intero, o dai funghi. E se può arrivare da ogni parte, se è indefinibile la sua fonte, per dei bambini e per la loro immortalità, questo è un pensiero devastante e immobilizzante: come posso proteggermi da un nemico praticamente impossibile da isolare e vedere? Ecco allora forse una delle motivazioni della maschera di V., la fonte della sua irrequietezza, come la definisce Omar. Ma V. è anche stupore e meraviglia di fronte a cose così quotidiane da far risultare la loro mancanza sconvolgente: il bagno, il water, la pizza, la lavastoviglie. E Omar si chiede: ma com’è allora questa Ucraina?

L’amicizia tra Omar e Vassilissa è dapprima timida, ed è fatta di condivisione di momenti, di spruzzi d’acqua in riva a quel “belo mare” che, come tutte le cose meravigliose, atterrisce e attrae al tempo stesso, ma è anche un’amicizia che si concretizza nella paura, nel momento in cui il mastodontico e bonaccione terranova di Omar scappa e i due ragazzini si lanciano all’inseguimento nel Parco che di giorno offre ristoro dal caldo e di notte è foriero di paure ancestrali. Proprio qui, Omar sente prepotente l’istinto, la fusione e l’identificazione tra lui e il suo ruolo nel gioco fantasy che fa con gli amici, e grazie a questa immedesimazione che si fa cavaliere, pur ferito e stanco e vive la sua avventura.

Di questa storia mi ha colpito il modo in cui l’autrice riesce a descrivere un Omar – ragazzino, ferito forse dalla gelosia per l’arrivo di una sconosciuta che sembra avere un certo posto nel cuore e nella mente dei genitori, quei genitori che lui ora fatica a raggiungere, e un Omar – privato, di una sensibilità incredibile; tramite questi due piani, a mio avviso, l’autrice riesce a rendere la storia fruibile sia da un pubblico giovane, sia da un pubblico adulto. Nelle riflessioni e domande che Omar fa ad esempio al suo alter-ego Cavaliere Nero, c’è un mondo che si apre alla diversità e al nuovo: Vassilissa è un elemento di rottura di una routine scandita dall’aria afosa del piccolo paese della pianura padana, è novità e Omar deve capire come affrontarla. Rispetto a tutto quanto ha già vissuto, V. è straniera nel senso di ineffabile, irraggiungibile, perché parla un’altra lingua, solo marginalmente legata all’asse ucraino-russo, parla la lingua del dolore e della privazione, di una storia che per Omar è tutta da scoprire.

E nella tenerezza dietro alle parole che “apparecchiano la tavola” di questa famiglia che, forse, per mezzo di Vassilissa, così lontana dalla sua si ritrova, nei gesti spontanei e nell’Italia stentato di V., che si annida la potenza dell’emozione. Cogliere l’essenza di questa storia non può che provocarmi delle emozioni sia positive, legate ad una famiglia che si riscopre, a un’amicizia che nasce, sia negative, legate alla rabbia e al dolore di quella nuvola, alla sofferenza di V.; piano piano, attraverso il racconto di Omar, di Coda scarlatta di U – 235 i pezzi della storia di Vassilissa vanno al loro posto e i suoi silenzi trovano ragione. Una faccia che piange, una faccia che ride, su un foglio spiegazzato e pieno di giorni e croci: una madre e una figlia per cui questo mese è eterno. Una faccia che ride e una data in cui sorride ancora quella faccia, perché famiglia non è sempre e solo quella in cui si nasce ma anche quella in cui si capita. Chi aiuta chi a ripulirsi in questa storia? Un messaggio di grande impatto emotivo narrato con un linguaggio diretto e pulito, che mette in scena diverse storie: dalla provincia padana, dalla vita tranquilla di Omar, alle piccole tensioni famigliari, alla nostalgia che affligge la Nonna per una casa che non sarà mai più, alla speranza di una volpe dalla coda rossa che tutto invece si sistemi.

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