La consuetudine del buio

La consuetudine del buio

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo La consuetudine del buio, scritto da Amy Engel (traduzione di Alba Bariffi) ed edito da HarperCollins che ringrazio per l’invio della copia.


Eve Taggert non è estranea al lato oscuro della vita. È sopravvissuta a una famiglia disastrata e a una madre dura e spietata che non le ha certo insegnato la tenerezza, e adesso vive nella precarietà in una piccola cittadina sperduta nei Monti Ozark. Nonostante questo, non ha mai fatto mancare nulla a sua figlia di dodici anni, Junie. L’ha cresciuta da sola, a dispetto di tutto, lottando ogni giorno per darle la vita che lei e il fratello non sono mai riusciti ad avere. Comprensione, sostegno, amore. Finché, in una mattina livida e fredda, Junie viene trovata nel parco giochi cittadino, stesa accanto alla sua migliore amica. Abbandonate come bambole rotte, la gola tagliata. Le ricerche della polizia finiscono presto in un vicolo cieco, ma Eve non ha intenzione di rassegnarsi. Deve scoprire chi ha ucciso la figlia. La sua ricerca di giustizia la trascina dai bassifondi della città fino alla solitudine dei boschi. Ma più di tutto, la riporta alle lezioni di vita della madre. Perché Eve avrà bisogno di tutta la crudeltà che le è stata insegnata per scoprire la verità. Amy Engel ci regala un romanzo magistrale e sconvolgente che ha conquistato il cuore dei lettori e della critica e che è stato venduto in quindici paesi nel mondo. La consuetudine del buio è una storia sul legame indissolubile fra una madre e una figlia. È una storia di vendetta, è una storia di coraggio. E di come, a volte, anche il più oscuro e terrificante dei luoghi può darci il senso di protezione di una casa.


Eve è una giovane donna, nata e cresciuta nel Missouri; vive a Vernon, un posto in cui l’integrazione è un miraggio e il solo fatto di avere una casa e un lavoro fisso fanno dei membri di una famiglia una potenza locale. Forse, a guardarla da fuori, gli altri potrebbero considerare la vita di Eve come quella di una predestinata il cui fato era deragliare, degna figlia di sua madre, una donna precaria, promiscua, anaffettiva, violenta, dedica al sesso e alle droghe. Eve finisce a stento la scuola quando scopre di essere incinta ma per lei, Junie, è una salvezza, è la possibilità di una rotta nuova per se stessa mentre cerca di crescere da sola questa creatura, in modo diametralmente opposto a quello che la madre aveva fatto con lei. Basta alcol, basta sigarette, compagnie sgradevoli, atteggiamenti provocatori e ribelli; basta frequentazioni di un certo tipo, e basta soprattutto all’influenza velenosa della madre. Lei non si avvicinerà mai a Junie, Eve l’ha promesso e l’ha giurato anche suo fratello Cal, di poco più grande di lei, poliziotto. Cal e Eve ne hanno passate tante insieme, sono cresciuti a suon di lezioni duramente impartite dalla madre, una donna per cui i gesti d’affetto erano tanto improvvisi quanto imprevedibili, rendendoli quindi due ragazzini sospettosi, famelici, di vita, di cibo, di soldi, di amore. Non solo, la madre è sempre stata una donna a suo modo pericolosa, dotata di un certo carisma e pronta a difendere davvero con le unghie e con i denti ciò che considerava suo. Eve e Cal hanno sempre vissuto ai margini, con pochissimo, cercando di barcamenarsi nella vita per affrontare le varie necessità: ora Eve lavora in una tavola calda, con cui riesce a malapena a permettersi una vita decente per lei e sua figlia di dodici anni.

Tutto precipita quando Junie e la sua migliore amica vengono trovate assassinate nel parco cittadino. Chi può essere stato? L’omicidio di Junie riporta a galla in Eve una serie di comportamenti autodistruttivi che credeva di aver dimenticato, ma che, più verosimilmente, aveva messo in pausa per essere la madre che Junie meritava. Così riemergono ferite, memorie, rabbie, eventi, luoghi, cicatrici come un flusso deragliante pronto a portarla alla deriva. Chi è Eve? La premurosa e amorevole madre che raccontava a Junie le storie, che cercava di essere per lei un valido riferimento, o la donna che in conferenza stampa minaccia apertamente l’assassino? Quale delle due è una maschera in una realtà cittadina asfissiante e ligia a determinate regole? Eve non è tuttavia disposta a crogiolarsi nel dolore, anche se ovviamente la sua vita per lei è finita nel momento in cui ha scoperto di Junie: come può l’universo girare ancora mentre sua figlia è stata brutalizzata? Non le resta che tornare dove mai avrebbe voluto: da sua madre, dal suo passato fatto di incuria e scelte sbagliate per sentirsi dire esattamente ciò che le serve. Come può dormire, vivere, mangiare, quando qualcuno ha osato fare del male a sua figlia?

Inizia per Eve una ricerca personale carica di angoscia e dolorose scoperte, un viaggio attraverso segreti sepolti e verità inconfessabili per dare giustizia a una figlia che purtroppo non tornerà mai più; Eve mette in discussione tutto e tutti, ogni frammento di equilibrio che aveva ottenuto duramente, pagandolo a caro prezzo, viene ribaltato. Perché lei sa, dentro se stessa, che la morte di Junie ha qualcosa a che fare con lei. Non con Izzy, l’amica del cuore e figlia di una ricca famiglia a cui Eve guarda con invidia, non con quella ragazzina che forse si era cacciata nei guai con un tipo più grande di lei. No, lei sa che è il suo passato, il suo bagaglio ad aver tranciato la vita di sua figlia.

Una storia di dolore, di vendetta, di bugie, di famiglia; quanto è contorto il rapporto tra una madre e i suoi figli? Eve e sua madre sono implicate in un legame selvaggio, distruttivo, violento, eppure essenziale, quasi provvidenziale: quando ad Eve non resta nulla, sa che sua madre ci sarà, in modo distorto forse dal di fuori, ma comunque sarà lì per lei. Per aiutarla a fare ciò che va fatto. In un contesto degradante e degradato, dove le donne vengono usate, dove la legge è manipolata e violenta, Eve cerca di fare del suo meglio, pur con le sue difficoltà; è un luogo difficile in cui vivere ma da cui non riesce a fuggire, imbrigliata in una realtà fatta di routine meccaniche che rischiano di slatentizzare nell’abuso e nella devastazione. Eve è un personaggio complesso, che non si concede nulla: affronta la morte di sua figlia con una lucidità rabbiosa, spaventosamente dolorosa e brutale, a confronto per esempio dei genitori di Izzy. Eppure, pagina dopo pagina, anche lei sarà costretta a rivedere le sue posizioni sui giudizi che da agli altri perché è nel dolore del necessario che ci si scopre realmente.

Quando i pezzi del puzzle che hanno portato alla morte della sua bambina trovano la loro collocazione, ne emerge un quadro annichilente, perverso, impossibile da digerire. Eve potrà perdonare?

Fino a che punto ci si può spingere per fare il necessario? Quali domande si è pronti a porsi e a porre a chi si ama, e quali risposte si possono tollerare? Esiste forse un punto in cui è meglio lasciar perdere, piuttosto che sapere la verità, che guardarla in faccia e assimilarla con ogni poro della propria coscienza e consapevolezza? Può l’oblio essere meglio?

Con un stile preciso e netto, l’autrice mi ha tenuta incollata alle pagine, capace di ricreare un contesto suburbano credibile, personaggi coerenti e una trama ben orchestrata: ci sono stati momenti in cui l’emozione ha preso il sopravvento, in cui sono entrata in empatia in Eve, madre-figlia, sorella, donna. Il suo dolore è un urlo che mi è rimasto addosso anche dopo l’ultima pagina: si può davvero scrivere la parola fine dopo la morte di una figlia? Un romanzo che parla di morte e di amore, della complessità dei rapporti e dei legami famigliari.

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