La tentazione

La tentazione

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo La tentazione, scritto da Luc Lang ( traduzione di Tommaso Gurrieri ) ed edito da Edizioni Clichy, che ringrazio per la copia.


È la storia di un mondo che precipita, un vecchio mondo dove tutto improvvisamente si sgretola e si incendia, e di un nuovo mondo che sorge, dove tutto ciò che si credeva non conta più, dove ogni riferimento salta e dove la realtà ci appare improvvisamente opposta a ogni nostro pensiero. François, chirurgo cinquantenne, celebre, rinomato e all’apice della carriera, ama la caccia. Gli piace la ricerca della preda, gli piace avere il potere di uccidere. È un uomo che ha costruito intorno a sé regole, abitudini e sentimenti che gli corrispondono e ne hanno fatto un vincente. Un giorno, a caccia, si trova di fronte un cervo maestoso, e, colpito da quella seducente magnificenza, ha un momento di esitazione. Spara, ma non lo uccide. Quando si trova di fronte l’animale ferito, invece di finirlo come ci si aspetterebbe da lui, come lui stesso si aspetterebbe da se stesso, decide di caricarlo sul suo pick-up e di salvarlo. Da qui inizia il viaggio del protagonista verso il suo nuovo io. Afferrare la vita, restituirla: un uomo che si sente onnipotente vivrà le più crudeli prove in questo racconto iniziatico che unisce thriller, western, e una folgorante ode alla natura selvaggia. In questo teso e cinico racconto l’autore descrive gli abissi familiari mettendoli di fronte al caos della nostra società occidentale. E insieme narra lo sperdimento di una generazione di genitori che capiscono di non conoscere i propri figli, divenuti spietati predatori: un figlio banchiere che ha l’avidità di una belva e una figlia smarrita come un animale ferito, persa dietro a un truffatore. Tra loro una madre/matrigna italiana, morbosamente attratta dal figlio maschio, in conflitto con la figlia femmina e preda di derive mistiche. Al crepuscolo della vita, François si chiede cosa può ancora trasmettere di sé a un mondo che non gli corrisponde più. Luc Lang, che raggiunge con questo romanzo la definitiva consacrazione, ci regala una sua personalissima «storia della violenza» mettendo al centro un eroe che crede nella purezza e del quale descrive superbamente la caduta e la redenzione.


François ha poco più di cinquant’anni, è un chirurgo ortopedico, due figli, una moglie e una passione per la caccia; qualche giorno prima dei Santi si reca nella sua tenuta per uscire a caccia con un vecchio amico che, però, lo lascia improvvisamente solo. François conosce bene quei boschi e sa di farcela anche senza il suo amato cane, morto accidentalmente per un colpo vagante proprio durante una battuta di caccia – un vuoto che non è impaziente di colmare, e soprattutto punta da due anni ad un mirabile esemplare di cervo sedici punte. E’ a lui che da la caccia in un incontro quasi mistico che rimescolerà le carte in tavola: come può, in quel “silenzio preumano” sostituire la potenza della natura con la sua tecnica fatta di fucile? Esita. Forse domani. Ma non c’è domani perché in quei boschi si sta consumando altro: un’immagine, l’eco di una nuca e di un profilo aggraziato. I fari di un’auto potente. E’ forse sua figlia Mathilde quella che si gira di scatto in quell’abitacolo lussuoso per evitare l’incidente? Lei, passa incolume, forse, ma qualcun altro no. Da cacciatore, François sa che non può lasciare un animale ferito in quelle condizioni e così sovvertendo qualunque sua ritualità e consuetudine decide di portarlo nella sua macelleria, dove ripara, estrae, cuce, accudisce. Cosa ha letto nello sguardo dorato dell’imponente avversario? Un riconoscimento? Un’ammissione di potenza? La possibilità di plasmare un destino diverso per l’animale, lui che è un chirurgo così prestigioso? Alla tenuta, però, le sorprese non sono finite perché trova ad attenderlo suo figlio Mathieu, che non vede da tanto tempo. Il maggiore dei due figli, infatti, ha lasciato Lione e gli studi di medicina ( caldamente consigliati dal padre) per intraprendere una carriera nel mondo della finanza, cosa che gli fa fruttare un grande guadagno ma che l’ha portato a vivere prima a Londra e poi a New York. Seppure gli eventi di tale cambiamento non vengono approfonditi, se ne percepiscono le conseguenze nelle atmosfere tese e cariche di silenzi, di disagi, tra il padre e il figlio. Se di François arriveremo a conoscere tanti dettagli, in uno scandaglio quotidiano delle sue azioni, dalla colazione alle operazioni, dal sezionare gli animali alla caccia, e dei suoi pensieri, riflessioni sulla sua vita passata, presente e futura, certi spiragli voyeuristici fanno emergere l’immagine di un uomo incline a perdere la pazienza.

Si erano scambiati parole offensive, crudeli … di quella crudeltà esatta e mortale che si perfeziona solo dentro una famiglia, costruendo tra l’uno e l’altro una parete di vetro.

Mathieau proprio non riesce a capire l’ossessione che il padre dimostra per conoscere l’esatta posizione della secondogenita, Mathilde ( François sottolinea un paio di volta al figlio che la sorella ha deciso di specializzarsi in ginecologia), intimandogli di lasciarle vivere la propria vita. Ma l’uomo ha motivi ben precisi per covare una crescente ansia che si somma alla sensazione di protezione acuta che prova per la figlia sin da quando era bambina. Proprio come in uno spettacolo teatrale, all’uscita di scena di Mathieau corrisponde l’entrata clamorosa di Mathilde: bussa, annunciata da colpi di pistola. Cosa è successo? François proprio non riesce a capire come la propria famiglia possa essere arrivata a questo punto: disgregata, disorientata, così diversa da quell’ideale che forse aveva in mente. Cosa c’entra la sua bambina con un personaggio chiaramente criminale? Dove si spingerà François per salvare la sua famiglia e il suo lavoro?

Le persone più care seminano in lui dei rancori che lo incatenano e lo confinano in un angolo di se stesso, il meno glorioso, il più nascosto, il più meschino, incapace come adesso di abbracciare, sì, ai suoi piedi, lo splendore che gli si dispiega davanti.

François è un personaggio complesso, un uomo difficile da comprendere sino in fondo, pieno di luci e di ombre; il suo amore per la moglie sembra quasi sorprenderlo ancora, nonostante si renda conto del tipo di madre che Maria è. Viene da chiedersi, allora, come abbia fatto a sopportare di avere accanto una madre legata in maniera ossessiva e patologica al figlio maggiore e anaffettiva, fredda, evitante, nei confronti della figlia minore; o almeno questo è quanto sembra emergere dalla memoria di François e che apparentemente non trova riscontro quando l’uomo parla proprio con la figlia che lo accusa, anzi, di adulterio. E’ l’uomo follemente innamorato, capace di sopportare anche gli allontanamenti della moglie, di conservare i suoi segreti e le sue bugie, oppure no? E’ comunque un uomo che sente di aver fallito come padre, di aver perso quel minimo di presa che poteva avere sui figli e che si chiede se dovrà essere spettatore di una frattura ancora più profonda tra lui e loro; ma in cosa consiste questo fallimento? Nella piega criminale di Mathilde o nel discostarsi di entrambi da un modello paterno?

A mio avviso, questa è una storia che parla di incomunicabilità, del difficile rapporto tra padre e figli, incapaci di ritrovarsi per svariati motivi, con un padre che pensa di dire certe cose e poi nell’impeto del momento non riesce a non esprimere il proprio parere e giudizio, vanificando gli sforzi di tenere unita la famiglia. E questo padre, ad un certo punto, prenderà persino in considerazione gesti estremi per salvare sua figlia, o meglio per l’idea di salvezza che lui ha di sua figlia. Ma Mathilde vuole essere salvata? Si è chiesto questo? Su un paesaggio incredibile, dove la neve, il silenzio, la quiete viene rotta da spari e sangue, va in scena uno scontro tra mondi: il cervo, François, un padre e dei figli, vecchio e nuovo.

Il linguaggio dell’autore sembra riecheggiare la professione del suo protagonista “il geologo dei tessuti profondi”: come un bisturi, taglia ed espone la parola nella sua essenza per poi ricostruire una storia, partendo da una sequenza di azioni, una sorta di routine del pensiero e del fare su cui però poi si stagliano aperture, fenditure profondissime, crepe inconciliabili. Come il chirurgo che mira la sua opera pur definendosi un artigiano, che vibra del lavoro delle sue mani ben assicurate, così la parola usata dall’autore è lavoro di cesellatura. Allargando, pagina dopo pagina, lo sguardo su questa famiglia, si scoprono segreti e bugie, tradimenti, vincoli, passioni e dispiaceri; ed è una storia fatta di strati, da scoprire. E’ la scoperta di un padre che le proiezioni filiali da lui immaginate non hanno trovato un corrispettivo nella realtà, è la sua presa di coscienza di quanto il suo mondo e quello dei due figli siano distanti, lontani, incomunicabili. Ma per colpa di chi? E’ una colpa inevitabile oppure si possono ravvisare le origini di questa specificità?

Sarebbe sin troppo facile addossare le colpe a Maria, sensualissimo epicentro della vita di François: la loro relazione è morbosamente complicata, eroticamente viva e vivace proprio grazie a quella tensione mistica cui vuole assurgere Maria. Nemmeno gli abiti pseudo-monacali possono fermare il pensiero e la fantasia erotica del marito; e anche su come Maria, ben lungi dalla Vergine di cui porta il nome, possa vivere da diversi mesi in convento, c’è il seme di quella carnalità che lei stessa accusa nel rapporto tra il marito e la figlia. Le notti con la “sua” suora sono quantomeno foriere di ambiguità. Ma François sorvola, trovando rifugio nel calore, nella sorgente pulsante adagiata tra le gambe della moglie, un invito, una promessa, uno sviamento. Ecco, carnale è proprio l’aggettivo che secondo Mathieu la madre scaraventa sulla relazione tra padre e figlia ma anche lei sembra essere coinvolta in un rapporto ambiguo, di dipendenza affettiva con il figlio. La cosa che stupisce François è il silenzio di questi due figli su queste dinamiche tormentate: come fa Mathilde a non ricordare l’episodio, per lui così pregnante da cambiare completamente l’opinione della moglie, in cui la madre avrebbe goduto nel vederla morire? O come fa Mathieu ad averla addirittura voluta al suo matrimonio, lei sola, quando il loro rapporto è così perversamente contorto, con la madre che lo paragona al Cristo? François si sente ingiustamente estromesso da questa vita familiare, una nota a margine, lui che per i figli ha solo voluto il meglio, lui che farebbe e fa di tutto per la sua Maria? Ma dove sta allora la verità? Forse è da ricercare nelle brevi affermazioni di Mathilde dove accusa il padre di considerare la madre – e per esteso anche i due figli – mere proprietà, alla stregua delle teste di cervi che colleziona ed espone come trofei. Gode forse François del suo ruolo di controllo, di essere medico di chi ama? E Maria, allora, in questa chiave, è vittima o preda di questa relazione?

Chi è François? Un padre amorevole, che si spinge anche oltre rispetto a ciò che dovrebbe per difendere i suoi figli, o un padre giudicante? Tanto nel rapporto con Mathilde, quanto in quello con Mathieu, emergono le difficoltà dei rapporti famigliari: Mathieu lo accusa di essere obsoleto, François non capisce l’adorazione per il dio denaro e così si muovono su un terreno fragile che ora non può nemmeno appigliarsi alla mediazione della madre Maria, della sorella o della moglie Jennifer, figura eterea sullo sfondo di una copertina patinata.

La focalizzazione sul fare, inanellando una serie di azioni al tempo presente, si interrompe, a mio avviso meravigliosamente, quando l’autore si concentra sia su momenti emotivamente saturi e rilevanti, sia sul paesaggio, il quale lungi dall’essere mero sfondo diviene protagonista. In questi passaggi, la parola si fa cosa concreta: rumori, odori, colori, la natura, con i suoi alpeggi e contrafforti, si impone all’attenzione. La neve, il vento, il freddo, il cervo, ma anche questa tenuta, pregna di ricordi e memorie su cui Francois si sofferma, allontanandolo ancora una volta dal mondo dei figli: un luogo ameno, senza connessione, di cui conservano solo vaghi frammentari ricordi, mentre per Francois sembra quasi un tempio. Un luogo in cui l’equilibrio di questa famiglia verrà nuovamente messo in discussione, teatro di una follia criminale.

Come ho detto, questo romanzo è saturo di sfumature, è una storia che si presta a tante letture, a tante suggestioni nutrite dallo stile unico dell’auore, dalle sue frasi frammentarie, dai suoi dialoghi senza punteggiatura; la narrazione è una sorta di flusso di coscienza che, a parte qualche pagina iniziale per prendere confidenza con la peculiarità stilistica, ha finito per inglobarmi, rendendomi impossibile posare il volume. E quando mi sono adagiata, convinto di aver afferrato la direzione che la storia avrebbe preso, ecco che l’autore dissemina piccole scosse, piccole variazioni, quasi degli inciampi, spiragli di possibilità diverse che mi hanno lasciato con una domanda ” e se …?”. Come rimugina ad un punto François: “è la storia di una fine, di un inizio?”.

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