L’ospite perfetto

L’ospite perfetto

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo L’ospite perfetto, scritto da Herbert Lieberman ( traduzione di Raffaella Vitangeli) ed edito da Minimum Fax, che ringrazio per la copia.


Albert e Alice Graves si sono appena trasferiti in campagna per godersi serenamente la pensione in una villetta circondata da alberi. Un giorno un giovane operaio, Richard Atlee, si presenta per la manutenzione della caldaia e i Graves lo invitano a cena. Nelle settimane successive in casa cominciano a sparire degli oggetti, e ben presto vien fuori che a rubarli è stato Richard, per arredare l’intercapedine che si trovano in cantina e nella quale si è insediato. All’inizio i Graves cercano di cacciare il giovane, poi provano ad accoglierlo, ma Richard non accetta l’offerta, rimane nascosto nel suo spazio angusto sotto la casa. È brusco, silenzioso, a tratti aggressivo. Comincia così un gioco al massacro che sembra non conoscere fine, nel quale il ragazzo diventa di volta in volta il figlio che la coppia non ha mai avuto, un perfetto estraneo, un angelo vendicatore, un messaggero divino.  Ancora lontano dalle atmosfere noir e metropolitane degli anni successivi, Lieberman si dimostra un maestro del thriller psicologico: si cala nella mente dei tre protagonisti scandagliandola nei minimi dettagli e costruisce una narrazione tesa, carica di angoscia. Rielabora con originalità e potenza la tradizione del gotico e i suoi stilemi – la casa maledetta, l’ospite inatteso – e ci regala un romanzo modernissimo che è anche un omaggio ai grandi maestri del genere, da Edgar Allan Poe Shirley Jackson. 


E’ strano, il modo in cui si percepiscono certe cose. E’ come quando si è sul punto di scoprire qualcosa e la mente ti dice che basterebbe evitare ogni rivelazione perché i pericoli a essa collegati non si materializzino. Un pò come non andare dal dottore quando si hanno sintomi allarmanti.

Questa citazione racchiude perfettamente la sensazione carica di angosciante consapevolezza che mi ha accompagnata pagina dopo pagina, il respiro trattenuto dietro la porta che lascia avvertire la presenza dell’altro e per questo si carica di un’ansia subdola quanto inevitabile: ecco, ora la porte si apre, ecco, ora arriva. La tensione narrativa è magistralmente manovrata dalla prosa e dalla trama creata dell’autore: Alice e Albert sono una coppia che si trasferisce in una località di campagna un pò per i problemi di cuore che Albert ha avuto, un pò per godere di una pace che la campagna regala. Conosciuti in città, sono due persone fondamentalmente abitudinarie: la loro vita quotidiana è fatta di piccole routine, il loro rapporto è un equilibrio consolidato dai lunghi anni di matrimonio, dai viaggi che hanno fatto assieme e dagli oggetti che ne testimoniano le mete. Cucina e giardinaggio i loro hobby, eppure c’è qualcosa tra loro due che pesa: non hanno avuto figli. Una cosa su cui è evidente che entrambi i coniugi, separatamente, rimuginano. Un giorno, arriva un ragazzo ad occuparsi della manutenzione della caldaia e tutto cambia nelle loro vite, come gli ingranaggi di un meccanismo che si azionano e portano verso l’epilogo. Richard Atlee si insinua nelle vite dei Graves: ma è giusto dire così? O sono piuttosto Alice ed Albert affamati di genitorialità che accolgono, inglobano, illudono questo ragazzo dall’aspetto selvaggio e taciturno nelle loro vite? Il confine tra le due cose è sottile e subdolo. Sta di fatto che Richard si trasferisce inizialmente in modo abusivo nell’intercapedine della loro cantina da cui iniziano a giungere effluvi terribili: il ragazzo, infatti, si è costruito una tana primitiva e primordiale, fatta di paglia frammezzata ad escrementi e resti di animali morti; non solo, i due si accorgono che ha anche rubato qualcosa da casa loro, quando a cena si è praticamente auto-invitato. I due tentano di cacciarlo ma poi cambiano idea e addirittura si propongono di accoglierlo direttamente in casa loro: ad Alice sembra quasi un dono di Natale, un Gesù tutto per loro, da coccolare, viziare, educare a proprio gusto. Da vestire, istruire, da amare: i due coniugi si interrogano seriamente sul futuro del ragazzo che conoscono da pochissimo tempo, sognando, sperando, presagendo scenari di un determinato tipo. Sulla base di quale conoscenza, verrebbe da chiedersi? Il rapporto con Richard è tuttavia labile: è scostante, sfuggente, una presenza che si fa percepire sia quando assente, negli amati boschi, ma poi estremamente fisica quando c’è. Una presenza che diviene tensione ed ossessione tra Alice ed Albert, che arrivano perfino a discutere animatamente su chi dei due ami maggiormente il ragazzo o sul preferito dallo stesso. Una fusione a tratti perversa che sfocia prima in un isolamento della coppia dal resto della comunità che li aveva accolti e che ora li esclude proprio perché hanno con loro Richard (al punto che la coppia, devotissima, arriverà a celebrare in casa la messa domenicale), e poi in una guerra ostile e dichiarata con quella stessa comunità quando i Graves difenderanno a spada tratta gli atti opinabili di Richard, un giovane uomo che ha un’idea molto personale della giustizia.

A raccontarci la storia è proprio la voce di Albert, dopo il periodo in cui Richard ha abitato con lui e la moglie, che sente l’esigenza di ricordare, anche se farlo costa dolore. Albert è un personaggio che, come pure gli altri attori principali della narrazione, mi ha suscitato emozioni contrastanti: è poco incline all’azione, remissivo, timoroso, si nasconde dietro l’essere ligio al dovere e alle regole; qualcosa scatta in lui nell’incontro con Richard, verso cui prova un misto tra ammirazione e sdegno. Ma anche lui alla fine non può sottrarsi alle conseguenze delle azioni del ragazzo cui si specchiano le sue: Albert è finalmente costretto a fare qualcosa, ad agire. Piano piano, Richard conquista sempre più spazi in casa: se all’inizio i due, soprattutto Alice, lo apprezzano e ne incoraggiano atteggiamenti “civili”, finiranno per detestare il modo in cui il ragazzo cerca di dimostrarsi grato verso di loro. Richard si preoccupa in modo claustrofobico per loro, togliendoli ogni possibilità decisionale: chi fa il genitore di chi? E che tipo di genitore è? Albert definirà il loro rapporto interdipendente, ma diventa qualcosa di malato, abnorme, asfissiante: la paranoia di perdere l’altro, l’affetto altrui ( anche se affetto non è perché non è più genuino ma estorto) finirà per rovinare tutto e per esitare un epilogo la cui dose di tensione ed ansia si percepisce sin dall’incipit del romanzo. Non può che finire così questo romanzo da leggere tutto d’un fiato: una coppia prigioniera nella propria casa e nella propria vita che sembra quasi pagare la colpa di un desiderio, e un giovane uomo selvaggio, solo e solitario. Uno degli aspetti che più mi ha colpito nel romanzo è la sottile ma pervasiva invettiva contro la comunità in cui questi tre personaggi si muovono: la cittadina, nella figura del fastidioso sceriffo, finisce per invitare la coppia ad andarsene, colpevoli di aver accolto un reietto. Sono loro a provocare Richard o è lui a meritarsi quel trattamento? Come potete intuire, un romanzo che lascia tanti spunti di riflessione e che grazie ad una struttura ipnotica ha saputo catturarmi.

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