L’assassino di corte ( Trilogia dei Lungavista vol.2)

L’assassino di corte ( Trilogia dei Lungavista vol.2)

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo L’assassino di corte, secondo volume della Trilogia dei Lungavista, scritto da Robin Hobb (traduzione di Paula Bruna Cartoceti), edito da Fanucci Editore.


Il bastardo reale sta crescendo. Fitz ormai non è piú un ragazzino inesperto: gli si legge in volto il sangue del padre.È sopravvissuto alla sua prima pericolosa missione come assassino del re; ma ora, sofferente e amareggiato,sogna di rompere la promessa fatta a re Sagace, rimanendo nel lontano Regno delle Montagne.Ma l’amore mai dimenticato per Molly e la visione di eventi tragici lo riconducono alla corte di Castelcervo, fra i mortali intrighi della famiglia reale dei Lungavista… In questo secondo romanzo della Trilogia dei Lungavista,séguito de L’apprendista assassino, Robin Hobb conduce i suoi eroi nell’oscurità del male e sul cammino sempre piú difficile delle scelte e del sacrificio individuali. Fitz non è solo un adolescente inquieto, ma il ritratto duro e tormentato di un assassino impegnato in un viaggio straordinario nei misteri della vita e dello Spirito.


Convalescente, colpito nel corpo e nello spirito, ritroviamo Fitz, nel secondo volume che riprende proprio dove le vicende del primo romanzo si erano concluse: il ragazzo è martoriato, ha paura di non poter mai più riuscire ad essere quello di prima e che questo comprometta la sua utilità a corte e quindi la sua vita. Fa sogni vividi che si rivelano essere in realtà visioni pur non arrivando a padroneggiare in modo completo l’Arte, questa magia antichissima e dimenticata, riservata per tanto tempo solo ai discendenti della famiglia reale, ai Lungavista. Il dono in lui è “erratico“, le barriere che erge soprattutto in battaglia sono troppo forti e impediscono allo zio, il re-in-attesa Veritas di raggiungerlo sempre in modo efficace; al suo rientro a corte, Fitz si renderà conto di quanto gli intrighi di Regal, fratello minore di Veritas, abbiano minato la tranquillità della corte unitamente alle scorrerie sempre più imprevedibili delle tremende Navi Rosse. A nulla valgono i tentativi di Veritas di usare l’Arte per guidare la sua piccola flotta e per essere aggiornato in tempo reale su cosa accade nei punti strategici della Costa perché gli Isolani sembrano essere sempre una mossa più avanti, impossibili da fermare e anche da capire. Perché razziano apparentemente senza scopo? Cosa vogliono da questa guerra? Insensibili alle sconfitte, non si riesce a comprendere l’obiettivo finale: piegare Castelcervo per ottenere cosa? Fitz è impegnato come sempre su più fronti: Uomo del re fino al midollo, in questo momento deve la sua devozione sia a Sagace, un re sempre più vecchio e prostrato da qualcosa di silenzioso e sinistro che lo ha allontanato dalla vita di corte, sia a Veritas, l’uomo in cui ripone tutta la sua fiducia; assassino, allievo di Umbra, uomo innamorato, amico della regina-in-attesa, le sfaccettature di questo personaggio sono tantissime e il ragazzo fa l’equilibrista tra queste parti di sé spesso in conflitto tra loro.

Riuscirà a proteggere se stesso e il suo regno dalle bugie e dai tradimenti o soccomberà sotto il peso dei suoi segreti?

La crescita di Fitz è sempre legata a quel nome, a quell’impronta di bastardo che si porta dietro e non importa quante cose faccia, veda, quante vite salvi, il suo nome lo precede, nel bene e nel male; è un giovane uomo che si sta costruendo una famiglia di affetti ma che di fatto non ha un nido a cui tornare se non quello che gli si è imposto col giuramento a re Sagace, un giuramento pesante, che diventa difficile man mano che Fitz cresce e coltiva, legittimamente, sogni e ambizioni sue, personali. Ma questo sono, soltanto sogni: il suo fato è legato a Castelcervo e ai Lungavista, volente o nolente, è un Uomo del re, si è votato a questa causa quando non aveva null’altro e ora che ha qualcosa da perdere non può tirarsi indietro né spiegare alla sua amata come mai non possa lasciare quella casa-prigione. Nulla descrive meglio il tormentato rapporto con la nobile casata se non la parola strumento: Fitz è uno strumento e come tale viene usato, come gli ricorda Umbra più e più volte. Ma quanto è difficile quando le voci, i sussurri, i tradimenti sono così vicini? Quando il pericolo rischia alla porta di coloro che si amano? Restare fermi, immobili, inattivi, passivi osservatori di una vita che è la propria ma sotto sotto non lo è perché appartiene ad altri: un processo logorante che rende Fitz, già caratterialmente inquieto, ancor più impulsivo, grazie anche all’età e alle giovani passioni. Spesso è avventato, pur nella sua ingenua concezione della vita e della lealtà, mette sempre al primo posto gli altri e mai se stesso, ma il rischio che corre è di diventare ancor più pericoloso, di farsi notare da quella compagine che vuole il trono ad ogni costo, di diventare scomodo e, soprattutto, di dimenticare chi è. Un bastardo.

Ma Fitz è molto di più! Un catalizzatore, ancora questa parola che il Matto gli scaglia addosso quasi come una maledizione, un crocevia di possibilità: il futuro stesso dei Sei Ducati. Gravato di responsabilità e compiti che non sempre comprende sino in fondo, come può legare a sé l’amore di una donna? Glielo dicono Pazienza, Umbra, Burrich ma Fitz non li ascolta, o come gli dirà il suo capostalliere, non accetta i consigli: si getta anima e corpo in una relazione emotivamente devastante perché lui sa bene di non poter promettere nulla alla sua amata ma al tempo stesso non riesce a decidersi di staccarsi da lei, concedendole l’incredibile lusso di vivere una vita indipendente ed autonoma, lei che può. Fitz, invece, non solo non può, ma non ha nemmeno il permesso di decidere da solo cosa fare del suo cuore e le sue promesse sono parole vuote e vane: è il re a decidere cosa fare del suo strumento, anche quando egli ama un’altra donna. E così, notte dopo notte, Fitz bussa a una porta che dall’altra parte resta aperta per lui in un gioco pericoloso, sia per le dicerie che tale relazione attirerebbe, sia per le emozioni dei due protagonisti legati in un rapporto destinato a finire. Ancora una volta, Fitz è così sommerso dagli intrighi più grandi di lui da non rendersi davvero conto di quello che sta accadendo fino a che la realtà concretizza i suoi incubi peggiori. La sua amata lo ha lasciato. E nonostante tutto, come una stampella emotiva, lui torna da lei nei suoi sogni, a cercare un conforto, un’oasi di pace illusoria in una vita complicata.

Come mi era accaduto già nel primo volume, anche qui il personaggio di Fitz mi ha suscitato sentimenti forti: mi ha colpito la sua solitudine, il suo disperato bisogno di amore e affetto, le sue ingenuità che spesso lo espongono a rischi inutili e la sua determinazione; è giovane, cade, si rialza, si lascia andare a crisi emotive che gli paiono di portata devastante, si riprende e lotta, poi inciampa ancora. In definitiva, è incredibilmente umano, sbaglia, si spaventa, ha paura per chi ama e per il suo popolo, si espone, si ringalluzzisce quando gli eventi sembrano andare in suo favore. Anche in questo volume, inizialmente suo malgrado, Fitz si lega ad un animale in virtù della capacità di accedere allo Spirito, da cui Burrich lo mette sempre in guardia: il rischio della fusione uomo-animale è fortissimo e reale eppure Fitz non riesce a sottrarsi alla relazione con Occhi-di-notte, lupo, branco, fratello. Si salvano a vicenda, è il lupo ad allertare i sensi del ragazzo in diverse circostanze, a condividere con lui la lotta, la battaglia, la carne.

Lo stile della Hobb è perfettamente coerente con il genere di riferimento: descrive con perizia tutto ciò che accade attorno a Fitz, alternando momenti di azione a momenti riflessivi, scene di battaglia a raffinati intrighi di corte; il mondo che ha creato ricalca sempre più un universo medioevale, carico di leggende e miti, di tradizioni e folclore, di spade e sangue, veleni e sussurri. Fitz cerca di capire quale possa essere il suo posto in questo mondo complesso, non sempre ci riesce, spesso si lascia sopraffare dagli eventi, dagli intrighi, dalle cose che accadono intorno a lui e che lo coinvolgono, totalmente imbrigliato nella vita politica di questo regno. Come può spiegare alla donna che ama che le sue bugie sono necessarie e doverose? Come può pensare di vivere, avere degli amici, una famiglia, quando non dispone di nulla in moto autonomo?

Chiave di volta. Passaggio. Crocevia. Catalizzatore. Sei stato tutto questo, e continui a esserlo.

I tanti personaggi secondari che ci vengono presentati sono ben caratterizzati e tutti hanno un ruolo preciso nei Sei Ducati: in questo secondo capitolo, mi hanno colpito soprattutto la regina-in-attesa Kettricken, giovane donna fiera, una combattente che potrebbe soccombere all’idea di essere un’estranea alla sua stessa corte ma grazie all’amicizia con Fitz ne impara usanze e linguaggi, e il Matto, personaggio enigmatico e complesso. Fitz, il Matto e Kettricken sembrano essere uniti tra loro anche nella solitudine, nella posizione di outsider: devono mantenere una facciata formale ma sono molto di più di quanto sembrano.

La lotta per il trono dei Sei Ducati è dominata dall’avidità di Regal disposto a tutto pur di screditare gli eredi della sua stessa famiglia; abilmente tesse alleanza e manipola l’opinione pubblica con banchetti ricchi mentre in realtà le casse piangono, smembra pezzo dopo pezzo Castelcervo per portare a compimento un piano subdolo, sminuisce il fratello, partito alla folle cerca di un mito. Un secondo capitolo avvincente e ricco di colpi di scena, fino all’epilogo in cui Fitz deve decidere se tradire i propri segreti o essere sconfitto. Nulla sarà più come prima, per lui e per i Sei Ducati.

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