Un piede in paradiso

Un piede in paradiso

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Un piede in paradiso, scritto da Ron Rash (traduzione di Tommaso Pincio) ed edito da La nuova frontiera, che ringrazio per la copia.


A Oconee, piccola contea agricola degli Appalachi, Holland Winchester, la testa calda del paese, è svanito nel nulla. Sua madre è sicura che sia morto perché, il giorno della scomparsa, ha sentito degli spari provenire dalla fattoria vicina. Anche lo sceriffo Will Alexander è certo che Holland sia stato ucciso, tuttavia non riesce a trovare né il corpo né un testimone. Ma in quella torrida estate degli anni Cinquanta c’è qualcos’altro che agita la vita della comunità: la Carolina Power, una compagnia elettrica, sta acquistando tutti i terreni della valle per costruire una diga. E così una terra che è già stata strappata ai Cherokee dai colonizzatori sta per essere nuovamente sottratta ai suoi abitanti. Sullo sfondo di una comunità condannata a sparire seguiamo, attraverso cinque differenti voci, una narrazione tellurica che ci racconta una storia di amore e verità sommerse


Sono gli anni ’50, nella notte lo sceriffo Alexander viene svegliato per andare a controllare una rissa: c’è di mezzo Holland Winchester, nota testa calda cittadina ma anche eroe di guerra, da cui è tornato con orecchie come souvenir, medaglie e cicatrici. La situazione si risolve abbastanza in fretta: tutti si conoscono, bene o male, e la sola presenza dello sceriffo e del suo vice bastano -ancora- a sedare gli animi se non fosse che il giorno dopo Holland, misteriosamente, sparisce. E’ la madre ad allertare lo sceriffo sostenendo che il figlio è morto e che ad ucciderlo è stato Billy Holcombe. Un delitto passionale, sembrerebbe. Lo sceriffo mobilita diverse squadre di ricerca ma non può esserci omicidio senza corpo, e il corpo di Holland di fatto non viene fuori né dragando il fiume, né setacciando il bosco, né seguendo gli avvoltoi alla conquista della carcassa del cavallo di Billy, appena morto. Lo sceriffo sente di avere davanti il colpevole quando guarda Billy chino su una terra arida, sul suo tabacco e su quel mais che probabilmente non gli renderà abbastanza l’anno successivo, eppure ha le mani legate.

Attraverso cinque punti di vista differenti ( lo sceriffo – la moglie – il marito – il figlio – il vice), l’autore ci racconta la storia di un crimine, di una comunità sull’orlo di un cambiamento enorme rappresentato dalla potente compagnia elettrica che sta comprando terreni per costruire una diga, ci narra di un luogo che era stato terra dei Cherokee e che ora sta per subire un ennesimo mutamento, una cessione innaturale e devastante al progresso. Ma le varie narrazioni si collocano anche in momenti diversi e il lettore assiste a come cambia il rapporto tra uomo e terra al cambiare delle generazioni: mentre lo sceriffo si oppone a tutti i costi a queste vendite e le persone più anziane di lui continuano a ritenere lontanissimo il momento in cui dovranno abbandonare la valle, quando a parlare è il figlio, ci accorgiamo di quanto, pur con difficoltà, lui sia pronto ad accettare il trasferimento altrove, lontano da quella valle degli scomparsi che ormai ha solo fanghiglia e ossa da dare. Pur apparendo per pochi momenti, Holland è uno dei collanti di questa storia che si muove attorno a lui, suo malgrado. Il suo corpo, soprattutto, cercato, nascosto, sfruttato, posseduto, quei suoi muscoli virili e quella sua gentilezza, la sua attrazione per le donne che gli si concedono senza remore. E un caldo torrido, che fa sfumare i pensieri e porta Amy – la moglie, a un gesto che mai avrebbe considerato, lei, una ragazza semplice, che ama suo marito e ha goduto dei primi anni di un matrimonio felice; c’è da lavorare nella loro fattoria ma lei non si tira indietro, sta bene finché con Billy va tutto bene, i due si cercano mentre lavorano, puntano sulla presenza dell’altro e si incontrano di notte negli abbracci dell’amore. Un amore che fatica a fruttare, però, e tra le occhiate delle altre donne, prima divertite, poi compassionevoli, si erge lo spettro del passato, della polio che ha colpito Billy da bambino, dell’infertilità. Un segreto che li divide perché arriva alle orecchie estranee e spacca questa giovane coppia: Amy e Billy si chiudono in una sfiancante routine fatta di silenzi fino a che la donna non ci sta piu’, non vuole sentire solo il parere del medico e si reca dalla famigerata vedova – una strega, dicono.
Fin dove è pronta a spingersi Amy per avere un figlio? Cosa rappresenta per lei la maternità? Cosa significa nell’America rurale degli anni Cinquanta? Ad Amy pare di essere esclusa da un circolo elitario, ancora una volta sente di star pagando a Dio le colpe per un incidente accaduto da ragazzina: come può, però, quel Signore che lei ha pregato giorno e notte, dare figli a sua sorella diciassettenne e nulla a lei? Quanto ancora deve pagare? E’ con questo fagotto di rabbia e colpa, di frustrazione dolorosa che Amy torna dalla vedova che sembra vedere nel futuro. E’ disposta Amy alla soluzione indicatale dalla vedova che nulla vuole in cambio se non essere la levatrice di quel seme futuro?

Billy dal suo campo, dai suoi cavoli e mais e fagioli, ha già capito tutto quanto, ha già osservato quel corpo angelico alla luce di Sirio, nudo e bellissimo, già cambiato da nuova vita; lui che ha rischiato di morire, ha riscattato finalmente il nome della sua famiglia, non più mezzadri ma ora proprietari, e ora proprio come quella terra spaccata sembra incapace di generare vita, è zimbello di una comunità chiusa e bigotta, animata da superstizioni e miti popolari. Ma ha coraggio, Billy?

E a chiudere il cerchio, la dinamite e la diga, che sommerge la valle e al tempo stesso riporta a galla una verità dolorosa, forse inevitabile, nata dalla disperazione e dall’ostinazione, dal desiderio e dal bisogno; i morti vengono spostati, le case evacuate, tutte tranne quella dove abita il fratello dello sceriffo e la vecchia signora Winchester, decisa a non andare via da lì se prima non avrà parlato con Isaac, il figlio di Amy e Billy.

Con una scrittura lineare e allo stesso tempo profonda, l’autore ci regala cinque punti di vista di una stessa storia che si lega inevitabilmente alla terra natale, a quelle stagioni che determineranno la riuscita di vite e famiglie a breve e lungo termine, estati assolate e secche, paesaggi rubati e pronti ad essere di nuovo saccheggiati, su cui si muovono uomini e donne dalle vite complicate, personaggi autentici, solidi, concreti, reali. Personaggi capaci di emozionare con le loro fragilità, con le loro bugie a fin di bene, con i loro demoni e segreti; personaggi che vogliono costruire qualcosa in un mondo che dopo la Depressione sembra statico e allo stesso tempo pronto ad un dinamismo sfrenato e loro cercano in ogni modo di restare fermi, piantati in una terra che sanno gli verrà sottratta. Allora è nella famiglia che cercano la solidità, il punto di riferimento, ma quando ciò diventa impossibile, quando i sogni tremano e di notte non c’è nessuno a cui abbracciarsi, cosa resta? Rimane un lavoro da svolgere, tutto lo diventa, e ci si piega sotto quel sole o sotto quel cappello da sceriffo pur di non alzare lo sguardo e rischiare di incrociare uno specchio. Come frammenti appartenenti alla stessa zolla, i personaggi si aprono al lettore, regalando una storia intensa e struggente, narrata con mano carezzevole ma mai superficiale da Ron Rash.

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