Quel blu di Genova

Quel blu di Genova

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Quel blu di Genova, scritto da Michele Mozzati ed edito da La nave di Teseo+ ,che ringrazio per l’invio della copia.

TRAMA

Anno 1853, la rivolta di Milano. Ernesto Giudici, di famiglia bene e con quarant’anni sulle spalle, tutto aria cialtronesca e vocazione mazziniana, s’imbatte in Cesco Esposito, giovane panettiere napoletano, estimatore dei classici ma non di Ferdinando II, venuto fin lassù a vagheggiare di pizza e sogno repubblicano. Ai due in fuga dagli occupanti austriaci, tra osterie genovesi e notti nere sull’Atlantico, presto si unisce Cielo, all’anagrafe Maria Celeste Sommariva, dai capelli neri come cozze e la pelle diafana come un Cristo Velato. Sarà lei, che porta i pantaloni e va per mare come gli uomini, a trarli in salvo prima e farli innamorare poi. Ed è con loro, e una stiva piena di denim, che si imbarcherà per “La Merica” e laggiù affiderà a Levi Strauss la materia grezza di un’imminente leggenda: i blue-jeans. Restituita ai giorni nostri dalle pagine di un vecchio diario, sfogliato per noi dall’ultimo dei Giudici Esposito Sommariva, questa è la storia di un amore senza norme, di eroismi goffi e futuro oltremare, di trent’anni di “cuore e stomaco” e tumulti. E poi di tanta, tanta libertà.

E’ il 2015 quando il cinquantanovenne Pietro, nato e vissuto a Milano, si trova a San Francisco per vendere la casa italianate che appartiene alla sua famiglia. Il suo nome esteso è Pietro Giudici Esposto Sommariva, e la casa di Hill Street è un lascito del padre, il quale, in punto di morte, gliela affida quasi: venderla, certo, ma prima salvarne la storia, la memoria. E quella che Pietro ritrova è una storia davvero incredibile, una storia che inizia nel 1853, l’anno della rivolta a Milano, in pieno Risorgimento, e che coinvolge Ernesto Giudici, quarantenne esponente di una famiglia milanese, borghese e conosciuta perché suo padre è stato, anche, un eroe. Inizia così un viaggio che comprende molteplici linee temporali, che scava e abbraccia l’Italia che ancora Italia non è, tra rivolte sedate nel sangue e fughe notturne che avvicinano due eroi improbabili come Ernesto, appunto, e il giovane Cesco, al secondo Francesco Esposito, giovane panettiere napoletano che per caso si trova a Milano e incrocia la strada di Ernesto.

I due sono costretti a fuggire e trovano sostegno a Genova, hanno un contatto che li condurrà nel palazzo dei Sommariva, una famiglia che appoggia le rivolte: qui, incontreranno la giovane e affascinante Maria Celeste detta Cielo, una giovane adulta, come spesso verrà definita nel romanzo, dagli intensi occhi verdi e dal carattere decisamente moderno per essere una donna di fine Ottocento. Il padre armatore è malato e Cielo, quando accoglie in casa i due fuggiaschi, viene ammaliata da due persone e personalità che non potrebbero essere più diverse tra loro: Cesco, nonostante il suo parlare in dialetto, ha letto tanto, è un uomo colto, che ha sacrificato tanto per la sua famiglia, un grande lavoratore; Ernesto, più adulto sulla carta, ha l’aplomb dei borghesi, una sua eleganza. Il trio, inspiegabilmente, funziona, ha un suo equilibrio e quando, per forza di cose, i due uomini devono imbarcarsi su una delle navi dei Sommariva, con destinazione l’America e un carico ingente per la famiglia Strauss (proprio quegli Strauss!), Cielo decide di andare con loro per trattare personalmente con gli acquirenti. Arrivati in America, il loro legame è divenuto inevitabilmente altro e anche quando le vite dei tre sembrano essere destinate a separarsi – con Cielo che torna a Genova e Cesco ed Ernesto a San Francisco per lavorare con Levi Strauss che ha trasformato quello strano denim, quel blu di Genova in blue-jeans – ecco che il destino ha in mente un altro piano per loro. Una storia che esce dagli schemi delle convenzioni dell’epoca, quella di Cesco, Ernesto e Cielo, raccontata da Pietro, l’ultimo della sua strana famiglia che genera solo figli unici maschi.

Più che la bellezza, accennata dalla descrizione di Ernesto e ipotizzata da Pietro, di Cielo mi ha colpito la descrizione che emerge durante la traversata: “Cielo era dolce, forse sarebbe meglio dire ‘morbida’. Ma a scavare nei suoi discorsi, pareva che mai nulla fosse inutile. Ogni frase portava a qualcosa, e quel qualcosa era sempre una crescita, minima o solida che fosse”. Cielo è una giovane donna fuori dal suo tempo, diversa, a volte consapevole di tale diversità, a volte spaventata; ha le sue convinzioni, aperte e moderne, sulla condizione femminile e si ritrova a provare dei sentimenti forti per due uomini differenti, quasi che richiamino e accendano in lei parte diverse di se stessa.

Il mare, l’ oceano, con la sua immensità e con la sua immobilità che in realtà è piena mobilità, fa da sfondo a un rapporto a tre che, inizialmente, nulla ha di erotico ma si costruisce sui silenzi, sugli sguardi rivolti al mare, si tinge di sfumature che l’autore sapientemente lascia così, tese nella bellezza, nel’ afflato della potenzialità, racchiusa nell’idea stessa del viaggio. E’ una scelta di Ernesto, autore dei diari ritrovati, quella di omettere, di tralasciare, di dire e non dire, di ritenere qualcosa non importante; sta al lettore, poi, immaginare, osservare alcune scene e riempirle: “Perché certe emozioni, certi imbarazzo non si svelano”.

“Tutte le storie sono storie d’amore”, questa è la premessa al romanzo e al racconto e in quanto tale ci viene mostrato l’amore. I tre sono uniti da un qualcosa che non sanno bene cosa sia, dice Pietro “non comprendevano se fosse desiderio, amore, o qualche altro sentimento stravagante e immenso”.

La meta del viaggio è La Merica, come viene chiamata da quei primi emigranti: luogo salvifico ma anche spaventoso. Cosa accadrà una volta lì? Ernesto e Cesco saranno davvero liberi di seguire i loro sogni? Partiti da lontano, dal sangue della rivolta per fare quella Repubblica che sembra un sogno, per unire quell’Italia che è ancora immaginata, Ernesto, Cesco e poi Cielo, riscrivono le regole della propria esistenza. Lo sguardo dell’autore è intenso e capace di creare immagini ricche di tensione emotiva tangibile, e al tempo stesso, apre su pagine della nostra memoria storica che vanno ricordate; pagine che sembrano pellicole, potenti e violente quando parlano della rivolta, intime e delicate, quando scendono nel dettaglio della storia d’amore. E intorno, la storia della pizza, dei blue-jeans, scorci di futuro, i luoghi di Pietro ed Hemingway.

Spesso la voce di Pietro si mescola con altre voci, con sussurri, con pensieri e riflessioni, con letture del mondo e dialoghi con lettori ipotetici nei quali vuole suscitare un’ emozione, positiva o negativa che sia; la sua voce si fonde con quella dell’autore, con quella di Ernesto, di Cesco e di Cielo, si spalma attraverso i diversi piani temporali interrogandosi sul senso della vita, sulla bellezza, sull’amore, sull’osservazione del mondo circostante e su ciò che lo ha portato ad essere quel mondo. Carica di una malinconia nostalgica, la voce di Pietro è torrente emozionale capace di stupirsi, proprio come Ernesto, Cesco e Cielo, delle piccole e grandi cose: “Tre anime biodegradabili in un’unica soluzione, acqua o fuoco che fosse”.

Condividi:

Leave comment

Your email address will not be published. Required fields are marked with *.