Il decoro

Il decoro

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Il decoro, scritto da David Leavitt ( traduzione di Fabio Cremonesi e Alessandra Osti) ed edito da Sem Società Editrice Milanese, che ringrazio per la copia.

TRAMA

Qualche giorno dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, in una lussuosa villa del Connecticut, alcuni amici newyorkesi dell’alta borghesia intellettuale si ritrovano per riprendersi da quella che considerano la più grande catastrofe politica della loro vita. Si rifugiano in campagna nella speranza di ristabilire la “bolla” in cui sono abituati a vivere. Eva Lindquist, la padrona di casa, propone una sfida. Chi di loro sarebbe disposto a chiedere a Siri come assassinare Trump? Nessuno, a eccezione di un cinico editore, raccoglie la provocazione. Gli amici progressisti di Eva e del marito Bruce con la loro pavida reazione introducono uno dei temi portanti del romanzo: la paura di fronte a un nuovo clima politico. Delusa dal suo paese, dove non si sente più “a casa” e al sicuro, Eva decide di partire per Venezia, città che ha conosciuto e amato in gioventù. Lì, quasi per caso, visita un affascinante appartamento e decide di acquistarlo. Il soggiorno in quella città la aiuta a cercare un nuovo modo di immaginare il mondo. Intorno a quello di Eva si intrecciano i destini degli altri personaggi, che prendono forma attraverso dialoghi incalzanti e ironici, nei quali si configurano possibili soluzioni a esistenze segnate dall’inquietudine. Ecco allora i tradimenti, le fughe e la menzogna a coprire tutto. “Il decoro” affronta gli imprevedibili appetiti d’amore, di potere e di libertà che plasmano la vita pubblica e privata delle classi privilegiate. Un romanzo che parla del bisogno di sicurezza e dell’istinto di scoperta, del rapporto tra altruismo e autoconservazione e della natura effimera di un certo tipo di ricercatezza.

« Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?», questo è l’incipit del romanzo, la domanda che una delle voci protagoniste, Eva Lindquist, sottopone all’attenzione dei suoi amici in un pomeriggio novembrino, una settimana dopo l’elezioni presidenziali americane del 2016. Eva e suo marito Bruce, consulente patrimoniale, sono nella loro casa di campagna, in Connecticut, insieme a Min, migliore amica di Eva, Jake, arredatore di interni di Eva famoso per la sua discrezione, Aaron e Rachel, una coppia di editori, Grady e la cugina Sandra da poco divorziata e Matt, uno dei tanti invitati di Eva, a metà tra dama di compagnia e cuoco provetto. Eva insiste, stuzzica, provoca i suoi amici a sottoporre la questione a Siri: lei, l’elezione di Trump non solo non l’ha digerita, ma le ha destabilizzato l’esistenza. Eva è di origini ebree ed è sicura che l’ascesa di Trump porterà danni che renderanno necessario abbandonare gli Stati Uniti e così, dopo aver saputo dagli odiati vicini che faranno una festa per commemorare l’insediamento di “colui che non si può nominare”, si reca con l’amica Min a Venezia. Nella città italiana, la donna verrà tentata da Ursula ad acquistare il suo appartamento, un luogo in cui poter fuggire se l’America dovesse diventare una nazione da evitare. Eva è determinata, quasi spietata, è impossibile contraddirla, perfino per Bruce, amorevole marito, tendenzialmente accondiscende in tutto. Ma sarà davvero così?

L’appartamento a Venezia diviene il centro delle vite dei protagonisti che si muovono e gravitano attorno ad Eva, una donna fatta di luci ed ombre, difficile da comprendere sino in fondo, quasi che la sua intima essenza sia per sua natura inafferrabile. Volubile, caparbia, liberale eppure puritana: Eva è l’emblema delle contraddizioni del nostro tempo, egoisticamente rinchiusa nei propri interessi, che sono però dei diktat per chi le vive accanto. Che sia presente o assente, è il focus di tutti i discorsi del gruppo di amici: cosa farebbe Eva? Non raccontate questo ad Eva. Cosa penserebbe Eva di noi? Eva è un ago della bilancia e una bandieruola tramite cui orientare le proprie idee e affermazioni, come testimonia il rapporto con Min, amica storica, che la venera, le è grata, perché se Eva non si fosse licenziata, Min non avrebbe fatto carriere nella testata giornalistica in cui lavoravano, ma al tempo stesso la provoca sottilmente, anzi, si provocano, in un gioco pericoloso di tensione. Eva provoca Min sulla questione del peso, Min pare si diverta a raccontare dettagli che dovrebbero rimanere segreti, sempre nel momento meno opportuno. E di segreti, di cose da non dire, i protagonisti ne hanno! E’ come se tutti loro conservassero, comunque, una patina che non viene intaccata dai momenti corali, facendoci intuire un dietro le quinte molto più complesso, molto più vicino al reale. La relazione tra Aaron e Rachel, ad esempio, è chiaramente qualcosa di intimo e riservato che il lettore osserva, intuisce, ma non viene svelata sino in fondo; così come la vita di Jake, l’architetto che Min ed Eva vogliono a tutti i costi per arredare l’appartamento di Venezia. Perché Jake è così restio ad accettare? A nessuno, se non forse a Bruce, viene in mente di andare oltre, di chiedere davvero a Jake le proprie motivazioni. E’ come se tutti fossero imbrigliati in una formalità angosciante che però esula dal prendersi davvero cura degli altri, degli amici: cene, conversazioni, dialoghi, tutto teso a dare una certa immagine di sé stessi agli altri, ma completamente slegata dall’autenticità dell’amicizia. Come se a nessuno importasse davvero, nonostante la maschera da intellettuali che indossano, o forse proprio per quella.

I protagonisti si attengono ad un cerimoniale ampolloso di cortesie fuori dal tempo: i loro incontri sembrano parti di una commedia, orchestrata, con pause ed effetti, scoperte e colpi di scena. E poi, si chiude il sipario, si termina la rappresentazione sociale e si torna ad essere se stessi, con le intime paure del quotidiano. Bruce non ne può più di questi appuntamenti costanti, a cui non si può sottrarre, per quel decoro, forse, ispirato dal titolo, per quell’ossessione maniacale verso il giudizio altrui; e quindi cede, ma non senza autoconsapevolezza. Sa che il carattere di Eva, la loro relazione, la sua arrendevolezza, gli sono serviti da scusa, da alibi, per sottrarsi al mondo, per non doversi impegnare; ha vissuto di riflesso, con gli amici di Eva, una figura che appare e poi porta fuori i cani, si ritrae. Eppure, in Bruce si risveglia qualcosa quando scopre che la sua segretaria è malata di cancro ed è stata lasciata dal marito: in segreto, si prende cura di lei. Ma è altruismo, il suo? O vuole una sorta di ricompensa? Un territorio in cui sentirsi superiore ad una moglie forse eccessivamente idealizzata?

La scelta dell’autore di narrare quasi tutta la storia attraverso i dialoghi, incessanti, tramite le voci dirette dei protagonisti, rende la lettura scorrevole e interessante; i personaggi mi sono sembrati talmente vividi da riuscire a immaginarmeli, nelle loro paturnie tipiche, nei loro discorsi, talvolta estremizzati nel loro voler essere intellettuali, nel loro voler dire la propria su tutto. I temi che i protagonisti affrontano sono tanti, dalla politica, ovviamente, al mondo dell’editoria e dell’arte, dal sesso alla cucina, e lo fanno con la disinvoltura di una classe sociale agiata, che può permettersi di pensarla come loro, che può lasciarsi andare a fini disquisizioni sull’economia e sulla crisi mondiale mentre qualcun altro ha cucinato per loro. Eppure, grattando sotto la patina artefatta della perfezione metropolitana, appaiono le lacune, le fragilità, i desideri. Le guaine contenitive, le chat erotiche, i divani malridotti, l’odore del fritto e di una canna, i cani disobbedienti. Appare un’intimità che non deve essere condivisa, soprattutto con Eva, che bolla alcune cose come raccapriccianti. In sua presenza vige la regola del “chi tocca, muore”: ci sono argomenti, non noti a priori, che se scoperchiati, provocano in lei reazioni esagerate, come bandire qualcuno per sempre dalla sua cerchia di conoscenze. Verrebbe da chiedersi: e allora, perché continuare a frequentarla?

Nel bene e nel male, lei è il sole intorno a cui orbitiamo.

L’appartamento a Venezia diviene il simbolo di tante altre istanze: una fuga, la possibilità di rimediare agli errori del passato, la voglia di lasciarsi finalmente andare ai propri desideri. Un affresco incredibile su personaggi dalle vite apparentemente ricche e perbene, che, tuttavia, non riescono a vivere sino in fondo, come case riccamente decorate ma disabitate.

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