Review Tour: Notre-Dame de Paris

Review Tour: Notre-Dame de Paris

Buongiorno, lettori! Oggi Review Tour dedicato alla nuova edizione del monumentale romanzo di Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, edito da Mondadori nella collana Oscar Draghi. Ringrazio la Casa Editrice per la possibilità!

TRAMA

La cattedrale di Notre-Dame è il cuore di Parigi, città in cui si incrociano i destini di Quasimodo, il campanaro deforme che salva dall’impiccagione la bella zingara Esmeralda, di Gringoire, il poeta pazzo e girovago, del nobile ufficiale Phoebus, di Frollo, l’arcidiacono dall’anima nera, e della folla tumultuante dei reietti. Grandioso affresco a tinte forti, ricco di colpi di scena, il romanzo – popolato da ombre sinistre – incarna i temi del romanticismo: la storia come luogo d’azione; il popolo che per la prima volta entra a viva forza nella letteratura; il raffronto tra l’orrido e il bello e, soprattutto, il bene sconfitto dal male.

E’ il 6 gennaio 1492: Parigi si appresta a celebrare l’Epifania e la Festa dei folli, entrambe richiamano una moltitudine di gente, stratificata per ceto sociale ed età, tutti festeggiano e aspettano con ansia il “mistero”, la rappresentazione teatrale nella sala grande del Palais de Justice, che diventa crocevia di storie, sapientemente regalate alla letteratura dalla penna senza tempo di Hugo, capace di scendere nelle tenebre dell’animo umano, di raccontare un luogo e un tempo con uno stile unico.

Il lirismo della parola appaga il senso artistico del lettore che sa di approcciarsi a un’opera d’arte nell’opera d’arte, pur consapevole del periodo, del contesto sociale in cui l’opera nasce e del conseguente linguaggio utilizzato. Il modo in cui Hugo gestisce il suo narratore, talvolta spettatore al fianco del lettore stesso, a cui strizza l’occhio, anticipa, contestualizza e spiega, rende la lettura scorrevole, in un gioco narrativo sottile e perpetuo. Hugo parla di rappresentazione della realtà, sceglie un punto di osservazione esterno per osservare, e orientare lo sguardo del lettore, su una storia che è essa stessa rappresentazione drammatica dell’umano, del basso, del bello e del brutto. Dal “mistero” di Gringoire che non riesce a compiersi, beffando il poeta e relegandolo alla messa in scena solo del prologo e lasciandolo con un solo spettatore che per giunta sbadiglia, all’elezione del papa dei folli, idea instillata dai fiamminghi tanto odiati ma abbracciata subito da una platea stanca della poesia e più avvezza al grottesco e surreale, la scena è sempre divisa tra chi osserva e chi recita, chi guarda e chi si esibisce per il pubblico piacere altrui. Il lettore e il narratore stessi si fermano ad apprezzare la Sala grande, la maestosità di Parigi, cornice meravigliosa pulsante e viva del romanzo, ma quello che colpisce , da cui non si può distogliere lo sguardo è quel “caleidoscopio umano” che Hugo dipinge e sceglie di rappresentare.

La massa, la folla, la plebaglia che preme e schiaccia, giudica, insulta, borbotta, colora la visuale del lettore, spinge all’azione alcuni protagonisti che pur pno volendo devono soccombere al desiderio del popolo. E’ un’orgia di voci e di visi, di corpi che vogliono parlare pur senza avere nulla da dire, si muovono sospinti dalla forza della loro unione contingente. Vogliono evadere, vogliono il loro giorno dell’anno in cui illudersi che la livella sociale non esista, credersi migliori di quanto possano essere, burlarsi in un carnevale liberatorio e sfrontato.

La folla vuole il suo “grottesco ideale”, ricercando il suo papa che, come dice il narratore, si sono scelti e quindi li rappresenta; la smorfia migliore viene osservata da un rosone e viene scelta quella di Quasimodo, la cui descrizione descrizione magistrale culmina con l’espressione “commista di malizia, di stupore e di tristezza”. Ma la maschera non può essere calata, tragicomicamente, perché la maschera è la persona: “tutta la sua persona era una smorfia”. Quasimodo, il gobbo, il campanaro, l’uomo dai mille soprannomi, il diavolo, lo sconosciuto, il diverso. Portato in processione e agghindato di cartone, Quasimodo incute timore e rispetto, è arrendevole e al tempo stesso pare si lasci ammirare dalla folla che lo osanna. E’ sordo e non sente la musica della sua festa ma si bea del suo ruolo: “era pur sempre un popolo, e lui un sovrano”. Quasimodo sembra non cogliere l’ironia e Hugo lo descrive con tenerezza ed amarezza come un’anima incompleta in un corpo sbagliato, come a dire che lui è sordo a ben altri rumori che non sono solo la musica e la parole ma il tono e il sottinteso, la meschinità. E si inchina Quasimodo alla rigidita’ di Frollo, l’unico che lo tollera e che lo conosce. Quasimodo è storpio ed è bastardo, un trovatello che nemmeno le donne di Chiesa hanno voluto, vedendo il lui il segno del Demonio e chiedendone la morte; solo Frollo lo accoglie, lui che ha fatto della conoscenza il suo stile di vita, lui che a diciannove anni si sobbarca l’educazione, l’istruzione e la cura del suo unico fratello rimasto orfano. Frollo adotta Quasimodo a cui regala perfino il nome, suggellando di fatto un rapporto che non può non essere viscerale tra i due. Hugo lo paragona a quello tra un cane/servo e il suo padrone, connotando già il tenore della relazione: Frollo comanda, Quasimodo obbedisce senza mettere in dubbio, abbassa la testa ed esegue, suona le campane, affronta la berlina. Fino a che nella sua vita, entra la bellissima Esmeralda.

La festa dei folli ci permette di seguire anche le avventure del poeta- filosofo-mendicante Gringoire, che vede per primo la giovanissima Esmeralda: bellissima alla luce del falò, eppure zingara, “egiziana”, demoniaca. Esmeralda è una calamita, nel bene e nel male, attrae a sei per il suo fascino, la sua danza agile e la sua voce pura, si attira addosso bestemmie ed insulti e lo sguardo dell’adulto Frollo, che la guarda con concupiscenza e disprezzo, un misto letale, soprattutto perché la seconda emozione è ingenerata dalla natura dei suoi pensieri su Esmeralda.

Hugo ci presenta i fatti, lascia al lettore il giudizio morale; il suo apprezzamento o meno si fermano alla forma, all’arte e all’architettura di una Parigi sinuosa, suburbana, pullulante di vita e di rumori, di odori e di corpi. Una Parigi complessa e magnifica che rimarrà nella storia dell’immaginario collettivo, in particolare con la sua cattedrale gotica, emblema di una città.

L’umanità che racconta è variopinta ma una delle caratteristiche dei protagonisti scelti da Hugo è la loro indolenza e la loro tendenza all’individualità, salvo qualche raro caso. Penso ad esempio a quando Gringoire, che sta seguendo Esmeralda e la sua capra, sventa il rapimento della ragazza da parte di Quasimodo e di un personaggio misterioso, ma non salvandola coraggiosamente piuttosto limitandosi a chiamare aiuto. E l’aiuto arriva nella figura di Phoebus, bellissimo capitano delle guardie, vanesio e innamorato delle donne, promesso sposo. L’espediente serve al lettore per seguire Gringoire nella sua fuga che lo porterà dritto nella Corte dei Miracoli, governata dal re Clopin, fratello di Esmeralda. Coacervo di briganti, la Corte non accetta intrusioni e non fa sconti a Gringoire che può decidere solo come morire, impiccato o picchiato, a meno che non si celebrino delle nozze; e a salvarlo da morte certa è lei, che si preoccupa, e salva il povero Gringoire, “La Esmeralda“. Nessuno sa perché, né da dove venga, lei compresa. Il cuore di Esmeralda è duro da conquistare, i suoi sogni da fanciulla non sono adulti ma sono, appunto, romanticherie, ideali d’amore che hanno il vestito da soldato.

Io non potrò amare se non un uomo che mi sappia proteggere”

Esmeralda ha sedici anni, è innamorata della vita e dell’amore; è affascinante ma in lei le donne vedono una rivale proprio perché lei è inconsapevole della sua bellezza, della presa che ha sugli uomini, che il lei vedono un’idea nuova di bellezza, conturbante ed esotica. Esmeralda scatena bassi istinti, porta l’uomo a perdere il senno e il sonno, diventa vittima di una perversione che si incarna in Frollo, l’arcidiacono che deve dirottare la pulsione che va contro la sua scelta clericale e sceglie di insudiciare l’immagine di Esmeralda, di imprigionarla.

Nelle sue pagine, Hugo ci parla di Storia e di storie, ci racconta l’arte, la nascita, l’architettura e la società di Parigi, ci parla della magistratura, ci fa osservare il clero, la nobiltà e il popolo, con il suo sguardo attento e lucido.L’analisi psicologica dei suoi personaggi passa attraverso il racconto della loro storia personale per poi diventare universale; si serve di archetipi narrativi per raccontare l’integrazione, l’accettazione, la vita in ogni sua sfumatura. E l’amore, sopra tutte le cose, che spinge a cambiare, a voler essere diversi, spesso a migliorarsi, e da distinguere dalla brama effimera, dal possesso carnale che svilisce anche l’anima. Esmeralda diventa suo malgrado l’epicentro di scontri e rivalità il frutto della lussuria, desiderata e ripudiata proprio perché il sentimento non è ricambiato; il lettore percepisce la meschinità, il nascondersi dietro facili credenze e superstizioni per plagiare,  controllare, possedere e denigrare la ragazza. Sente la sporcizia dei pensieri contro la dolce ingenuità di Esmeralda, che crede nell’amore, forse troppo.

Si contrappongono così il bene e il male, la cultura e l’ignoranza: Esmeralda è “ignorante di tutti e di tutto entusiasta, che ancora non conosceva la differenza tra una donna e un uomo, neppure in sogno”, è pura e genuina, ma ha quel fuoco dentro che porta gli altri a desiderarla non sempre in modo altrettanto puro; ha un passato difficile, un destino segnato ma la sua gentilezza è un balsamo per chi la incontra, pur in un tempo in cui gli “egiziani” sono mal tollerati. La sua bellezza travalica la sua essenza e spinge l’altro a voler possedere corpo e anima della fanciulla: se non posso averti iov- parafrasando Frollo- nessuno ti avrà. E tuttavia, sarà proprio la sua gentilezza, dimostrata in momenti in cui avrebbe potuto benissimo deridere anche lei, a dire chi è Esmeralda, a testimoniare la sua essenza: sceglie chi è, e inconsapevolmente plasma parte del suo destino.

Il finale della vicenda è rappresentato dal momento in cui Esmeralda scopre chi è davvero, quel fato beffardo e ineluttabile che sembra ridere delle disgrazie umane, richiama quella parola – ananke – incisa nella pietra. Fatalità.

La storia raccontata da Hugo è una storia d’amore e di amori: l’amore puro eleva l’uomo, è tripudio di armonia, è universale e supera i confini del tempo, per questo “Notre-Dame de Paris” è un capolavoro della letteratura. Le illustrazioni presenti nell’edizione attuale rendono il volume di pregio; interessante la lettura del saggio finale ad opera di Ken Follet, un omaggio a Hugo, a Parigi, e alla sua Cattedrale.

A noi zingare non importa altro che questo, l’aria e l’amore.

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