Che dispiacere. Un’indagine su Bernardo Barigazzi

Che dispiacere. Un’indagine su Bernardo Barigazzi

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Che dispiacere. Un’ indagine su Bernardo Barigazzi, scritto da Paolo Nori ed edito da Salani Editore, che ringrazio per l’invio della copia.

TRAMA

Bernardo Barigazzi è uno scrittore che ha cominciato a fare il giornalista ma non l’ha detto a nessuno. Quando non scrive è impegnato a corteggiare Marzia, barista laureata in filosofia, con cui ha una relazione fatta, prevalentemente, di appuntamenti mancati. Con lo pseudonimo di Ivan Piri dirige “Che dispiacere”, un giornale sportivo che esce in edicola solo i giorni successivi alle sconfitte della Juventus. Sembrerebbe uno svago innocente, finché Barigazzi non si trova suo malgrado coinvolto in un’indagine di polizia. Manuel Carrettieri, ultrà con la passione per la cocaina, è stato ucciso e più di un indizio collega Barigazzi al delitto. In una Bologna autentica e insieme fiabesca, tra le osterie del centro e i vialoni della periferia, va in scena una commedia degli equivoci popolata di indimenticabili protagonisti, densa di umorismo e umanità. Per la prima volta Paolo Nori si misura con il giallo, passando dal racconto in prima persona a quello in terza, e orchestrando una sinfonia di voci e personaggi.

Vedovo da pochi mesi, Barigazzi, parmigiano di nascita e bolognese di adozione, si destreggia tra il prendersi cura della figlia quindicenne, amorevolmente chiamata Daguntàj (che in dialetto parmigiano significa ‘dacci un taglio’), tra un nuovo interesse sentimentale, tra un lavoro, quello di scrittore, che non lo rappresenta più come un tempo e un’identità segreta, ovvero quella di giornalista sportivo. Ma il giornale per cui Barigazzi scrive sotto pseudonimo, e che si chiama Che dispiacere, è decisamente originale: nato dall’incontro con Susanna, addetta all’ufficio stampa di una casa editrice e coniugata con uno scrittore, esce il giorno dopo una sconfitta della Juventus. Il calcio, come spesso accade nella vita degli italiani, è uno sfondo noto nella vicenda e nelle vite dei protagonisti, che tengono per una squadra o per un’ altra; nella stessa Bologna, il calcio è origine di siparietti nei bar, i cui odori, il cui vociare, trasudano dalle pagine fino a fondersi nei ricordi del lettore, a prescindere che sia o meno di Bologna, ovviamente.

Ho preso tanto di quel freddo, allo stadio Tardini di Parma: c’erano le sedute ancora in legno, tribune in tubi innocenti e assi di legno e, quando il Parma perdeva, io mi ricordo che tornando a casa mi chiedevo: ‘Ma cosa ci vado a fare, a prendere tutto quel freddo?

L’attività parallela di Barigazzi si incrocia con un delitto che sembra avere a che fare con il mondo del calcio: sarà davvero così? L’elemento che mi ha letteralmente tenuta incollata alle pagine è il modo personale dell’autore di narrare le vicende umane e non, a partire dalla scelta di uno stile molto discorsivo e vicino al parlato che riecheggia alla perfezione la tonalità caratteriale dei suoi personaggi. E le voci che abitano questa storia sono tante, qualcuna ha suscitato in me immediata simpatia, qualcuna antipatia: colpiscono, però, per il loro potenziale umano, per la loro contingenza, per la loro realtà. Sono, appunto, vividi e riflettono una quotidianità confortevole e piacevole da leggere; ci si perde nelle vie di Bologna, nei racconti di Lamborghini, nei suoi caffè decaffeinati e nei silenzi della moglie, nei dialoghi ironici di Stefania e Marzia, nel passato di Mancino e di De Crescenzo, tutti hanno un vissuto che li ha resi tali.
Una caratteristica che secondo me accomuna Marzia e Barigazzi e che mi ha colpito è la loro capacità di riflettere sulla bellezza del mondo, sulle potenzialità delle esperienze, sul loro riuscire a sostare nell’attimo che immortalano e riconoscerlo come un momento bello dell’esistenza; tesi tra un desiderio che caparbiamente viene ostacolato da fattori esterni, la loro relazione è un bocciolo in essere, una speranza da coltivare e in quanto tale ha la forza di ciò che potrebbe essere. L’amore come una Gerusalemme da ricercare, per chiedersi, poi, se è davvero quella Gerusalemme lì che si andava cercando: questa metafora mi ha spiazzata, mi ha emozionata, come tanti passaggi di questo romanzo.

Marzia ci credeva, che Gerusalemme esiste.

E Barigazzi stesso un amore totalizzante lo ha vissuto con la moglie, stroncata da una fatalità che avrebbe del ridicolo se non fosse terminata con la morte: l’ha sempre chiamata Togliatti, e il suo ricordo è per lui quanto di più prezioso il suo animo custodisca al punto da tormentarsi di averne usato uno per liberarsi del cianciare di Mancino, lo scrittore e giornalista, amante delle donne. La relazione tra Togliatti e Bernardo trova, a mio avviso, il suo apice in questo scambio di battute, che a ben guardare, a saper leggere bene, dice tanto:

«Parli così bene, quando stai zitto»

« Te invece, anche quando stai zitta, io non son mica d’accordo, con quei silenzi lì così competitivi» diceva lui.

Stavano bene, insieme.

Anche verso se stesso, Barigazzi ha una sorta di autoconsapevolezza mista a benevolenza: pur riconoscendosi una certa bravura in alcune cose, un certo grado di accettazione di sé, è consapevole che quei tratti che fanno di lui proprio Bernardo, in altri, gli darebbero fastidio! E cosa dire di Lamborghini che non si rassegna all’idea di aver amato e di aver sposato Ilaria, le cui cure del silenzio sono esilaranti – perché accadono a Lamborghini, ovviamente; i loro dialoghi stringati sono densi di quella consuetudine che solo le coppie unite da tanti anni, hanno.

Un caleidoscopio di immagini a cui l’autore unisce un sonoro riconoscibile e legato a un territorio ben specifico, con i suoi intercalari e le sue peculiarità; e la fede calcistica a punteggiare ricordi e paragoni tra le generazioni, a raccontare uno spaccato cittadino affascinante che l’autore fotografa nella sua purezza. Tra ironia e profondita’, l’autore ci racconta una storia, un po’ commedia degli equivoci, un po’ tragedia: insomma, la vita.

Gli attori in scena sono portatori di umane e comuni sensazioni e vissuti che il lettore legge con un sorriso e con un pensiero: forse, quelle piccole paturnie, quei moti dell’anima, quelle riflessioni e quei pensieri, sono anche i propri. Nei dialoghi brevi, sfumati da silenzi e sottintesi, o da proverbi e modi dire, c’e’ tutta l’emotività dei personaggi da cogliere e conservare, c’è il rapporto con le generazioni e con l’amore, ci sono quelle cose che raccontate dall’autore mi hanno fatto pensare: ecco, è proprio così.

«Come a tutti noi », aveva detto Mancino, « piacevano le cose difficili, e Bologna è difficile, dura, complessa, poliedrica, sfaccettata, antica e moderna, accademica e antiaccademica, giovane, con i suoi studenti, e vecchia, con i suoi bottegai, viva e morta nello stesso tempo, aperta e chiusa, gioviale e malinconica, simpatica e antipatica, onesta, con il suo buongoverno, e disonesta, con i suoi affitti in nero, e una città del genere» aveva concluso Mancino, «come si fa a non essere affascinati, da una città del genere? »

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