Lincoln highway
Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Lincoln Highway scritto da Amor Towles (traduzione di Alessandra Maestrini) ed edito da Neri Pozza Editore, che ringrazio per la copia.
In un giorno di giugno del 1954, Emmett Watson torna a casa. Il direttore della prigione, un uomo dalle buone intenzioni, con una fotografia di Franklin Delano Roosevelt appesa dietro la scrivania, lo ha accompagnato in macchina. Un viaggio di tre ore, dal Kansas al Nebraska, da Salina a Morgen. Dopo più di un anno trascorso a scontare una pena che pesa soprattutto sul suo cuore, Emmett non vede l’ora di impacchettare le sue cose e quelle di Billy, il fratello di otto anni, e filarsela in Texas con la Studebaker azzurra del ’48 che lo aspetta nel fienile. Sua madre è andata via da un pezzo, suo padre è morto, e quel che resta della fattoria, con i suoi infissi storti, i campi abbandonati, il tetto imbarcato, è ormai una faccenda degli strozzini della banca. Per rifarsi una vita non resta che il Texas, dove costruiscono e ristrutturano case a piú non posso. Il problema, però, è che Billy ha appreso come andare alla ventura dalla sua bibbia personale, “Il compendio degli eroi, degli avventurieri e degli altri intrepidi viaggiatori” del professor Abacus Abernathe, e ha perciò concepito tutt’altra meta: prendere la Lincoln Highway, la prima strada a percorrere l’America da una parte all’altra, e procedere in direzione di San Francisco, per arrivare giusto il quattro di luglio, il giorno di un grande spettacolo di fuochi d’artificio in cui è misteriosamente certo di incontrare sua madre. Il problema è anche che il direttore della prigione non ha trasportato soltanto Emmett da Salina a Morgen. Nascosti nel bagagliaio dell’auto, come abili contorsionisti, altri due ragazzi ospiti del carcere minorile di Salina sono giunti a Morgen: Duchessa, che ha appreso tutto dalla strada e dal «capriccioso dito del fato», e Woolly, che ha sempre bisogno di qualcosa per tenere a bada il mondo. E la loro intenzione è salire a bordo della Studebaker azzurra di Emmett e prendere la direzione opposta, verso New York, dove andare alla ricerca di ben centocinquantamila dollari. Nel giugno del 1954, Emmett, Billy, Duchessa e Woolly, animati dalla «feroce necessità» della gioventù, vanno così all’assalto dei «fuochi cupi del tramonto» e del «cielo eterno e insensibile» del paesaggio americano, come recitano i magnifici versi di Willa Cather posti in esergo a questo libro, salutato, al suo apparire negli Stati Uniti, come una ulteriore versione del grande romanzo americano e dei suoi eterni temi: il viaggio e l’avventura, la colpa e la redenzione, il riscatto e la speranza.
Molti anni prima, Abacus era arrivato alla conclusione che le più grandi storie eroiche avessero la forma di un rombo disteso. Cominciando da un punto specifico, la vita dell’eroe si espande verso l’esterno durante l’infanzia, a mano a mano che egli comincia a definire le proprie forze e debolezze, amicizie e inimicizie. Procedendo nel mondo, l’eroe persegue imprese in gran compagnia, accumulando onori e riconoscimenti. Ma a un certo punto di cui nella storia non si parla, i due raggi che delimitano i confini esterni di questo mondo in espansione di compagni vigorosi e avventure degne di essere vissute si piegano a formare un angolo e cominciano a convergere. La strada che il nostro eroe compie, il numero di personaggi che incontra, la determinazione che per tanto tempo lo ha spinto avanti, tutto comincia a restringersi, a restringersi verso quel punto fisso e inesorabile che definisce il suo destino.
Come vuole l’epopea dei grandi miti, anche questa storia comincia, per la gioia di Billy, in medias res: dopo aver scontato la pena a Salina, Emmett fa ritorno a casa in Nebraska. Ad attenderlo il fratello minore Billy, intelligente e determinato a fare in modo che tutto vada per il verso giusto: il loro padre è morto di recente, lasciando i due figli orfani ma anche gravati da danni economici derivanti dal fatto che della terra, il padre, non ha mai capito molto. Il suo approccio per tentativi si è rivelato fallimentare sotto molteplici punti di vista, ma Emmett non è minimamente preoccupato dalla cosa perché lui ha un piano. Sì, ce l’ha. Lo ha elaborato a fondo nei giorni tutti uguali di Salina (che non vediamo mai ma ne percepiamo l’eco e il ricordo in chi ci è stato, con sorti differenti), si è documentato ed è tutto pronto … se non fosse proprio per Billy che ha tutt’altro in mente: ha ritrovato una serie di cartoline inviate dalla madre, che li ha abbandonati dopo un meraviglioso Quattro Luglio trascorso in famiglia. Secondo Billy (che di fatto non ha mai conosciuto la madre se non attraverso i ricordi del fratello maggiore), la madre ha lasciato quelle cartoline come fossero delle briciole, degli indizi su dove trovarla ed è determinato a farlo, a perorare la sua causa con Emmett. Devono attraversare la famigerata Lincoln Highway e arrivare a San Francisco proprio in vista dei festeggiamenti per il Quattro Luglio: la madre è lì, ad aspettarli, per guardare assieme gli amati fuochi d’artificio e ricongiungersi ai figli. Pur restio a credere a questa storia, Emmett è il tipo di persona che preferirebbe farsi ammazzare piuttosto che deludere lo sguardo e le aspettative di suo fratello: forse, il suo piano e quello di Billy possono coincidere!
Ma, come suol dirsi, se qualcosa può andare storto, state pur certi che lo farà… e questa affermazione ben si adatta all’intero romanzo. Emmett dovrà rivedere più e più volte le sue posizioni, le sue idee e il suo piano perché gli accade di tutto: dal trovare due intrufolati d’eccezione come Duchessa e Woolly all’incontrare personaggi singolari. Quello che i protagonisti incredibili di questa storia fanno è proprio un viaggio, fisico, metaforico, di crescita: sbagliano, cadono, si rialzano, perdono e trovano ( non sempre, anzi quasi mai, perdono quello che vogliono perdere e trovano ciò che vogliono trovare). Sono tutti alla ricerca di qualcosa: dalla madre perduta alla possibilità di una nuova vita, dai sogni più intimi alla voglia di riscatto. C’è fame di libertà, una libertà selvaggia, anche dolorosa da accettare per gli altri ma necessaria per se stessi. C’è voglia di rivalersi su un destino avverso, c’è speranza che i sogni si realizzino.
Quello che più mi ha colpita e convinta in questo romanzo, dalla mole notevole ma assolutamente scorrevole, è la presenza di tante persone, di tante storie: ognuna con la propria voce, ci narrano urgenze ed esigenze tipiche delle età che hanno, desideri profondi. Sono personaggi variegati che hanno un passato spesso difficile e provano, nel 1954, a vivere la loro vita. Non sempre sono personaggi buoni e non sempre sono personaggi facilmente catalogabili come buoni sempre e cattivi sempre. Un esempio su tutti è rappresentato, a mio avviso, da Duchessa, l’unico protagonista, tra l’altro, a raccontarsi in prima persona: anche lui è stato a Salina ma Emmett ignora il motivo, ha un trascorso difficile e un rapporto con il padre, assente fisicamente ed emotivamente, complicato. Sembra un pò il deus ex machina di tutte le pessime idee del romanzo ma, al tempo stesso, raccontandocele in prima persona apparentemente non si riesce a cogliere l’importanza, le conseguenze delle sue parole e azioni; solo a posteriori, quando vediamo ciò che succede agli altri, si intuisce pienamente la portata, il carisma, di questo personaggio. Un personaggio chiaramente scomodo, ma, alla fine, mi sono chiesta se l’impressione finale vada verso la simpatia o l’antipatia; Duchessa ha chiaramente sofferto, è impulsivo, è la tipica persona che cerca di aiutare gli altri, fallendo miseramente, ma che ha anche sempre un suo tornaconto personale. Ama davvero qualcuno che non sia se stesso? O tutti sono pedine nel proprio gioco, proprio come sembrano esserlo stati tutti i personaggi entrati in contatto con suo padre, attore consumato? La vita è un palcoscenico anche per lui? In alcuni punti, le sue malefatte mi hanno fatto sogghignare, in altri mi hanno fatta infuriare, come succede anche ad Emmett; tuttavia, se Duchessa almeno prova a fare qualcosa, Emmett mi è parso un protagonista del tutto diverso, chino su se stesso, gravato dalla colpa della sua azione, di quell’incidente che lo ho portato a Salina condizionando la sua vita. Quasi spettatore passivo delle circostanze, è un ragazzo serio, sulla cui prevedibilità Duchessa fa molto affidamento, è affidabile, ha una morale abbastanza rigida ed è onesto; gli eventi sono come un fiume che lo travolgono ma lui cerca sempre un tronco cui aggrapparsi e anche un modo per riportare la corrente dove vuole. Parte all’inseguimento di Duchessa e Woolly presagendo già in un certo senso l’esito di questa fuga, un esito che è un pò come il destino degli eroi, ineluttabile. Tutto si muove per arrivare lì: un caleidoscopio multicolore di personaggi che rappresentano anche i cambiamenti della società, un mondo difficile che non fa sconti, tentativi di adattamento e sopravvivenza che non sempre si concludono nel modo sperato. Il punto di forza del romanzo, a mio avviso, oltre che essere la scrittura, impeccabile, coinvolgente, ritmata, sono proprio le storie dei personaggi, dai principali ai secondari, quelli che appaiono per poche pagine ma riescono a lasciare il segno per le loro forze e debolezze, per le loro esistenze affannate, alcune più dolorose di altre; l’autore costruisce retroscena, background credibili che danno senso al tempo presente del romanzo, crea storie e persone. Una parola, infine, sui personaggi che mi hanno rubato il cuore: Billy e Woolly, due anime diverse, pure, delicatissime e per questo da proteggere ad ogni costo. Non è sempre facile entrare nel mondo di Woolly, nella sua vita da ricco: ma Woolly non è solo ricco sulla carta perché discende da una famiglia potente, è ricco di colori, di sensibilità che solo un’anima giovane come Billy può conoscere, riconoscere e comprendere. Billy, con il suo compendio di eroi, con i suoi sogni e le sue arguzie, con la sua voglia di scrivere in medias res la sua storia: ma da dove partire? Intenso, emozionante, divertente, tragico: un romanzo che parla di un viaggio ma è molto più di questo, perché parla di Sally e della sua libertà, di Ulysses e della sua solitudine, di Abacus e della sua vecchiaia, di quattro giovani che attraversano la prima autostrada d’America, da New York a San Francisco e vedono il mondo, la ricchezza, la povertà, la fame, la guerra, la pubblicità, il sogno infinito di una Studebaker azzurra del ’48 e una strada. Verso il domani, verso il futuro.
«Sai che cosa sarebbe magnifico, Billy? Sai che cosa sarebbe assolutissimamente magnifico?»
Tenendo il segno, Billy alzò gli occhi dal libro.
«Che cosa, Woolly? Che cosa sarebbe assolutissimamente magnifico?»
«Un giorno del genere unico nel suo genere.»