Il tempo della guerra

Il tempo della guerra

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Il tempo della guerra, scritto da Andrzej Sapkowski (traduzione di Raffaella Belletti), ed edito da Editrice Nord.

TRAMA

Tre ombre cavalcano nella notte. Sono tre sicari, lanciati all’inseguimento della loro prossima vittima. Tuttavia non sanno di essere a loro volta seguiti da una creatura più forte e più resistente di qualsiasi essere umano: Geralt di Rivia, l’assassino di mostri. In circostanze normali, lo strigo non si sporcherebbe le mani per eliminare dei comuni criminali, ma stavolta è diverso. Perché quei tre sono stati assoldati per uccidere la principessa Ciri e, se ci riusciranno, il mondo intero sarà perduto: Ciri è la Fiamma di Cintra, la maga di cui parlano le profezie, l’unica forza in grado di contrastare i piani dell’imperatore di Nilfgaard – lo spietato conquistatore del Nord – e di riportare la pace tra i popoli della terra. Per questo è essenziale che Ciri arrivi sana e salva sull’isola di Thanedd, dove si stanno radunando tutti gli altri maghi. E Geralt è disposto a ogni sacrificio pur di proteggere il suo cammino. Però nessuno può immaginare che la principessa non sarà al sicuro nemmeno sull’isola. Sebbene sia difesa da incantesimi potentissimi, le spie di Nilfgaard sono infatti sbarcate persino in quel luogo isolato. E adesso sono in attesa, pronte a colpire…

Il mondo è definitivamente sull’orlo di una guerra sconvolgente: vecchie e nuove alleanze sono venate da sospetti di tradimenti e cambi di fronte; i re umani non si fidano più dei loro consiglieri maghi e questi, a loro volta, si stanno per riunire sull’isola Thanedd, schermata e protetta magicamente. Il romanzo si apre seguendo un messaggero reale, il quale sta per intrecciare il suo percorso con lo strigo Geralt: ampliando quindi l’osservazione, si parte con pezzi apparentemente slegati che, pian piano, acquistano senso. Tale espediente narrativo mi ha tenuta incollata alle pagine, cercando di capire dove e in che modo le figure introdotte si collocassero nell’economia della storia. Ritroviamo la nostra Cirilla che viaggia insieme a Yennefer diretta a Thanedd prima e ad Aretuza, poi: la maga infatti ha deciso che la ragazza diventerà adepta, sia per le sue facoltà, sia per tenerla lontana e nascosta dai numerosi nemici che ne architettano la morte. I momenti tra le due protagoniste sono, come nel romanzo precedente, divertenti e interessanti: Yennefer dimostra di essere un personaggio complesso e multi-sfaccettato. Yennefer è consapevole proprio potere magico e personale e cerca di far capire a Ciri che effetto ha tale consapevolezza, ma in questo atteggiamento si può leggere molto di più: Yennefer non sta insegnando a Cirilla ad ingannare e a manipolare, ma a credere in se stessa. La ragazza ha un carattere determinato, che la porta a disobbedire alle regole della Maestra e a fuggire di notte per correre dal suo strigo, prima di rinchiudersi controvoglia ad Aretuza. Durante il tragitto, Ciri ha delle tormentate visioni oniriche in cui vede la Caccia Selvaggia che la reclama come la Morte; stremata, arriva a destinazione in concomitanza con l’entrata decisamente più scenica di una Yennefer parecchio arrabbiata per il gesto sconsiderato, che getta anche ombre sul suo ruolo di autorità agli occhi di Geralt. Ma finalmente, l’incontro anelato, il ricongiungimento tra Yennefer e Geralt, che si traduce nella decisione della maga di farsi accompagnare dallo strigo al banchetto dei maghi.

Qui si aprono pagine davvero esilaranti: l’ironia e il sarcasmo dell’autore ci regalano siparietti e dialoghi frizzanti e divertenti, Geralt viene osservato, studiato, bramato, conteso, in un contesto dove la manipolazione e la seduzione sono arti molto ben praticate! Tuttavia, lo strigo ha finalmente dichiarato ad alta voce di appartenere a Yennefer, ma ciò non toglie che si ritrovi al centro di pettegolezzi e scandalose occhiate! Geralt, però, è talmente puro e trasparente da fingere di non cogliere e ringrazia di essere uno strigo e non poter arrossire. Le scene hanno una dinamicità, una chimica e una modernità incredibili: avrei voluto che quel banchetto non finisse mai ( a differenza di Geralt, stanco di essere soppesato e, soprattutto, desideroso di concedersi finalmente al dopocena con Yennefer!). Il banchetto, infatti, è letteralmente un covo di spie, al punto che come Geralt, anche io ho faticato chi spiava chi per conto di chi. La riunione del giorno successivo si rivela essere un bagno di sangue, con fughe miracolose e rocambolesche che coinvolgono Cirilla, Yennefer e Geralt. Momentaneamente separati, seguiamo Geralt, gravemente ferito e raggiunto da Ranuncolo, con cui si interroga sul buonsenso dei popoli, dei re e dei maghi, facoltà che sembra essersi persa: il mondo è spezzato, la fiducia mal riposta.


Tutti avevano ragione. Solo io, uno strigo ingenuo, anacronistico e stupido, non avevo ragione.

Ancora una volta, le tensione personale ed intima di Geralt permea le pagine a lui dedicate: strigo con sentimenti umani, un miraggio? Geralt è il primo a guardarsi con disprezzo, teso tra accettazione e sdegno per ciò che è diventato, per una sorte che gli sembra piovuta addosso. In questo tratto, Geralt mi ha ricordato altri archetipi di eroi fantasy leggendari e altrettanto travagliati emotivamente.

In questo romanzo è presente molta più politica e strategia militare : la lotta al potere e alla conquista comporta perdite e sacrifici terribili; le nuove “alleanze”, che si rivelano essere accordi inevitabili per poter continuare a sopravvivere, di fatto, costringono regni e nuovi sovrani a voltare le spalle ai propri popoli, in nome di un futuro che appare sempre più manipolato da Nilfgaard. Il suo re, potente e nell’ombra, ordisce trame e rivolte, aizza e tenta, provocando la rottura di equilibri già tesi. Di fronte a queste strategie, colpisce l’ingenuità quasi fanciullesca di Geralt che non riesce a credere a quanto sta accadendo: eppure, il mondo è in preda a quello che viene più volte definito nel romanzo , il tempo del disprezzo.

Nonostante qualche perplessità legata ad alcune scelte narrative, del tutto soggettive e connesse al mio gusto personale, e la mancanza di una mappa che mai come in questo volume avrebbe agevolato la comprensione di una storia che va dipanandosi su territori diversi e lontani tra loro, il modo in cui l’autore racconta i suoi personaggi è sicuramente l’elemento che mi ha colpita maggiormente in questo volume: sono personaggi catturati in momenti salienti della loro vita, iconici quasi, nel modo di sottoporsi al peso delle proprie responsabilità. Ancora più intrighi e giochi di potere coinvolgeranno Geralt e la giovane Cirilla: di chi si possono davvero fidare? Il capitolo finale è dedicato proprio a Cirilla e alle sue incredibili avventure solitarie: in questo epilogo ancora una volta aperto e pieno di domande, la giovane principessa dimostra di possedere una tempra fuori dal comune, sopportando privazioni, dolori, sacrifici e nuove difficoltà personali. Ritrovare i personaggi creati da Sapkowski è sempre piacevole: ognuno di loro ha una potenza e una caratterizzazione tale da superare il “limite” della carta e diventare personaggi vividi; da Ciri, a Ranuncolo, da Yennefer a Geralt, seguire i loro percorsi tumultuosi e misteriosi, provando ad anticipare le successive mosse ed eventi, mi è piaciuto!

Dell’amore sappiamo poco. Con l’amore è come con una pera. La pera è dolce e ha una forma. Provate un pò a definire la forma della pera.

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