Poster girl

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Buongiorno lettori! Esce oggi il nuovo romanzo di Veronica Roth, POSTER GIRL ( traduzione di Roberta Verde) edito da Mondadori.


Sonya Kantor conosce molto bene questo motto, visto che ha ispirato, meglio condizionato, gran parte della sua vita. In realtà queste parole hanno condizionato la vita di tutti gli abitanti della megalopoli di Seattle-Portland-Vancouver. Per anni, infatti, hanno dovuto adattarsi a un codice morale molto rigido e a una costante sorveglianza da parte della Delegazione, resa possibile da una sofisticata tecnologia. Poi la rivolta ha cambiato tutto. La Delegazione è stata rovesciata e sostituita da un nuovo governo. Tutti coloro che avevano avuto un ruolo nel regime precedente sono stati rinchiusi insieme alle proprie famiglie nell’Apertura, una vera e propria prigione alla periferia della città. Gli altri, finalmente liberi, hanno potuto proseguire con le loro esistenze.Sonya, figlia di uno dei membri di spicco della Delegazione e diventata famosa per essere stata, da adolescente, il volto dei manifesti propagandistici affissi per tutta la città, è imprigionata da anni nell’Apertura. Un giorno, un vecchio nemico si presenta da lei con una proposta: se troverà Grace Ward, sottratta alla famiglia dalla Delegazione quando era ancora una bambina, sarà libera. Per portare a termine la missione Sonya sarà obbligata a muoversi in un mondo che non riconosce, di cui ignora i meccanismi, estraneo (ed estremamente corrotto). E, soprattutto, a scavare a fondo nel passato, compreso quello della propria famiglia, anche più di quanto vorrebbe, portando alla luce verità dolorose e difficili da accettare. A più di dieci anni dal suo esordio con Divergent, Veronica Roth torna alla distopia con un mystery che esplora il ruolo sempre più pervasivo della tecnologia nella nostra società.


A chi importa di un singolo filo d’erba quando ha tutto un prato intorno a sé?

Parto con una premessa: questo libro mi ha letteralmente conquistata. Complice la scrittura della Roth, così asciutta da risultare tagliente, capace di graffiarmi in alcuni punti e di graffiare la superficie apparentemente intoccabile della protagonista, complice la protagonista che mi ha da subito incuriosita, complici i risolti della sua storia, del suo passato personale che si interseca con quello del suo paese, complice la storia che definire d’amore forse è eccessivo, ma è comunque una storia che intreccia la protagonista ancora al suo passato … ho letteralmente divorato queste pagine. Quando sono arrivata ai ringraziamenti i miei occhi, lo ammetto, erano velati e ho capito perchè, tutti i pezzi sono tornati al proprio posto e ho capito che l’emozione provata nasceva non solo da Sonya, la protagonista, ma dall’autrice stessa, ed è stata la conclusione degna di questa storia. Altra premessa: nonostante le emozioni, riconosco che nella parte centrale della storia, in pieno svolgimento narrativo, qualcosa nella trama non ha fatto del tutto “clic”, e forse su questo l’autrice avrebbe potuto approfondire meglio alcune dinamiche ed eventi.

E’ un libro difficile da raccontare senza fare spoiler: Sonya è una donna che vive da dieci anni reclusa nell’Apertura, un luogo che pian piano si rende noto per quello che è, una prigione per chi è stato leale alla Delegazione, un governo precedente soppiantato tramite un’insurrezione dall’attuale Triumvirato. Chi è stato leale alla Delegazione ha pagato con la prigionia in una zona che ha del dantesco: immersa nella città ma del tutto avulsa da essa, regolata da gerarchie interne proprie, dove non si possono avere figli, i rifornimenti arrivano per gentil concessione una volta all’anno, e dove non esiste la polizia. Un luogo che ha dovuto autoregolarsi, non sempre nel migliore dei modi, ma come apparirà ben presto chiaro, questo è uno degli interrogativi di fondo che la Roth ci pone: qual è il modo migliore per gestire la società? Tematica a lei molto cara, si sa.

Nell’Apertura non ci è finito solo chi ha appoggiato tramite il proprio operato la Delegazione ( per esempio, vari funzionari di diversi uffici) ma anche chi ha avuto un ruolo indiretto, anche i figli, chi aveva legami con personaggi di quel regime. La Delegazione questo era: un regime improntato su un Impianto iniettato da piccolissimi nell’occhio, un cerchio di luce che manteneva le persone costantemente aggiornate, connesse, controllate dalla Delegazione stessa. C’erano procedure rigide a cui attenersi: ogni gesto, dall’offrire a una persona un fazzoletto durante un funerale a dedicarsi al proprio piacere, valeva qualcosa, i DesCoin. Potevi perdersi e acquisirli, e ogni azione aveva un grado di Desiderabilità. Questo è il codice con cui Sonya è crescita; se la sorella maggiore era quella destinata al talento, a lei non restava altro che essere quella ligia al dovere. Arrendevole? Forse. Servile, anche. Sonya ha impostato la sua esistenza fino ai diciassette anni calcolando quanto ogni azione le avrebbe fatto perdere o acquistare quei DesCoin che le avrebbero permesso di fare altro.

Ma Sonya non è nell’Apertura solo per la sua famiglia, lei che è l’unica sopravvissuta ( a che costo? come?); lei è la ragazza-poster, il volto stesso della Delegazione. E’ stato suo padre a proporle di posare per quel manifesto che ha tappezzato la città, simbolo della delegazione, e anche se ha perso DesCoin per il suo orgoglio, era qualcosa che la rendeva diversa, non come sua sorella, qualcosa di unico. Ha accettato e se prima era motivo di vanto essere riconosciuta, ora è la pena, l’ennesimo scotto da pagare, quella faccia, quel nome, quello slogan, tutti sembrano sempre sapere chi lei sia a prescindere da chi lei è davvero. Ma in fondo non è lo stesso approccio che ha tenuto la Delegazione? Non ha punito reati contrari a norme francamente illogiche solo perchè poteva e aveva deciso di farlo? Come regolare le nascite e rendere i secondogeniti illegali a meno che non si avesse un permesso speciale, come quello che avevano i genitori di Sonya e di Aaron il suo promesso sposo assegnato ovviamente dal governo. Era un vero e proprio regime del terrore, ma quello che c’è ora è meglio?

Sonya vive in una bolla da dieci anni: è questa la vera condanna? E’ lì per ciò che rappresenta? E’ stata troppo influente da farla ora sparire in una prigione? O sta pagando per colpe? Colpe di chi? Sue? Di suo padre?

Quando il passato bussa alla porta di Sonya nella figura di Alexander, che lei considera un traditore, la donna può fare una scelta: aiutare a ritrovare una ragazza scomparsa per riavere la libertà o continuare a marcire nell’Apertura. Una scelta, certo, come se potesse lei averne una. Come se quest’opzione non fosse un modo che il Triumvirato userà contro di lei per farla sparire senza troppe cerimonie; eppure, Sonya non può sottrarsi, accetta. Sarà interessante scoprire perchè.

Dopo dieci anni rimettere piede in un mondo che è il suo eppure non è, è proprio come potrebbe sembrare: strano, delirante, folle. Sonya controlla ancora le azioni con il vecchio sistema anche se non c’è più nessuno a dare o togliere punti e privilegi, anche se gli Impianti degli altri sono stati spenti. Ma giorno dopo giorno, permesso dopo permesso, Sonya scoprirà cose sulla sua famiglia, sul suo passato, su di lei, sul suo vecchio mondo, che la faranno dubitare di tutto. E quando alla fine potrebbe voltarsi e sparire, Sonya fa le scelte più dolorose. Lei è come la sua famiglia? E’ diversa? In cosa? Lei fa ciò che è giusto perchè è giusto? Ma soprattutto chi decide cosa è giusto e sbagliato? Le cose che scoprirà sono raccapriccianti, ma quel che è peggio per lei è che sono cose che erano lì, sotto i suoi occhi, solo che aveva scelto di tenerli chiusi. E su quante altre cose ha scelto di non guardare? Su Aaron? Sull’amore che ha scelto di vivere nell’Apertura? Certe volte è meglio non sapere, restare all’oscuro, non domandare all’unico amico che ha se sapeva qualcosa, perchè la risposta sarebbe lacerante e in un mondo nel quale ha già perso tanto, Sonya non vuole, non può reggere di perdere tutto.

Il modo in cui la Roth mi ha presentato Sonya mi ha conquistata: è un personaggio difficile, affilata, a volte gelida, indossa costantemente una maschera per proteggersi, ma è nei piccoli gesti che emerge il suo fuoco, il suo temperamento. Chi è Sonya? La ragazza-poster? La figlia della Delegazione buona e un pò sciocca? La donna che schiva gli sguardi? Le tematiche trattate sono care all’autrice: un mondo dominato da un regime in cui scegliere è impossibile, giunge al collasso, e prende il sopravvento un nuovo governo altrettanto intransigente. Il potere dei dati oggi ti rende alleato e domani nemico a seconda di chi comanda e detiene il potere. Ma chi ha dato il governo questo potere? Chi ha permesso che le autorità si impossessassero di tutti i dati? La gente, i singoli, troppo pigri e abituati a delegare. Una neppur tanto velata critica al mondo di oggi, altro che distopia! Questo forse è l’aspetto su cui mi sarei aspettata qualcosa di più: le machiavelliche rivelazioni non mi sono sembrate così spiazzanti, anzi, e anche la parte di risoluzione del mistero legato alla ragazzina scomposta mi è sembrata marginale rispetto al resto. Troppe volte, poi, per i miei gusti, Sonya si salva all’ultimo secondo, e, a fronte di un mondo che sembra odiarla per crimini che di fatto non ha commesso, troppo spesso viene aiutata proprio da chi dovrebbe detestarla per davvero senza motivazioni capaci di giustificare la cosa. Nonostante qualche perplessità, come ho detto ho amato molto questo romanzo per la voce di Sonya, capace di bucare la pagina e arrivarmi, ma così anche molti dei personaggi secondari, sopravvissuti più o meno colpevoli di un regime che come tale è destinato a distruggere tutto e tutti. Torna la Roth e per me lo fa davvero bene!

-copia per la recensione fornita da Mondadori

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