A/metà

A/metà

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo A/metà, scritto da Jasmin B. Frelih (traduzione di Michele Obit) ed edito da Safarà Editore che ringrazio per la copia.


È il 2036, venticinque anni dopo l’avvento della Grande Cacofonia che ha distrutto la rete di comunicazioni globale inaugurando l’era post-Internet. In un mondo incerto sulla soglia del tempo che ospita le vestigia di passato, presente e futuro – dove in rigogliosi boschi sloveni ci si imbatte nei corpi di soldati austroungarici mentre a Edo conturbanti cyborg vengono assunti come agenti teatrali – tre vecchi amici, Zoja, celebre poetessa trapiantata a Brooklyn, Evan, geniale regista teatrale allo sbando, e Kras, ex ministro della Guerra, saranno destinati a incontrarsi riannodando i fili interrotti delle loro esistenze in una narrazione esilarante e gioiosamente anarchica capace di evocare con occhio profetico una possibilità del nostro più imminente futuro.


Perturbante, oniriforme, disturbante, visionario: questi alcuni degli aggettivi che mi vengono in mente per provare a descrivere il complesso e multisfaccettato universo narrativo di Frelih, fatto di miscellanea di generi e forme, stili e strutture, volti a raccontare una storia.

Sicuramente, proprio lo stile incredibilmente originale, la capacità innata e innovativa dell’autore di giocare con la lingua e con la narrazione, mi hanno richiesto qualche pagina di lettura per entrare in sintonia con la storia narrata ma nonostante tutto, al termine della lettura, tante sono le domande che aleggiano nella mia mente, riflessioni, sensazioni. Ho compreso tutto? E’ poi così importante riuscire a comprendere tutto? Forse è proprio questa una delle sfide che pone l’autore con il suo romanzo: stare nella lettura, lasciarsi trasportare da essa ben consapevoli che, come la vita, essa è stratiforme.

Evan, Volk e Zoja sono tre personaggi unici e singolari: ad ognuno di loro vengono dedicati lunghi capitoli in cui ai personaggi accade la vita, l’esistenza quotidiana; tramite i loro incontri, quello che gli capita, riusciamo a cogliere scorci di ciò che è successo al mondo del futuro dopo il Grande Taglio e la Grande Cacofonia. Quali sono gli effetti che ha avuto sugli esseri umani, sottoposti ormai da anni a stimoli sonori che li spingevano a parlarsi uni sugli altri senza comprendersi davvero, senza sapere cosa o chi ascoltare e perché? Soprattutto, ha avuto successo?

Evan è un regista di teatro che ha rinunciato a tutto per vivere il suo sogno e approdare ad Edo, la città dei sogni e delle promesse, in cui realizzarsi come regista portando in scena uno spettacolo complesso sulla vita; è un uomo solitario e solo, dedito all’uso di droghe, con uno sponsor corrotto e corruttibile che gliele fornisce e che finirà in carcere proprio per questo. E’ uno straniero in terra straniera, e ciò avrà sia vantaggi che svantaggi, ma soprattutto è un uomo emotivamente alla deriva, che ricerca la vicinanza fisica, il contatto e al tempo stesso lo teme, traumatizzato forse da una complicata relazione con una donna del suo passato che lo ha costretto a scegliere tra lui e la carriera ad Edo.

Tutte le famiglie, tutte, quelle fortunate e quelle sfortunate, le famiglie ricche o quelle povere, dimenticate, esaltate, disprezzate, le famiglie spudorate e disperate e avide e anche le famiglie stupende, le famiglie giuste, quelle sbagliate, potenti, indegne, abbienti, empie, e poi quelle rozze, ingorde e anche quelle più isteriche sono, comunque le guardi, in primo luogo, soprattutto un disgustoso branco di persone ferite.

Kras è un Volk, ex ministro della Guerra, figlio maggiore di una famiglia slovena disfunzionale e solo apparentemente coesa, unita nel festeggiare proprio il suo compleanno, evento per cui si prodiga la moglie Katarina con la quale intrattiene pratiche sessuali particolari; ma nulla è come sembra e nei capitoli dedicati a Kras come un’onda emergono gli scheletri nell’armadio di questo nucleo famigliare composto da tanti rami, dal patriarca che parla con gli alberi, alla prima moglie assetata di sangue e vendetta, dal figlio avaro alla figlia omosessuale, ai nipoti adolescenti. Ammetto che questi sono stati i miei capitoli preferiti: avrei continuato a leggere del clan Volk ancora per tanto tempo perché formato da tanti personaggi, tutti con la loro voce e la loro storia che avrei approfondito. E’ un dramma famigliare a tutti gli effetti, il loro, con altarini fatti di fratellastri che si baciano e di cugini che si trovano in soffitta a fumare erba, ma pagina dopo pagina emerge, come nel caso di Evan, un’ossessione maniacale per il sesso come atto di vicinanza all’altro. I corpi vengono spiati e anche io, come Alan e Po, mi sono sentita una voyeur, ho spiato tramite la toppa della serratura queste perversioni intricate che l’autore insinua ma non svela fino in fondo. Come fa spesso nel romanzo, lascia frasi in sospeso, momenti in divenire da colmare, parole da terminare.

Infine, c’è Zoja, una poetessa che è diventata una star, i cui testi sono paradossalmente vietati nella propria terra d’origine; la donna si prepara a tornare sul palcoscenico con una performance che è destinata a segnare l’epoca in cui vive, qualcosa di mai visto in cui convergeranno un numero considerevole di persone. Zoja è una star, però, sui generis: nei capitoli a lei dedicati spesso l’azione è intervallato da pensieri in corsivo, forse suoi, che fanno riflettere sulla sempre urgenza di bellezza e sulla necessità della gente di trovarsi assieme per un evento così grande, capace di disperdere la volontà del singolo per unirsi a quella globale. Ed è proprio in quest’orda famelica che vuole quasi nutrirsi delle parole di Zoja che si annida la paura perché un atto folle e criminale è in atto, un atto contro la bellezza, un atto che nasce dalla paura e dall’odio, dall’invidia: come può Zoja arrogarsi il diritto di mostrare la sua scena, le sue cicatrici, quando altri hanno sofferto anche di più? Tra il suo pubblico c’è qualcuno che mischia filosofia e religione, follia e rituali, per ottenere cosa?

La penna dell’autore ondeggia tra lirismo poetico, elucubrazioni metafisiche, dialoghi filosofici e intellettuali e ironia pungente, tratteggiando una società che è sì del futuro ma che mantiene una continuità col passato per quanto attiene ai temi fondamentali: domande esistenziali che continuano a premere l’uomo e che i personaggi, principali e secondari, si pongono.

Riso bollito in una pentola, ecco cosa siamo. Qualcuno ci sta scolando.

Ogni personaggio ha la sua voce, e lo stile dell’autore vi si adatta completamente: forse è per questo che, ripeto, mi sono sentita più in sintonia con la solo apparentemente scanzonata voce che fornisce ai Volk, una patina di borghesia e rispetto che nasconde tradimenti, violenze, abusi e le quotidiane diatribe famigliari, rispetto alle parti più esistenzialiste e filosofiche.

Evan, Zoja e Kras ricevono un misterioso biglietto aereo per una località militare, uno di quei biglietti la cui meta non può essere definita: ognuno di loro ha un motivo per scegliere di partire e un motivo per restare. Forse è nel finale che gli elementi della distopia e del fantastico si evidenziano: chi sono davvero loro?

La parola ha perso il suo destinatario. Il corpo si libera dalla schiavitù della coscienza e diventa una cosa avvolta in una volontà estranea. Questo dolore non ha radici. Questo piacere non ha ali.

Condividi:

Leave comment

Your email address will not be published. Required fields are marked with *.