Cavalli elettrici

Cavalli elettrici

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Cavalli elettrici, scritto da Shannon Pufahl (traduzione di Giada Diano) ed edito da Edizioni Clichy, che ringrazio per la copia.


Un viaggio lungo le seducenti e pericolose strade del West americano del dopoguerra, due storie d’amore e di segreti che si intrecciano dalle campagne del Kansas alle spiagge della California, dalle notti di Las Vegas alle illusioni di Tijuana. Muriel, giovane e irrequieta, si ritrova trapiantata a San Diego con il marito Lee. Nella tavola calda in cui lavora origlia ex fantini e allenatori dell’ippodromo di Del Mar, dove inizia a sgattaiolare imparando il linguaggio dei cavalli e del rischio. Julius, il fratello di Lee, trova lavoro in un casinò di Las Vegas, dal cui tetto i turisti scrutano i test atomici. Qua si innamora di Henry, un baro di carte: e quando questi dovrà scappare, Julius lo inseguirà fino alla pancia di Tijuana. Finalista del Premio Letterario Lambda 2020


E’ la seconda metà degli anni Cinquanta, il luogo è l’America, dal Kansas alla soleggiata California, dalla guerra alle carte di Las Vegas con le sue promesse infrante e le ricerche senza fine a Tijuana. E’ un’ America fatta di canzoni alla radio, di guerre combattute e da combattere, di pregiudizi e fame di libertà, di sogni e risvegli, di scommesse e futuri da costruire. Su questo sfondo si muovono i protagonisti di questa storia, Muriel, Lee, Julius, Henry e Sandra: esistenze solo apparentemente ordinarie, che nascondono la potenza della vita vissuta.

Muriel è orfana di una madre da sempre votata all’indipendenza, una donna libera che ha vissuto l’amore, cercandolo in uomini a cui Muriel si abitua sin da subito e cercando di passare alla figlia un certo ideale di donna; quello che la madre di Muriel non sa è che l’impronta lasciata, nel bene e nel male, avrà determinati effetti sulle relazioni della figlia: mi ha colpito molto una scena che appartiene alla memoria della protagonista, quando ricorda uno dei primi incontri con Lee svoltosi al tavolo della cucina mentre giungono dal piano di sopra movimenti e gemiti sospetti. Nel ricordo, Muriel è divisa tra la temerarietà di un atteggiamento sfacciato che le deriva dal comportamento materno, quasi come se la proteggesse, la giustificasse, la definisse, ma, con il tempo, è emerso anche un altro sentimento più sommerso, una rabbia quasi, un desiderio di vendetta rispetto a questa donna così libera come la madre. E se anche è scarna di parole dirette, come del resto è tutto il romanzo, Muriel mi è arrivata lo stesso. Muriel cerca un modo per definirsi, lontana da casa e forse anche da quella madre che le ha dato tanto ma che probabilmente non si permette di percepire come ingombrante, un modello difficile da raggiungere; vuole essere libera di essere se stessa o quantomeno di scoprire chi è, anche se deve accettare compromessi. Vuole avere segreti. Vuole essere felice e vuole amare in un modo diverso da quello che legge negli occhi del marito. Ma dal di fuori Muriel non appare come una donna inquieta, anzi: sembra quasi invisibile, nel suo mondo maschile e maschilista, in cui si insinua senza sospetti. Una figura a cui non dedicare una seconda occhiata, eppure … Eppure Muriel familiarizza con quel linguaggio delle corse così accuratamente descritto dall’autrice (nota di plauso per la traduttrice), lo padroneggia, prova il brivido della scommessa e vince. Ascolta, segna, osserva e accumula. Per cosa? Per una bugia al marito? Per se stessa?

Immagino che noi tutti accettiamo qualunque paradiso ci venga offerto.

Se Muriel non da segni esteriori di irrequietezza, ben diversa è la solfa per Julius, fratello minore di Lee, un personaggio che non riesce a trovare il proprio posto nel mondo, cresciuto da un padre fanatico religioso e da un fratello semplice e convinto di dover prendere il ruolo paterno nella vita del fratello minore da sempre problematico tra risse e gioco d’azzardo. Con la futura cognata Muriel ha da subito un’intesa fatta di segreti condivisi e indicibili, di partite a carte in cui nessuno tenta di rabbonire l’altro con finte vittorie, un’intesa fatta di corpi che vivono la loro stessa essenza in modo diverso. E’ una forma d’amore la loro, un legame che Muriel sente speciale e da difendere; nei capitoli iniziali, Muriel si sente quasi tradita dall’allontanamento di Julius, come se andandosene non avesse riconosciuto la potenza e l’importanza della loro connessione, l’avesse sminuita. Invece in quel rapporto forse Muriel fa convergere una serie di sue proiezioni personali proprio come sembra fare con lei il marito.

Julius che gioca e vince e perde, che cerca di frenarsi e trova e perde l’amore; la sua ricerca ossessiva e disperata, fatta di notti in cui cerca di lasciare una traccia per l’amato, di sconosciuti baciati nei vicoli e carezze di cui ha bisogno, diventa un viaggio in se stesso, un modo per rileggere la sua vita e per lasciarsi andare a un nuovo capitolo della stessa. Nelle sue pagine, Julius ricorda il padre, il rapporto con il fratello, spesso più genitore, ricorda l’amore famigliare e gli uomini che ha amato, ricorda i luoghi e cerca un contatto con l’altro, per ritrovarsi.

Teme che forse tutto ciò che ha sempre desiderato davvero siano quei momenti in cui l’amore è incerto, quando può assumere pose di seduzione veloce, a letto o seminudo o indugiando su un bottone con la mano o, ancora prima di questi momenti, fare capolino su un uscio o scendere da un marciapiede e attraversare una strada dove c’è un uomo in attesa, lo sguardo tra di loro mentre cammina, i momenti in cui può ancora allontanarsi, la consapevolezza erotica di essere l’oggetto dello sguardo prolungato di un altro uomo.

I personaggi di Cavalli elettrici sono alla ricerca della propria identità e lo fanno attraverso un confronto che si tinge di silenzi e attese, di aspettative disattese e di certezze che si sgretolano; è un confronto che avviene pesando le parole come Muriel, ma è anche un confronto gravido di non detti e sottintesi che si prestano a interpretazioni personali, come quello di Julius. Le scene sono fotogrammi, piano sequenza su dettagli, su momenti, ricordi e vissuti, permeati dalle sensazioni di questi personaggi che l’autrice sapientemente tratteggia. Bucano la pagina, emergono sgomitando con il loro sguardo peculiare sulla vita e sulle relazioni; ammetto di essere stata particolarmente colpita da Julius, un uomo complesso e multisfaccettato che pagina dopo pagina è diventato una presenza vivida e reale, concreta. Mi ha emozionato, per la purezza del suo amore, per il suo stoicismo, per la sua curiosità, tratto che lo accomuna a Muriel anche lei impegnata in una ricerca di un’identità che passa attraverso l’identità sessuale.

Per cosa giocano Muriel e Julius? Corse e carte come possibilità di uscire da una vita che sembra stantia, come possibilità di poter amare liberamente, di poter trovare un posto in cui essere se stessi pienamente; sperimentare, amare senza limiti, osare, spingersi oltre se stessi per cercare il proprio amato. Muriel e Julius ci offrono squarci sul loro passato per capire chi sono ora, ci offrono momenti di riflessione, ci parlano di vita e amore, di lavoro e morte, di paure e fragilità. E poi c’è il paesaggio, infinito o soffocante, che tratteggia le emozioni dei protagonisti, le fa riecheggiare: Muriel non può che cercare il mare per conoscere se stessa e riflettere sulle sue scelte, così come certe sensazioni non può che provarle alle corse, mischiata a gente che tifa, e Julius ama nella canicola che fa sudare le camicie e nell’umidità di baci proibiti. Un romanzo denso, pieno di parole che ho sottolineato fino al finale, una pennellata in sospeso tra desiderio e futuro, una possibilità.

Ciò che le persone desiderano più di ogni cosa, credo, è sapere che ci sono altre persone, che ci sono ancora persone che non le hanno dimenticate, anche se nessuno lo dice.

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