METRO – La trilogia: un viaggio post-apocalittico

METRO – La trilogia: un viaggio post-apocalittico

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del volume Metro – La trilogia, che raccoglie i romanzi Metro 2033, Metro 2034 e Metro 2035, scritti da Dmitry Glukhovsky ed editi da Multiplayer Edizioni che ringrazio per la copia.


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Metro 2033- Mosca, anno 2033: a vent’anni da una guerra atomica che ha devastato il mondo conosciuto, dando origine a terrificanti nuove specie che si contendono la superficie del pianeta, quel che resta della popolazione sopravvive nelle profondità della Metropolitana, dove ogni stazione accoglie una comunità e somiglia a una città-stato. In questo nuovo ordine del mondo, il giovane Artyom, ventenne cresciuto nella Metro, dovrà imbarcarsi in un viaggio sconvolgente, carico di avventure e colpi di scena, in cui, suo malgrado, sarà lui a decidere il destino dell’umanità. Metro 2034 – È passato un anno dagli eventi che hanno visto come protagonisti Artyom e i Tetri, e la vita nella Metro diventa sempre più difficile e complicata. Nuovi personaggi, collegati alla stazione della Sevastopolskaya, piccola fortezza isolata che dovrà fare i conti con mostri e misteri al di là delle sue forze, si intrecciano a eroi già noti, mentre Sasha, una giovane donna reietta, introdurrà nella storia l’importanza dell’amore, perfino in un mondo dove soltanto la sopravvivenza sembrerebbe contare. Metro 2035 – La sopravvivenza di quelli che potrebbero essere gli ultimi esponenti della civiltà e della specie umana, nascosti come ratti nelle profondità della Metropolitana di Mosca, viene ulteriormente minacciata dallo scoppio di epidemie e da conflitti ideologici sempre più accesi. Il giovane Artyom, a due anni dal suo primo viaggio per la salvezza dell’umanità, si troverà di nuovo ad affrontare pericoli senza nome e terribili dubbi, nel tentativo di riconquistare un mondo di superficie che agli uomini non appartiene più.


L’ultimo baluardo dell’umanità è la metropolitana di Mosca, un luogo buio e brulicante di vita che non ha mai visto la luce del sole, che cresce e muore negli angusti tunnel e nelle stazioni che si fanno guerra tra loro per imporsi, per comandare. Rossi contro Neri, comunisti, fascisti, soldati: uomo contro uomo per un lembo di sopravvivenza, per una stazione. Questo è ciò che resta di Mosca. Artyom è praticamente cresciuto nella metropolita, non ricorda quasi nulla della sua vita in superficie, ma conserva una curiosità famelica verso tutto ciò che riguarda il passato della Terra. Lo conosciamo giovane, idealista, mentre si imbarca in una missione che cambierà per sempre la sua vita mettendolo di fronte a verità impensabili su di sé e sull’umanità.

Il buio è entità viva e vivida, popolata da creature reali e capace al tempo stesso di esacerbare paure e fantasmi: quello che si trova nei recessi e nei meandri della Metro è tutto ciò che a livello ancestrale spaventa l’uomo. L’oscurità si anima, ha una sua personalità, maligna, a cui l’uomo è destinato a soccombere in questa nuova realtà senza luce. Le torce, infatti, illuminano una porzione di cammino ristretta, lasciando all’immaginario fantasmatico del singolo e del gruppo la potenza dell’esagerazione: cosa si nasconde nel fitto delle ombre? Storie, fantasmi, angosce, dubbi: di bocca in bocca, le leggende diventano mostri contro cui è impossibile vincere.

L’uomo, solo, imbraccia il suo fucile per una guerra che sa in partenza di aver perso.

Il viaggio di Ayrtom allora potrebbe metaforicamente essere letto come un percorso verso la luce: un enorme tunnel buio, umido, viscoso, e il sogno di una speranza talmente remota da non avere, almeno inizialmente, forma. Il passato è troppo vago per essere ricordato, restano le storie da raccontarsi attorno al fuoco e il futuro è una macchia indistinta nel conto inutile dei giorni. Eppure, l’autore non manca mai di sottolineare l’importanza della cultura, di quei libri rubacchiati, barattati, nascosti e perduti: i bambini devono imparare a leggere altrimenti lo slittamento da società a tribù è impellente e prevedibile.

Tutta la Metro è un’opera politica: un universo fatto di micro-cosmi che richiamano e sono ancorati alla realtà pre-distruzione. Ogni personaggio che il protagonista incontra, fornisce al lettore dei nuovi punti di vista circa la situazione politica, morale, economica, non solo delle varie stazioni della Metro, sottoposte a veri e propri regimi e guerra di indipendenza tra loro, ma anche di ciò che può essere accaduto in superficie. Certo, alcune di queste voci giocano sul voler insinuare nel protagonista e nel lettore delle paure e dei dubbi, fanno riferimento ad elementi mistici e religiosi: cosa accade quando si muore nella Metro? Dal momento che qui si sono trovati a convivere persone con ideologie e religioni diverse tra loro c’è ovviamente un’attenzione peculiare a queste tematiche che dipendono dal proprio credo personale o da inclinazioni filosofiche.

Ayrtom dal canto suo non ha delle sue idee chiare, raccoglie in sé teorie per sentito dire, storie. Il viaggio allora diventa espediente per la sua formazione individuale: osservando, grazie anche al suo rapporto singolare che sembra avere con la Metro, ascoltando autenticamente i racconti e le esperienze altrui, il giovane si incuriosisce.

Le comunicazioni sono limitate, quindi è difficile reperire l’origine di voci e fonti, resta la fiducia o la sfiducia nell’oralità di chi trasmette il messaggio. Per Artyom sembrano esserci verità più facili da accettare ed altre impossibili anche solo da pensare, e che quindi vengono subite escluse, almeno a livello cosciente; eppure il tarlo di un’infinità, di non sapere, si incista in lui. Come Artyom, anche io avevo spesso la sensazione di essere ad un punto di svolta, di scoprire il cuore pulsante della Metro, carpirne i segreti; che sia voluto o meno, ho viaggiato col ragazzo senza certezze ritrovandomi anche io smarrita. Lo stile dell’autore è stato, almeno per me, inizialmente complesso ma adeguato alla portata della storia raccontata: proprio come la discesa agli Inferi che questo viaggio sembra ricalcare, ho avuto bisogno di tempo per comprendere le nuove coordinate del mondo in cui mi trovavo ma superato questo iniziale smarrimento, la Metro mi ha rapita. 

Artyom, interrogato sulle sue credenze, si forma capitolo dopo capitolo, maturando teorie sul mondo, sulla politica, sulla morale e sulla fede; sulla superficie, sul divino, sul destino degli altri. La riemersione, terrificante e attraente al tempo stesso, verso la superficie, è portatrice di una visione nuova: le decadenti macerie della società mettono in luce lo scarto tra l’uomo del passato e l’uomo della Metro, uno scorta dolorosamente difficile da colmare. Come può quell’umanità essersi trasformata in questa umanità, che mangia ratti e funghi, che imbratta di terrore ogni antro della propria vita, che ha sporcato tutto? E se la Terra non è più dell’uomo, di chi è ora? Chi sono quelle strane creature che agitano e spaventano tutti? Che vogliono i Tetri? Una guerra infinita per la supremazia di un buco, la metropolitana.

Mescolando storia, folclore, ideologie diverse, e ricerca personale, l’autore ci introduce in un mondo devastato e devastante: forse, l’ultima frontiera dell’umanità così come la conosciamo. Ma l’uomo, pur con le sue debolezze e fragilità, non si arrende, vuole letteralmente riemergere dagli abissi e riconquistare ciò che è suo, anche se nulla è più come ricordano i pochi che conservano memoria di un prima ammantato di mistero e fascino. Luce e buio, paure inenarrabili in un’oscurità che atterrisce, mortifica, paralizza: fantasmi, ombre, creature mutate, e strani eventi anche in superficie. Il nemico però si insinua nella mente, come un fluido viscido e viscoso, intacca il subconscio, ipnotizza, circuisce, fa impazzire. Cosa succede? Una nebbia ottundente la consapevolezza e priva gli uomini di una coscienza, mentre l’indifferenza prende il sopravvento e gli amici muoiono. 

Finché l’uomo riuscirà a sopravvivere e si considererà la luce del mondo, i suoi nemici incarneranno sempre le tenebre. E’ lo stesso per entrambi i fronti.

L’autore riesce a descrivere in modo interessante e coinvolgente l’opprimente sensazione di angoscia, di buio dell’anima, e di profonda solitudine e paura che questo mondo evoca; al tempo stesso, Artyom è un protagonista giovane ma travagliato, teso tra l’alternanza di momenti di euforica speranza a franchi momenti di sconforto. non solo, il ragazzo sta crescendo, sta affrontando le sue paure che non sono soltanto relegate alla Metro ma sono connesse alla crescita stessa: sta formando la sua identità, sbaglia, cade, crede di conoscere e sapere tutto e soffre quando scopre che non è affatto così. Inoltre, sente, ha quasi un bisogno fisico, di credere che debba esserci “qualcosa”, in lui, nell’umanità, uno scopo, qualcosa per cui lottare e da salvare, preservare. Un “destino speciale“, di cui essere unico protagonista. Ma è davvero così? Chi è davvero il nemico di chi?

Il secondo volume, Metro 2034, si apre circa un anno dopo gli eventi che concludono il primo libro: conosceremo personaggi nuovi e ritroveremo vecchie conoscenze. Omero è un vecchio amante della mitologia e dei libri, che ha perso tutto con l’evento catastrofico che ha visto la fine del mondo per come lo conosceva. Proprio lui che lavorava in quel grande mondo sotterraneo che è stato la metropolitana, mai avrebbe pensato che diventasse l’Arca dell’umanità, rifugio – tomba degli uomini. Per qualche motivo, viene scelto dal misterioso e sfregiato “brigadiere” per una missione estremamente pericolosa: cercare di capire cosa sia successa all’ultima spedizione che la sua stazione ha mandato nel ventre di Metro senza fare ritorno. Volutamente enigmatico, taciturno, aggressivo ogni oltre limite, il brigadiere sembra una figura del mito spuntata all’improvviso; di lui nessuno sa nulla. Ben presto i due scopriranno menzogne, bugie e segreti, spesso nati dalla paura, tutti inderogabilmente legati al destino della vita in Metro. Che cosa sta succedendo?

I ricordi, le memorie di Omero, la descrizione di ciò che era prima e dell’avventura che vivono lui e gli altri personaggi, si ammanta di un’ aura quasi poetica. La parola si fa introspettiva e quasi criptica in alcuni passaggi: ciò ha reso, a mio avviso, in alcuni momenti la lettura meno fluida, forse anche per via dei continui passaggi di prospettiva tra i personaggi, interrotti magari in momenti cruciali delle loro azioni e dei loro pensieri. Se nel primo libro grazie ad Artyom abbiamo avuto una ricca parantesi sulla Metro post- apocalittica, qui tramite la memoria storica e personale di Omero torniamo su, in superficie, a rivedere i momenti topici, devastanti, dolorosi inerenti lo scoppio del caos, l’allarme e la chiusura delle porte. Sei minuti. Spari, urla, pianti, scatti. Silenzio. Silenzio. Chiusi all’interno della Metro, non più per mesi come si era supposto all’inizio ma anni, con tutto ciò che ne è derivato. Uomini come topi, come mostri carichi di quei momenti ma costretti a cambiare per adattarsi a una nuova vita. Omero percorre le gallerie, accetta la missione con Hunter (catalizzatore di missioni verrebbe da dire) e lo fa anche se è vecchio, roso dal tarlo di dover fare qualcosa, di dover andare a vedere con i suoi occhi. Cosa lo spinge a lasciare la sua stazione, pericolosa, certo ma nota, il letto che divide con Elena la compagna per una missione complicata? 

Assieme ad Omero e ad Hunter, prende forma il viaggio iniziatico della giovanissima Sasha, diciassettenne che nella Metro ha già visto la feccia dell’umanità ma ormai è sola, senza nulla da perdere; la ragazza si batte per ciò in cui crede, andando spesso contro ogni logica e ragione, ammesso che nella Metro esistano ancora tale coordinate cognitive. L’incontro con Hunter soprattutto, rappresenta per lei la possibilità di incontrare il maschile cui mai si era approcciata: curiosa, ribelle, Sasha prova a essere vita in un mondo che sa di morte. Ma riuscirà nel suo intento o si dovrà piegare anche lei all’asfittico destino della Metro?

La speranza è come il sangue. Finché ti scorre nelle vene, sei vivo. Io voglio sperare.

I capitoli finali sono un crescendo di azioni, di tentativi di fermare l’inevitabile che appunto accade: i personaggi devono fare i conti con ciò che resta in una storia che li porta costantemente a interrogarsi sul senso della vita, su dove risieda il bene e il male, sul futuro. Chi sono i veri mostri? Ho trovato l’inizio di questo secondo volume più lento, e ho avuto necessità di qualche capitolo per ritrovarmi con le atmosfere evocate dal primo; nelle battute finali, tuttavia, ho ritrovato quelle emozioni a cui mi ero abituata, ansia, inquietudine, paura, consapevolezza lenta che scivola come un velo e copre tutto il resto, lasciando un sapore amaro, alla fine.

Tutto il loro mondo era intessuto dei pensieri e degli atti di altre persone, proprio come ogni uomo era fatto di innumerevoli pezzetti di un mosaico, ereditati da migliaia di antenati. Si erano lasciati alle spalle una scia, avevano lasciato ai posteri un pezzetto della loro anima. Bisognava solo cercarlo.

Nel romanzo conclusivo della trilogia, Metro 2035, ritroviamo alcuni dei personaggi principali incontrati nei volumi precedenti; il viaggio di Artyom, personale e non solo, sta per volgere al termine, ma sarà disposto ad aprire gli occhi su quelle verità che tanto ricerca? La situazione nella metropolitana è sempre più instabile, tra tensioni interne e lotte per accaparrarsi quel minimo di risorse atte a sopravvivere. Che cosa è rimasto della presunta umanità? Sembrerebbe nulla. Artyom si confronta nuovamente con questa realtà, per lui dolorosa da accettare: la speranza è un seme che ha messo radici nel suo animo ed è convinto che possa esserci una possibilità diversa per il popolo. Ha la speranza di poter risentire la pioggia e il vento, di poter respirare, di un mondo sopra questa metropolitana asfissiante, estenuante, dove l’uomo mangia l’uomo, e si è ridotto alla stregua delle bestie. Le cose che affronta e vede in questo volume sono terribili e terrificanti e sembrano testimoniare il destino di un’umanità costretta a vivere in questi tunnel, un’umanità marcescente che ha paura persino della propria ombra e nasconde tale paura dietro la violenza. Uomo contro uomo, bestiale e brutale lotta per la sopravvivenza che non risparmia nessuno. E allora le voci che Artyom ha sentito? Ciò che ha captato? Sono il frutto di una follia, dell’esposizione ad una superficie radioattiva, sono il sogno di un uomo?

Pagina dopo pagina, Artyom è costretto a guardare in faccia la violenza, l’assenza di speranza, il crollo di ogni possibile illusione di futuro fino a quando la verità viene dispiegata ai suoi occhi. Ma spesso, conoscere tutto è peggio che marcire nella bieca ignoranza, nella fugace illusione di soddisfazione. Il protagonista, sfinito fisicamente e psicologicamente, è chiamato a fare i conti con il popolo e le sue scelte: dietro a queste ultime pagine si può leggere un’amarezza profonda e intensa per un personaggio che davvero ci ha creduto fino alla fine, che non vuole rinunciare alla comunità. Eppure, ognuno deve convivere con se stesso come può.

Il percorso di Artyom è individuale e al tempo stesso universale, è la caduta del mito, è l’accettazione piena e totale del proprio destino, spesso non del tutto libero ma manipolato da qualcuno per cui gli esseri umani sono alla stregua di un esperimento; ciò che Artyom deve elaborare nell’epilogo della sua storia è qualcosa di difficile, di logorante. In cosa si può credere in un mondo asfittico e claustrofobico? La prospettiva di un futuro è talmente misera da essere impensabile, eppure, si accettano situazioni al limite della follia, si accetta la violenza, la barbarie, la disumanità e di fronte alla possibilità di scelta diversa, si resta impantanati nel male conosciuto, che fa meno paura di un male sconosciuto. Con uno stile capace di creare un’ambientazione unica e personaggi travagliati e complessi, l’autore ci guida in una trilogia che parla di storia, di passato, di sogni e di paure. La Metro è uno specchio: sono tutti pronti a cogliervi il proprio riflesso?

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