Romulus Libro III: La città dei lupi

Romulus Libro III: La città dei lupi

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo La città dei lupi, terzo e ultimo volume della serie Romulus scritta da Luca Azzolini ed edita da HarperCollins che ringrazio per la copia.


Due lupi valorosi, una guerriera solitaria, un re maledetto, un popolo spezzato e una dea vittoriosa. Il gran finale della trilogia che riscrive l’origine di Roma. Lazio, Terre dei Trenta. VIII secolo a. C. Un popolo sperduto vaga senza meta per le Terre dei Trenta. Tutto ciò che possedeva è arso tra le fiamme che hanno divorato il bosco sacro alla Dea Rumia. Spezzati e annientati nello spirito, i Ruminales hanno un’unica scelta davanti a loro: vivere o morire. Wiros è riuscito a condurre con sé un drappello di disperati. Sono stanchi e affamati, e ancora non sanno cosa fare di quella vita. Tornare a nascondersi nei boschi o lottare per il futuro? Yemos, invece, separato dal resto del branco, è trascinato in catene a Velia assieme alla Lupa. Lo attende la morte per mano di un terribile e acerrimo nemico, Spurius, signore della città. Mentre il destino dei lupi sta per compiersi, Amulius, re di Alba Longa e della Lega Albana, sembra aver già vinto i suoi nemici. Il Fato, però, è un minaccioso rivale. Gli Dei non rispondono più alle preghiere del re e Gala, la regina, è affetta da un male che le dà incubi e visioni. La guerra è alle porte, e sarà un conflitto epocale pronto a stravolgere le Terre dei Trenta. Accecata dall’odio nei confronti di Yemos, Ilia – la vestale rinnegata, la guerriera ribelle – è pronta a tutto pur di placare la furia che ha nel cuore. Anche a chiudere gli occhi davanti alla verità. Gli eserciti sono schierati, le donne e gli uomini in campo. Gli Dei stanno per scendere in battaglia. Da questo scontro, nel fuoco e nel sangue, sorgerà una città destinata a regnare sul mondo. La città promessa. La città eterna. “La città dei lupi”. Con “La città dei lupi” si conclude la grande trilogia storica che riscrive le origini di Roma, raccontando il mito della sua fondazione come non era mai stato fatto prima, unendo l’accuratezza della ricostruzione, lo stile contemporaneo della scrittura e l’epos della leggenda.


Ciò che non capiamo ci spaventa. Ciò che non possiamo controllare ci atterrisce. E’ così che nascono i mostri, gli incubi, gli orrori di questo mondo. Ma siamo noi a dargli quel diritto e quel potere. Non finirà mai …

Si ritorna nelle Terre dei Trenta, sempre più sull’orlo di una guerra interna contro nemici antichi e nuove alleanze pronte a stravolgere l’ordine delle cose; la minaccia non proviene soltanto dagli eserciti, ma si radica in bugie, in menzogne, e nell’accettazione di una nuova linfa, di una nuova rinascita. I Ruminales non sono più disposti ad aspettare: stremati e decimati, guidati da due campioni, diversi tra loro eppure uniti da un Fato che sembra averne guidato ogni singola azione, non si arrenderanno e faranno di tutto per compiere il volere della loro famelica e terribile Dea in un crescendo di tensione e di scelte che ognuno dei protagonisti deve prendere.

Wiros e Yemos sono per gran parte del romanzo divisi: l’uno non sa se l’altro è vivo, sa solo ciò che vede, ovvero un popolo che sembra essere stato abbandonato dai segni della loro Dea Rumia. Entrambi, in questo volume, terminano un processo evolutivo che deve svolgersi per forza di cose da soli, in larga parte, perché entrambi devono approdare alla consapevolezza del loro potere, e, soprattutto, a quella del loro indissolubile legame. Wiros arriva quasi per caso proprio a Gabi, devastata dal fuoco della vendetta di Ilia alla ricerca disperata del traditore Yemos, e dalla madre di quest’ultimo, Silvia. Qui troverà diffidenza e sospetto, ma piano piano, proprio grazie alle antiche conoscenze del suo popolo che salva il vecchio Numitor, Wiros si conquisterà il posto nel cuore di Silvia, personaggio che emerge con la sua nobile fierezza di donna, madre e moglie di re e guerrieri. Ormai è chiaro che Gabi vada riscattata, lo sa bene il figlio del re Ertas, trucidato da Ilia, come sa che senza l’appoggio di questi stranieri spaventosi non otterrà nulla; le alleanze politiche rappresentano un gioco sottile a cui i latini sono certamente più avvezzi rispetto ai Ruminales. Riuscirà Wiros ad imporsi sia sul suo popolo che sugli altri? Yemos invece è caduto vittima della trappola di Velia, insieme alla sua fiera Lupa: il re Spurius è determinato ad estirpare la minaccia che rappresentano fin alle sue radici ma riconosce in Yemos l’erede di Alba Longa, preziosa merce di riscatto con Amulius, re della Lega Albana. Ha sottovalutato però la determinazione di questo ragazzo, che ha imparato a fidarsi della sua nuova Dea. Finalmente ricongiunti, i due sottolineano di nuovo il loro legame fraterno davanti agli occhi di Silvia e dei re che hanno accettato la convocazione di Numitor: è ora di riprendersi Alba Longa, ma a che prezzo? Le promesse fatte per placare il fuoco della battaglia sembrano non avere peso per qualcuno: di chi ci si può fidare? Mentre Yemos deve fare i conti con il proprio passato e con l’uomo che ora è, anche Ilia è impegnata in una lotta con se stessa: chi è diventata? Che fine ha fatto l’amore puro e sincero che provava per Enitos? E’ morto con lui?

Come sempre, anche in questo romanzo, il personaggio di Ilia mi ha conquistata, soprattutto in alcune scene dove la giovane guerriera riscopre finalmente se stessa, la sua parte fragile; inoltre, le rivelazioni che deve fronteggiare sono stilettate al suo cuore. La menzogna, il tradimento, la salvezza: tutto è così intrecciato nelle sue vicende da renderla disperatamente umana. Ma mai arrendevole, Ilia è artefice sino in fondo del proprio destino: non aspetta di essere salvata, si salva da solo a costo di perdere ancora parti di se stessa. E si ritrova sola, a dover perdonare e perdonarsi.

La rilettura del mito della Città Eterna è intrisa di sangue, di violenza, e alla fine di tutto, di speranza che poggia sulla fratellanza, sull’accettazione del diverso che nasce dall’aver condiviso un passato doloroso insieme: Yemos e Wiros sono cresciuti insieme, hanno perso, hanno sofferto, e si sono ritrovati uniti nel nome di una Dea che sembra così terrificante e sacrilega per i latini ma per loro ha significato tutto. Yemos ha finalmente ritrovato la sua famiglia d’origine, il suo popolo, si erge a signore e riprende il suo legittimo posto, eppure, non può voltare le spalle a Wiros, ai Ruminales, a Rumia, sua madre e salvezza; e non può farlo non soltanto per il vincolo sacro della promessa fatta, per la sua parola d’onore, non può farlo perché finalmente grazie alla sua nuova vita può rinascere anche lui e , facendosi portavoce di tale possibilità, la offre nella sua nuova città, Ruma. Un faro, una potenziale futura minaccia nella scacchiera delle tormentate Terre dei Trenta, dove le alleanze sono volubili e manipolabili. Come sempre, l’autore si riconferma all’altezza delle aspettative nate dopo aver letto i due precedenti volumi: lo stile è coerente con il genere di riferimento, l’evoluzione dei personaggi mi è piaciuta e ammetto di essersi emozionata in alcuni passaggi; inoltre, tanti sono i messaggi su cui ho continuato a riflettere anche dopo la lettura di questa storia. La sacralità della parola, l’importanza di comprendere, accettare il proprio ruolo, l’apertura verso qualcosa di nuovo che spaventa, certo, ma non può impedirne la naturale integrazione: i latini sono terrorizzati dall’idea di accettare una nuova Dea ma mi sono chiesta se dietro tale verbalizzazione ci fosse la paura ben più profonda di un popolo diverso per usanze e tradizioni, bollate come poco civili. La guerra, poi, raccontata ad esempio dal ricordo del saggio vasaio Eùlinos e dal ricordo di Silvia, mette sempre di fronte l’uomo alla propria brutalità: troppo comodo ricordare solo il mito dell’eroe e delle sue gesta, ma la guerra è sangue, è madri che perdono i loro figli, è dolore e morte, è finitudine, è fuoco che brucia ed estirpa ogni cosa. ” Sono lacrime e sangue, e morte che odora di carni gonfia, necrotiche“, osserva Manos, figlio di Eùlinos quando guarda a cosa è stata ridotta Gabi: a nulla vale il racconto del padre o degli altri guerrieri, ciò che lui vide si incista nella sua memoria e lo cambia, perché è ciò che la guerra fa. E come dirà dopo Silvia, al tempo stesso essa pare inevitabile: si spera per la pace, ma si sa che certe cose, certe libertà, saranno conquistate solo tramite la guerra.

La terra ha bevuto quel sangue e, mai sazia, ne chiede ancora. Ed è così ovunque, perché la terra è degli uomini, e gli uomini sono peggio delle bestie. Una bestia conosce la compassione, l’uomo no.

Silvia è consapevole del tipo di mondo in cui vive, ma al tempo stesso è una donna forte, una madre che si ritrova ad aver perso un figlio, Enitos, trucidato dal suo stesso sangue, e l’altro, Yemos, cresciuto ma non solo nel corpo, forse avrebbe preferito che il cambiamento fosse solo quello perché Yemos ora è un uomo che parla come un lupo, un uomo che difficilmente i Trenta, ancorati alla tradizione, accetteranno. E Silvia non può che guardare con curiosità ( e anche affetto, credo) a quel giovane che ora Yemos chiama fratello, un lupo che è anche un re, a cui lei stessa ha confidato quanto sia importante per i latini il segno del divino. Ovviamente, questi popoli vivono nelle credenze, venerano divinità difficili da comprendere, il cui messaggio viene liberamente interpretato per i propri comodi, eppure senza di esso interi eserciti e regni preferiscono non muoversi affatto come se il segno equivalesse ad una giustificazione ad agire.

Si conclude una trilogia fatta di uomini e donne, di dei arcani e primordiali che chiedono il loro tributo, di lotta per il potere e per la libertà, di rinnovamento e consapevolezza, di una nuova Città Eterna pronta ad accogliere chi ha sofferto, chi si sente senza futuro, chi cerca una seconda possibilità, un città dal destino immenso. Ruma, la città dei lupi.

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