Eccetera. Una commedia profetica

Eccetera. Una commedia profetica

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Eccetera Una commedia profetica, scritto da Rose Macaulay (traduzione di Irene Canovari) ed edito da Liberilibri che ringrazio per la copia.


Al fine di prevenire la nascita di cittadini idioti, capaci di scatenare un’altra guerra mondiale, in una Londra ancora sconvolta e dolorante, la Legge per il Progresso Mentale classifica la popolazione in base all’intelligenza, e dissuade i più stupidi a sposarsi e a prolificare. Kitty Grammont, funzionaria pubblica del Ministero del Cervello e donna molto intelligente, si trova a scontrarsi con le conseguenze di un governo disumanamente paternalistico che agisce all’insegna del miglioramento dell’umanità. Eccetera (titolo originale What Not) uscì nelle librerie inglesi nel 1918. Ritirato immediatamente a causa di alcuni passaggi potenzialmente sovversivi, ricomparve in sordina nel 1919, ma a causa della pubblicazione, pochi mesi dopo, del primo successo editoriale dell’autrice, venne ignorato dai più. Il libro è una denuncia del controllo sociale e della manipolazione dei media, un romanzo distopico in forma di commedia che precedette di decenni, e certamente influenzò, best seller quali Brave New World di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell.


E’ la completa, nuda verità – l’intelligenza è la cosa che conta – se solo potessero capirlo tutti quanti.

La Londra post- Grande Guerra è una nazione in cui è proibito pronunciare alcune parole: Pace, Libertà, Guerra, termini su cui non ci si può esprimere; è una Londra che cerca di riprendersi e per ovviare agli errori della guerra, ritenuti frutto della stupidità umana, vuole esplorare un modo per porvi rimedio e fine. L’azione del Governo deve essere coercitiva perché funzioni, altrimenti si ricadrà nel baratro di affidarsi alla fallibilità umana. Dipartimenti vengono istituiti, tasse vengono imposte: l’intelligenza va preservata e va migliorata, coltivata, e ciò può accadere solo tramite il controllo delle unioni e quindi delle nascite.

L’Inghilterra lotta strenuamente per avere cittadini più intelligenti e lo fa dapprima cercando di “stimolare” la popolazione a sottoporsi a programmi specifici atti a migliorare le prestazioni intellettive, ma questo, come rivela il fallimento della Settimana dei Cervelli, non basta.

Il pensiero della voce narrante gioca a nascondino nelle frasi e va ricercato in piccoli ma fondamentali indizi; è innegabile che, durante la lettura, mi sia chiesta cosa pensasse della situazione, questa voce sfumata ma presente. Il suo giudizio quando arriva non è definitivo o netto quanto accennato, una spinta leggera ma risoluta a guardare oltre come quando ci spiega che il Paese è ora governato da un Consiglio composto da “cinque menti con un singolo pensiero- sempre che lo avessero”. Sagace, ironica, la sua voce come la penna dell’autrice intriga e stuzzica, lascia qualche sogghigno non privo di una seconda riflessione che scava ben più a fondo: sotto la patina di una storia raccontata con estrema fluidità e leggerezza, uno spiraglio attento e calibrato sulle vite dei personaggi che si muovono quasi rassegnati, quasi dimentichi, in un mondo nuovo, c’è una critica alla società. Anzi, come l’autrice dice nella sua Apologia, c’è un suggerimento, che probabilmente resterà inascoltato, ma qualcuno deve pur dirlo.

Kitty Grammont è una funzionaria del Ministero dei Cervelli, ama provocare il suo collega Vernon, passare i weekend nel piccolo paesino da cui proviene e in cui alla Tenuta vive la sua famiglia. Ama il Varietà ed è una donna che ha le sue idee. Spesso tende ad annoiarsi sul suo posto di lavoro ma ha una piacevole svolta quando viene chiamata a presenziare la Campagna di spiegazione delle leggi per l’addestramento mentale e per il progresso mentale: il progresso mentale è opportunità, è entusiasmo, felicità, ricchezza. Come fanno gli stupidi paesini a non capirlo? Come fanno i cittadini a guardare con avidità agli escamotage per ottenere le esenzioni per imbecillità? Il divario tra funzionari del governo e popolo sembra incolmabile: gli uni fanno ricorso alle regole, alle leggi necessarie per un addestramento mentale e un conseguente miglioramento della popolazione, gli altri invocano il diritto ad amare chi si vuole e ad essere liberi. Addirittura, un funzionario chiamato a svolgere questa campagna non può tollerare di dividere il tetto con chi si è macchiato di aver agito contro gli alti ideali in cui crede. La questione della bussola morale si interseca ovviamente alla questione politica e religiosa, anche se in questa nuova realtà, Stato e Chiesa sono separati.

E nello scontro tra dovere e volere si imbatte anche Kitty stessa quando inizia a frequentare proprio il Ministro dei Cervelli: mentre l’amore vira verso l’essere programmato, loro due si lanciano in quello che sembra non solo un amore libero ma anche capace di far crollare ogni principio. Ma è possibile in quest’epoca? Le “semplici emozioni umane” – e qui sta tutto – non sembrano aver mai interessato Chester mentre Kitty le padroneggia, almeno apparentemente, in modo sicuro e “consigliabile”.

Il governo sembra un’entità genitoriale che con mano severa e accondiscendente accudisce un popolo che ha bisogno di essere guidato e indirizzato proprio come un infante, i cui passi tentennanti lo espongono ai pericoli immensi della vita. Ma ben presto la funzione dello stesso Ministero dei Cervelli viene messa in dubbio: il popolo in buona sostanza non vuole accettare di dover essere più intelligente per legge. Quale è il confine tra tirannia e democrazia? Ed è davvero da “stupidi” reclamare la libertà personale?

Ciò che l’autrice fa, con una scrittura impeccabile, capace di indagare la psicologia umana, di tratteggiare finemente una società intera, di instillare profonde riflessioni e guizzi comici, è raccontare un possibile scenario, ammonire sulle conseguenze di determinate azioni che arrivano dall’alto e sono totalmente scollate dalla realtà dei cittadini, invocate peraltro in nome di un benessere futuro. Al Ministro dei Cervelli servirebbe solo una piccola opportunità per lasciare che il gregge del popolo si abitui, d’altronde è così che ha sempre funzionato: si è adattato a tutto, perché non anche a questa ennesima transizione fatta in nome della prosperità dell’intelligenza umana?

Cervello! Quante sciocche cerimonie. Chi vuole un cervello?

Accanto alla questione sociale e politica, affrontata con penna sapientemente ironica e capace di far sorgere riflessioni sempre attuali e doverose, l’autrice delinea anche due personaggi figli di quest’epoca post-bellica, satura di conflitti interiori ancora da risolvere. Kitty e Nicky in fondo hanno una terribile paura della loro umanità, delle loro emozioni, di quella che Kitty definisce dentro di sé come una specie di deriva, quasi che amare, concedersi questo piacere, questa inusitata importanza, possa deragliare in qualcosa di quotidiano che spaventa, nella Vita, insomma. E’ interessante notare come Kitty, quasi inconsapevolmente, scardini le sue convinzioni sull’amore e sul matrimonio per seguire questo folle sentimento, motore, alla fine fine, di tutto. Un romanzo con tante stratificazioni da cogliere e leggere, che hanno riecheggiato in me ben dopo l’ultima pagina: le questioni individuali e sociali risultano moderne e stimolanti. In una sorta di ciclicità profetica, l’autrice sembra mostrarci un destino quasi inevitabile per questi personaggi, imbrigliati in un meccanismo più grande di loro e di cui forse ne capiscono solo una minima parte, pur serbando l’intima convinzione di essere loro, invece, gli attivatori di tale ingranaggio.

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