Il giro del mondo in 80 piante
Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del volume Il giro del mondo in 80 piante, scritto da Jonathan Drori (traduzione di Lucia Corradini), illustrazioni di Lucille Clerc, edito da L’ippocampo che ringrazio per la copia.
Dopo il successo internazionale de Il giro del mondo in 80 alberi, Jonathan Drori ci introduce nello straordinario universo delle piante. In questo viaggio, che copre 6 continenti e 55 paesi, vengono raccontate le storie incredibili del legame che si è creato tra l’umanità e 80 piante grazie alla loro bellezza e alle loro proprietà naturali. Dall’orchidea che inganna le api alla Rafflesia, il cui fiore dura un solo giorno nel folto della foresta pluviale indonesiana e puzza di carne putrefatta. Attualmente ambasciatore del WWF, Jonathan Drori è stato per nove anni amministratore dei Royal Botanic Gardens di Kew e del Woodland Trust. Ha girato vari documentari scientifici per la BBC.
Responsabile per diversi anni dei Royal Botanic Gardens di Kew, l’autore ci conduce attraverso un viaggio che sin da subito, come si legge nella sua introduzione, si colora della potenza del ricordo derivante dalla passione dei genitori per la botanica; membro di diverse organizzazioni ambientaliste, Drori ci parla dell’intreccio tra discipline come la scienza, la cultura e la storia, tramite il punto d’osservazione del mondo delle piante, carico di fascino e meraviglia. Le piante possono essere di una rara bellezza o possono colpire per la perseveranza, per la capacità di adattamento al mondo esterno e all’uomo, per l’indomita determinazione; ovviamente, parlare di piante, delle loro storie, è parlare dell’uomo, di culture, di misteri, di tradizioni. Il viaggio che l’autore ci invita a compiere con lui non è fine a sé stesso: gli ecosistemi si basano su complessi equilibri che vanno conosciuti e soprattutto rispettati, perché è da essi che dipende il nostro futuro. Un monito che passa attraverso la rivalutazione della bellezza poetica del mondo vegetale: cosa possiamo fare e cosa facciamo per promuovere la biodiversità, è una scelta importante da fare con consapevolezza.
Il viaggio ci porta attraverso la scoperta delle piante dei sei continenti: il volume è diviso per aree geografiche e ad ogni pianta è dedicato un racconto che spiega sia com’è fatta sia aneddoti carichi di storia, il tutto riccamente illustrato da Lucille Clerc. Si parte con l’ortica, dai cui steli si ricavano fibre utilizzate nella tessitura e rinvenute in reperti trovati in Danimarca e risalenti a 2800 anni fa; l’ortica cresce abbondante nei terreni ricchi di fosfati come quelli alimentati dai nostri rifiuti e soprattutto dalle nostre ossa, e perciò si trovano in chiese o in siti di insediamenti risalenti all’antichità. Dall’assenzio, inizialmente utilizzato come medicamento e poi associato ad un rituale barocco che prevedeva il dissolvimento di sostanze oleose, alcol e una zolletta di zucchero e dava effetti psicotropi (“fata verde ” cara ai bohémien), ai tulipani dalla forma a turbante e associati nella poesia turca alla bellezza femminile, dal luppolo, pianta erbacea perenne utilizzata come ansiolitico, antidepressivo sonnifero e poi abbinata alla ale medioevale (bevanda a base d’orzo che però non si riusciva a conservare) per dare vita alla beer, celeberrima bevanda che deve appunto la particolarità del gusto e dell’aroma alle varietà di luppolo. Dallo zafferano, usato in antichità per curare infiammazioni, asma e come afrodisiaco fino al suo ben noto uso in cucina, al mirto, cespuglio o piccolo albero tipico della macchia mediterranea, le cui bacche sono usate per aromatizzare liquori e piatti locali, associato da Greci e Romani all’immortalità, alla fertilità, veniva usato sia nelle decorazioni per i matrimoni che nelle corone trionfali; dal papiro che cresce in acque fresche e fu vitale per la civiltà egizia alla contorta e pregiatissima mirra, anch’essa dalle proprietà afrodisiache e dal profumo inebriante e celebre per essere uno dei doni dei Magi a Gesù nella tradizione cristiana, ha una storia intrisa di mito e leggenda.
Si va in zone del mondo più o meno note, per scoprire piante dalle forme stranissime come la welwitschia ( o turbo) “simile a un fantascientifico insetto schiacciato” che ha attirato attenzione e curiosità del botanico australiano da cui ha poi preso il nome, piante gigantesche come l’albero faretra, un’aloe vitalissima il cui fusto può arrivare a 9 m di altezza e 1 m di diametro; c’è l’ orchidea rampicante meglio nota come vaniglia, il bellissimo giacinto d’acqua, la pianta di caffè, famosa ma a rischio per via dei cambiamenti climatici e dei parassiti ( sono note oltre 120 specie spontanee di caffè che si trovano prevalentemente nell’Africa tropicale). Personalmente, non conoscevo l’assafetida, nota anche come “finocchio fetido“, dalle cui radici e steli spezzati trasuda una specie di resina dall’odore sulfureo che richiama “aglio, sudore rancido e carne putrida“; eppure, trova ampio spazio nella medicina ayurvedica come digestivo, ansiolitico, e nella cucina indiana. Per una pianta dall’odore nauseabondo, ce n’è subito una che invece richiama profumi e tempi sensuali e lussureggianti, ovvero la rosa damascena, che però non concede facilmente i suoi favori: l’olio profumato e ambito richiede una grande fatica all’uomo (pensate che da settemila fiori raccolti e distillati, tutto nello stesso giorno, si ottiene solo un cucchiaino di olio!). Usato nell’antico Egitto per i tatuaggi, l’henné è una pianta che sopravvive in terreni aridi del Medio Oriente e dell’Asia meridionale; in alcune società, i disegni fatti con l’henné sono associati alle fasi del ciclo mestruale, mentre prima di un matrimonio musulmano o indù, la prossima sposa si fa tatuare mani e piedi come augurio, sottolineando la correlazione tra henné e mondo femminile. Dal banano al mango, dall’indaco al loto, dalla soia all’orzo, dallo zenzero alla palma da cocco. In Australia, dicembre vede la fioritura dell’albero di Natale australiano ( o moojar) con i suoi fiori arancioni che ricordano l’anemone di mare: è la pianta parassita più grande del mondo, le cui radici vanno a cercare nutrienti anche a 100 metri di stanza e quando trovano il bersaglio lo colpisce creando delle cesoie lignee con cui si collega al sistema radicale dell’altra pianta! Il mate è un arbusto sempreverde da cui si ricava la bevanda analcolica più bevuta in Paraguay, Uruguay, Nord dell’Argentina e Sud del Brasile, dove ha una connotazione conviviale; anticamente, si credeva infondesse forza. Dalla canna da zucchero all’agave blu, dalla cui linfa viene prodotta la bevanda alcolica pulque e nota anche per il mescal e la tequila. Il fiore del pavone o orgoglio delle Barbados è un arbusto che si è convolato con le farfalle Papilionidi, attratte dalla bellezza dei suoi caldi colori: le farfalle si fanno impollinatrici mentre l’alberello offre loro un succulento nettare da suggere, e le proteggono dai nemici colibrì, un binomio perfetto!
Le ultime pagine del volume sono un consiglio per iniziare un approccio personale all’osservazione delle piante, partendo ovviamente da una pianta vera e osservandola per almeno venti minuti, interrogandosi su ciò che si dona alla nostra vista; infine, oltre a spronare il lettore a visitare un giardino botanico, l’autore ci offre una serie di consigli di lettura per integrare il suo volume e approfondire la nostra conoscenza del mondo vegetale.
Tra zucche, granturco e tabacco, tra piante carnivore e splendide orchidee, un viaggio tra culture ed epoche, riccamente suggellato da illustrazioni vivide, che richiamano i colori, la sensazione quasi tattile di trovarsi dinanzi ad un giardino mondiale; alcuni disegni sono lussureggianti e sensuali, altri evocano in sé la storia di queste piante.