Fuori da noi

Fuori da noi

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Fuori da noi, scritto da Giovanna Zoboli ed edito da Nuova Editrice Berti, che ringrazio per la copia.


Nati come bollettini di viaggio, notizie da nessun luogo che compongono itinerari nella memoria, vicino e lontano nel tempo, questi racconti sono un libero intreccio dove le esperienze personali si mescolano alle riflessioni, guizzando continuamente dentro e fuori dai libri. La voce di Giovanna Zoboli ci accompagna attraverso le meraviglie e le passioni della sua vita: dai fantasiosi giochi infantili alle lezioni di astronomia improvvisate nelle notti estive, dalle letture botaniche dell’età adulta alla tappezzeria di una Camera Cinese sul Garda, dove tutti vorremmo esserci addormentati almeno una volta nella vita, seguendo con lo sguardo le industriose figurine tra “alberi dalle fogge singolari e montagne in miniatura, entrambi sorti dalla terra con la precisa intenzione di farsi dipingere su una tappezzeria”. Il talento nel descrivere il mondo con parole esatte diventa gioco così quotidiano da potersi replicare nella catalogazione sommaria di “cose, piante, città” e, come nella lettura, anche in questo gioco ci si sente altrove, fuori da noi, immersi nel “flusso misterioso, impenetrabile della realtà esterna”.


Comincia attorno ad un tavolo ottagonale il racconto dell’autrice che attraverso ricordi, memorie, sensazioni, osservazione di paesaggi, letture e arte, ci narra parte della sua vita, ci mette a conoscenza del suo percorso, errando tra infanzia, adolescenza e presente in uno spazio-tempo che si allarga e coinvolge il lettore grazie ad una scrittura limpida, affascinante, magnetica. Ogni parola diviene porta di accesso al mondo dell’autrice, latrice di riflessioni sul mondo, sulle piante, sulla vita, sui libri, soprattutto. La parola, letta e scritta, è il fulcro attorno a cui tutto danza, a partire da quel primo innamoramento che corrisponde all’incontro con “Piccole Donne”.

Per tutte queste esperienze, probabilmente, la notte mi è sempre sembrata un luogo, più che un tempo. Lo Spazio, appunto, che di giorno è precluso. Un posto che si manifesta a sipario chiuso, quando le luci si spengono e c’è silenzio.

La rotta che tratteggia la Zaboli ha i bordi rassicuranti di un riconoscimento stupefacente e al tempo stesso di una scoperta: leggendo, la reazione più frequente che ho avuto è stata “Ma allora! Ma anche lei! Non solo io!”. Ecco, il riconoscimento della condivisione di un sentire: l’amore per Jo March, l’essersi persa su una spiaggia (non importa se non è ovviamente la stessa, è l’atmosfera del ricordo a contare, la sensazione della consapevolezza folgorante di dove si è); e ho ritrovato me stessa, la mia infanzia, ma anche i miei cari, mia figlia che riconosce la forma delle lettere e sperimenta questa nuova magia in ogni momento, ho ritrovato autori conosciuti e segnato nuovi titoli, ho camminato con lei sui pendii dell’Appennino che, per pura coincidenza, è adesso anche un pò mio.

Per me è stata una lettura carica di emozioni: un’apertura intensa e profonda su una vita, il racconto di un’ intimità che l’autrice sceglie di condividere allargando il focus alla sua famiglia, alla sua città e stimolando per questo confronti costruttivi e riflessioni. Lo sguardo dell’autrice diviene momento per auto-osservami, smarrirmi, segnare sistematicamente frammenti della sua narrazione da leggere e rileggere , con un sorriso nostalgico; la sua parola è calda, vivida, reale e mi ha colpita, affascinata; a fine lettura, la sensazione è stata quella di aver letto una vita amica.

L’autrice osserva il mondo, esterno e interno, attraverso la lente dell’infanzia, dell’adolescenza e poi della sua età adulta, raccontando aneddoti cui fa risalire un racconto familiare, personale , ma anche sociale e soprattutto letterario. Tanti e variegati i riferimenti culturali in un gioco di confini dove si passa dal verso, dall’opera, dal romanzo o dall’autore al ricordo e viceversa: ne emerge un’immersione totalizzante nella vita, nei gusti, nel sentire dell’autrice. Ho percepito una nostalgia piacevolmente dolorosa in alcuni passaggi, quasi che osservando questa sua geografia qualcosa della mia risuonasse forte, e anche se la latitudine è diversa non cambia l’effetto finale. E’ un viaggio all’indietro nel tempo e attraverso luoghi che l’autrice carica di poetiche suggestioni, di riflessioni sulla vita, sull’arte, con una cura per la parola che non è mai mero sfoggio ma si percepisce, tangibile e netta, l’emozione sottostante, il bisogno potente di comunicare, di creare un ponte con il lettore; una condivisione profonda e appagante, che ha catturato la mia sensibilità.

Parla di assenze, di andate e ritorni, di cantine e cartoline, di luna e cielo, di famiglia e di odori, di sapori e caramelle Rossana, di calore e smarrimento, di sorelle e libri; parla anche di me, parla, soprattutto, a me. Stimolanti le parole dell’introduzione ad opera di Mariolina Bertini e a corredo del volume una sorta di bibliografia, in cui i libri sono “disposti in verticale come su un immaginario scaffale“.

La strada dell’andata, per venire da te,

è una città serale, assorta, una città di dentro

scritta appena nelle scie delle luci

e dei fantasmi. In quella del ritorno, invece,

domina il controluce: sagome nere,

allegre, sullo sfondo di un cielo

rosso e verde e l’inquietudine

dei preparativi, come in certi pomeriggi

prefestivi coi piedi caldi

per un po’ di contentezza e solitudine.

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