Morte di una sirena

Morte di una sirena

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Morte di una sirena, scritto da Thomas Rydhal & A.J. Kazinski (traduzione dal danese di Eva Kampmann) ed edito da NeriPozza Editore che ringrazio per la copia.


Copenaghen, 1834. Anna lavora in una zona della città dove le botti d’acquavite prendono fuoco per strada, i panettieri vendono pretzel infilati sui bastoni, i marinai ballano tra di loro e i mendicanti e i ladri si aggirano senza sosta. Per provvedere alla Piccola Marie, la figlia di sei anni, riceve fino a tarda ora uomini ubriachi ed eccitati che non le chiedono nemmeno il nome, le strappano i vestiti di dosso e la prendono. Una sera viene condotta a forza in una casa elegante e, davanti a una grande porta spalancata sul mare, qualcuno pone fine alla sua giovane vita. Il suo corpo viene ritrovato nell’immondezzaio della città, il canale dove si raccolgono tutti i rifiuti di Copenaghen. Un corpo bellissimo con gli occhi chiusi, ma con i capelli che, come quelli di una sirena, scintillano di conchiglie. «L’uomo dei ritagli»… l’assassino non può essere che lui. Molly, la sorella minore di Anna, ne è sicura: soltanto un dissoluto può recarsi nell’appartamento di una prostituta e starsene tutto il tempo su una panca a contemplarla e a realizzare ritagli di carta che le somigliano. Ne è convinto anche il questore: il responsabile dell’infelice decesso non può essere che lo scrittorucolo con la passione per carta e forbici, l’uomo che è stato visto uscire per ultimo dall’appartamento della vittima. «L’uomo dei ritagli» si chiama Hans Christian Andersen ed è o, meglio, vorrebbe essere uno scrittore; tutti i tentativi per diventarlo sono però miseramente falliti, stroncati senza esitazione dai critici. Non fosse per la protezione dell’influente signor Collin, che lo ha spedito in collegio, ha pagato la retta e lo ha introdotto nel bel mondo, sarebbe immediatamente incriminato di omicidio e condotto nelle patrie galere per essere poi punito con tutto il peso della giustizia. Il questore lo vedrebbe volentieri decapitato e sulla ruota, ma, dato il peso dei Collin in città e persino sulla corona, deve scacciare per il momento la visione e offrire ad Andersen un’ultima chance: tre giorni, soltanto tre giorni per trovare altri colpevoli. Se non salteranno fuori, Hans Christian Andersen si trasformerà da scrittore povero in canna in assassino.Romanzo accolto da uno straordinario successo di pubblico e di critica al suo apparire in Danimarca, Morte di una sirena annuncia un detective che resterà a lungo nella mente dei lettori: Hans Christian Andersen, l’autore che trasformerà poi in storie eterne l’oscura materia delle sue inchieste. 


I suoi pensieri non solo inventano storie che sembrano reali, ma fanno anche sembrare la realtà una storia.

Nell’estate del 1834, il diario che Hans Christian Andersen terrà per tutta la vita, si interrompe, per un anno e mezzo, ed è qui che questa storia, oscura e cupa, inizia; Hans Christian è tornato da un viaggio in Italia, la sua carriera è a un punto morto e lui va avanti grazie alla carità di una famiglia ricca, sua mecenate. Allampanato, incupito, insicuro e fragile, Hans Christian è un uomo che ha abbandonato il suo paesino perché voleva studiare, diventare uno scrittore e costruirsi da solo il proprio futuro, anche contro il volere della madre, e contro le aspettative paterne, a sua volta deluse dalla vita che gli era capitata. Hans Christian è quasi fisicamente gravato da questo senso di responsabilità derivante dalle proiezioni genitoriali, schiacciato tra ciò che la sua famiglia si aspettava e ciò che lui voleva; questo dissidio interiore lo ha bloccato, rendendolo timoroso di tutto, anche dell’intimità, da sempre vissuta con paura per i propri istinti. Hans Christian si diletta nei ritagli e paga Anna, una prostituta, per poterla ritrarre: il corpo femminile non gli suscita un desiderio sessuale quanto piuttosto un fremito per la bellezza armonica delle forme femminili, voluttuose. Quando, però, qualche giorno dopo la sua ultima visita ad Anna, la donna viene rinvenuta assassinata, Hans Christian viene indicato da Molly, sorella della vittima, come potenziale assassino e ultimo cliente. Da sempre, Hans Christian è un fine osservatore, qualità che sopperisce la sua difficoltà a relazionarsi con le persone preferendo a loro “parlare” con gli oggetti; anche in questo caso, nota un dettaglio nel cadavere di Anna, qualcosa che stona e che sembra proprio coinvolgere le forme femminili.

Animato dal bisogno di scagionarsi, ha tre giorni per dimostrare la propria innocenza e l’unica persona a cui può chiedere aiuto è proprio Molly: i due non potrebbero essere più diversi, eppure, pagina dopo pagina, tra loro si instaura un legame di amicizia. La risoluzione del caso si rivela subdola e complessa, e coinvolge nomi di potenti e una poesia strana di un bottinaio ancor più stravagante: cosa ha visto, davvero? La stratificazione della gerarchia sociale è rigida e questo spesso impedisce ai due protagonisti di poter accedere facilmente alle tracce che vogliono seguire; così, sono costretti a scappare, a travestirsi, a ingannare per seguire le orme che conducono proprio al castello, alla principessa e al principe. Ma cosa c’entra la nobiltà con l’assassino di Anna, una mondana, e di Maren La Sbianca? Tra aggressioni e scandali di corte, Molly e Hans Christian si trovano coinvolti in una storia che sembra intrecciarne un’altra, quale sarà il capo della matassa intricata? Per cosa hanno pagato davvero Anna e Maren?

La narrazione segue le vicende di Hans Christian, di Molly, e di Madam Krieger, protagonisti di una storia che fa della brama uno dei suoi pilastri e argomenti centrali. Il punto di vista di Madam Krieger è l’espediente per mostrare la commistione tra scienza e fede, in un dissidio etico e morale tipico dell’epoca, tra ferventi innovazioni e scoperte in ambito medico-scientifico e religione. L’ambientazione è molto curata ed evocativa: la situazione di Copenaghen è connotata da un degrado costante. I quartieri riecheggiano una divisione economica serrata: da una parte i ricchi che guardano con spregio alla parte povera della città. I poveri lottano come possono per la sopravvivenza e vivono in uno stato di indigenza, immersi in una sporcizia tangibile e reale. Nel mezzo, si incontrano dinanzi al crimine, all’insolito che sconvolge: come nota Molly, una bella tragedia distoglie l’attenzione dal riflettere sui propri mali, e ognuno, per motivi diversi, ha bisogno di volgere altrove il proprio sguardo. La città è descritta in modo vivido e realistico: le strade, i colori, le atmosfere, gli odori quasi, riescono ad emergere dalle pagine e alcuni luoghi diventeranno noti e familiari a fine lettura. Andersen sembra quasi un uomo che nasce e sosta in quel mezzo, in quel confine indefinito: non è ricco, sicuramente, ma ha un mecenate potente che ha cercato di aiutarlo come ha potuto, sovvenzionando il suo sogno di scrittore e spingendolo a dedicarsi alla scrittura di storie per bambini, consiglio che Andersen rifiuta perché equivarrebbe, secondo lui, al definitivo fallimento. Eppure, forse proprio grazie all’incontro con Piccola Marie, figlia di Anna, che l’uomo rivaluta lo sguardo dei bambini e, essendogli stato vietato di parlare di quanto accaduto, riuscirà a “sublimare” le traversie, il male, attraverso le sue favole, che riflettono l’atmosfera cupa che vive e che in questo romanzo domina la scena.

Non sono solo i rifiuti della città e gli escrementi degli esseri umani a guardarla di rimando, E’ tutto il putridume, la povertà, la disperazione, l’ingiustizia, che conosce molto bene.

Una delle cose che mi ha più colpito di questo romanzo è la caratterizzazione psicologica dei tre protagonisti, tutti ben delineati e complessi; se sin dall’inizio si conosce in un certo senso l’assassino, ci saranno comunque colpi di scena e sarà interessante scoprire il motivo per cui si macchia di crimini atroci, il movente, il desiderio, quella brama che sembra connotare e muovere tutti i personaggi. Sono brame diverse, certo: Molly vuole un futuro migliore e vuole giustizia, Andersen vuole scagionarsi, l’assassino vuole sentirsi amato. Quanto subdolamente si può manovrare l’amore, il proprio e quello altrui? Quanto può divenire una maschera dietro cui nascondersi, una giustificazione morale per atti immorali?

Ambientato in un tempo passato, il romanzo porta all’attenzione del lettore tematiche moderne e contemporanee che suscitano riflessioni profonde: quando si arriva ad eviscerare il nocciolo della questione, essa colpisce nel vivo, nella sensibilità di chi legge. L’atto, gli atti, criminosi sono folli, perversi e crudeli e sono mossi da un desiderio di accettazione del sé, dal bisogno che venga riconosciuta la propria vera identità; a questa istanza sembra fare eco l’incertezza identitaria di Andersen. Chi sono io? Questa sembra la domanda di fondo per tutti e due, una spirale in cui affondare per scoprire la propria verità, narrarsela, convincersene e poi dirla al mondo. Andersen si crede pazzo, lui che racconta storie, non percepisce più il confine tra reale e immaginato: è davvero lui a compiere tali nefandezze? E perché? Il suo sentirsi a disagio nel proprio corpo può averlo davvero portato a macchiarsi di crimini così efferati? Sì, deve essere così, si dice. Come una tara ereditaria la follia erode la sua lucidità: Andersen non ha nulla per cui lottare, meglio confessare. Ma di che reato è autore? 

Qual è la gabbia dentro cui è prigioniero? La città stessa e tutti i suoi abitanti sono prigionieri, di povertà, di rigidità sociali, di sentimenti impossibili , di occasioni mancate: e se anche l’assassino si sentisse prigioniero? Qual è la gabbia ultima? Quella da cui, nel finire del 1800, è impossibile fuggire? Tutti i tasselli sembrano trovare il proprio posto in un finale agrodolce, quasi a dire che la libertà non è cosa per tutti, che certe cose non possono cambiare, che certi destini sono destinati a spezzarsi. Eppure, resta sempre la parola, la capacità di un uomo di ascoltare cosa l’anima degli oggetti hanno da dire, per chi saprà e vorrà sentire.

Con uno stile coinvolgente, un linguaggio coerente con l’epoca di riferimento, con attenzione al gergo dei vari personaggi, eco della classe sociale di appartenenza, e la scelta di una narrazione declinata in un tempo presente incalzante, gli autori ci narrano una storia intensa e struggente, che parla di amore, di bisogno, di desiderio, di sogni, in una città difficile, anticipando temi importanti: in questo contesto, si muove un Andersen credibile nella sua fragilità, che recupera forse un suo lato emotivo nel finale per trasportarlo nelle sue opere, eterne, forse frutto delle sue esperienze, impossibili da raccontare diversamente se non sotto forma di simbolo e metafora.

“La brama come un’ossessione, una malattia del sangue”



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