Verde limone

Verde limone

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Verde limone, scritto da Marcial Gala (traduzione di Pier Luigi “Pedro” Mori), edito da Nuova Editrice Berti, che ringrazio per la copia.


Ambientato in pieno período especial, il primo romanzo di una trilogia corale che racconta la vita di una cittadina di provincia durante uno dei peggiori capitoli della storia cubana, quando il bisogno di sopravvivere rendeva tutti inumani, quasi fantasmi. Ecco dunque Ricardo, un pittore spiantato, e Kirenia, che ancora ragazzina s’innamora di Harris Sanzo, geniale saxofonista alcolizzato molto più vecchio di lei: due uomini, una giovane donna e la morte volteggiano come fantasmi per le vie di Cienfuegos, cercando conforto in un mix letale di alcol, sesso e droghe; sullo sfondo, una Cuba poverissima e spietata raccontata a ritmo di jazz.


Kirenia. Ricardo. Harris. Tre anime che simili a fantasmi abitano una Cienfuegos che gli sta stretta, le cui vie sono popolate da turisti stranieri, osservatori implacabili di uno zoo di esistenze. Sesso, maria, alcol. E la musica, suonata, cantata, ballata, vissuta, che permea la città stessa, uno sfondo solo lievemente tratteggiato dall’autore, eppure, così vivida nelle parole dei personaggi. Una città che sta a tutti stretta: Ricardo dipinge, Kirenia scrive, Harris suona il sax e ricorda una gloria passata, e perduta. Colpisce la capacità dell’autore di alternare uno stile e un linguaggio crudo e asciutto, nel presente dei protagonisti, nelle azioni concrete, a momenti di puro lirismo poetico nei corsivi, che inframezzano le pagine, e raccontano i vissuti più intimi, segreti e taciuti. Un accordo che stride e che mi ha emozionata, spettatrice di una storia che parla di tante storie, di amore sbagliato, di amori mancati, di sogni spezzati, di vite fraintese.

E’ la calma, Harris, la terribile calma piatta di questo posto. Siamo prigionieri di questa calma, Harris, di quella da cui cerchi di liberarti suonando il sax, però il sax ormai non suona più, i fantasmi finiscono sempre per vincere la partita. Siamo così soli, Harris, continuiamo a restare soli.

Kirenia, la più giovane, appena diciottenne, affamata di vita e di letture, con il suo sogno di diventare poetessa, che si infrange quando incontra Harris, cinquantenne sassofonista di colore e come una collisione di mondi, esplode un amore tormentato. Lui alcolista, amante delle donne cui si concede senza misura, lui che usa la musica per esprimere il suo vissuto e le parole come coltelli lanciati contro gli altri, parole brutte, parole cattive, che feriscono e provocano cicatrici indelebili. Puttana. Cagna. E’ capace di amare, uno così? E’ capace di amare altro se non se stesso? Eppure, è una calamita che attrae magneticamente le turiste straniere, e la stessa Kirenia. Tra liti e violenti scambi verbali, la ragazza, che pure si chiede come possa essere così triste a diciannove anni, non riesce ad andare via, se non in un estremo atto, salvifico o condanna per gli altri. Amami, supplica lei. Ma forse nelle vite dei fantasmi non c’è spazio per l’amore. Kirenia è convinta, con la forza della sua età, che Harris possa essere la sua anima gemella, che lei sia nata per lui e lui per lei; nonostante l’alcol, cui lui ritorna sempre, e i tradimenti, nemmeno vagamente celati dall’uomo, e le parole pesanti, lei lo ama, per sempre.

E Ricardo, che a volte narra la storia in prima persona, è così centrato su se stesso e i suoi bisogni che non riesce a capire lo stato in cui versa l’amica: il suo rimedio è sempre quello, maria e sesso. Eppure, Ricardo a Kirenia ci pensa, e ne porta i segni. Harris l’arrabbiato, il padre assente, l’ubriacone folle che vive nell’enfasi del ricordo, nella memoria di una New York del passato: ma chi è davvero? Anche lui, un misero fantasma che non sa parlare se non per mezzo del sax, che vuole vivere e goduriosamente godere di ciò che gli resta, ad ogni costo. Bere, fare sesso, suonare cosa vuole e per chi vuole, attaccare briga, leggere le lettere di John Lennon.

I personaggi sono dolorosamente umani, nei loro errori, nei loro mondi autoriferiti, nel loro tentativo di sopravvivere in un momento durissimo per Cuba, fatto di solitudine e isolamento; ho tremato con Kirenia, ho odiato Harris, e poi ho ceduto al suo fascino, ho sogghignato con Ricardo. Con uno stile nitido, toccante e asciutto, l’autore ci parla di amore, di dipendenza, di struggimento, di ricerca del proprio posto nel mondo: ognuno dei personaggi è alle prese con i propri demoni, con i propri spettri e ognuno di loro cerca di salvarsi come può. Le parole sono pugni, come in un film di cui si presagisce il finale e ci si vorrebbe opporre al dolore, al rimpianto, al rimorso, ma non si può, perché è così che deve andare questa storia fatta di canzoni nostalgiche e vite malinconiche, non fa sconti. Un molo su cui fumare uno spinello, una spiaggia su cui perdersi nell’amplesso fulgido della notte, un bicchiere di rum sul cui fondo trovare la melodia della propria essenza.

Tu eri per me come quella canzone per bambini che ti piaceva tanto. Tu eri per me la pájara pinta, l’uccellina colorata che tutti sogniamo di conoscere, ma che nessuno ci presenta mai.

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