La notte dei tempi

La notte dei tempi

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo La notte dei tempi, scritto da René Barjavel (traduzione di Claudia Romagnuolo e Anna Scalpelli), edito da L’orma Editore, che ringrazio per la copia.


Sotto il sole accecante dell’Antartide una spedizione francese, impegnata in rilevazioni di routine, s’imbatte per caso in una scoperta sensazionale: a 900 metri di profondità, intrappolati nella roccia, vengono rinvenuti i resti di una civiltà antichissima, primordiale, che pare aver posseduto conoscenze scientifiche futuristiche. Quando poi, da quel passato perduto, riemergono i corpi ibernati di un uomo e di una donna, la scoperta si trasforma in rivelazione. Ben presto i governi, le Nazioni unite e gli spettatori di tutto il mondo, incollati davanti ai notiziari, capiscono che in quelle lande desolate è in gioco il futuro dell’umanità. Capace di mescolare thriller e denuncia ecologica con una strabiliante inventiva affabulatoria, La notte dei tempi è un viaggio straordinario attraverso gli enigmi dell’amore e gli azzardi del progresso, una storia senza tempo intrisa della forza dei grandi miti di fondazione delle civiltà. Con questo romanzo pubblicato all’inizio del 1968 – che già prefigura i moti del Maggio francese – René Barjavel è entrato di prepotenza nell’olimpo dei maestri della fantascienza mondiale.


“Quel che non esiste esiste”.

Nel mondo del futuro di Barjavel, le spedizioni all’ Antartide non sono una novità, anzi, sono lunghe, estenuanti e molto spesso monotone; il paesaggio è piatto, il freddo impenetrabile e quasi difficile da immaginare sensorialmente. Tutto è ghiaccio, neve e vento fortissimo. Appare quindi decisamente sconvolgente la scoperta di una spedizione francese: sotto il suolo, sotto il ghiaccio, qualcosa vibra, qualcosa pulsa. Inizialmente increduli, i diversi scienziati pensano ad un errore della strumentazione, ad una beffa, ma le rivelazioni sembrano invece essere unanimi: il contorno di alcuni resti si rende visibile e con esso un suono, un rumore, un richiamo. Cosa mai può esserci nascosto lì sotto? Piano piano, dalla roccia emerge un disegno di uno strano manufatto, che richiede precisione, ingegno, preparazione fisica e mentale per essere capito: una sorta di Uovo d’oro. E che oro! Una lega incredibile in quantità inimmaginabili, difficile da scalfire e penetrare, anche se è proprio questo ciò che gli scienziati, coadiuvati dalle potenze mondiali, vogliono fare. L’Uovo è chiaramente il contenitore di qualcosa, ma cosa? Come un grembo materno, come la madre terra, serba e protegge il suo seme, il suo nocciolo prezioso. Due esseri umani, incredibilmente intatti, assurdamente vivi. Paura, angoscia, euforia: chi sono? Da quanto sono lì? Gli scienziati sono letteralmente impazziti così come l’opinione pubblica, aggiornata in tempo reale sulla vicenda grazie a sofisticate tecnologie: lasciarli dormienti o svegliarli?

Un uomo e una donna: da chi partire? Dalla bellezza incantevole e quasi sovrannaturale di lei? O da lui? Gli esperti adducono questioni razziali, sessiste, persino anatomiche, per orientare la scelta: ma si può davvero essere sicuri che le stesse coordinate fisiche applicabili ai contemporanei possano valere anche per i dormienti? Alla fine, la scelta ricade sulla donna e mai scelta sarà stata più sbagliata, stando a ciò che ci dice il dottor Simon, medico trentaduenne, stufo di quella spedizione almeno fino a quando i suoi occhi si posano sull’armonica perfezione della donna. Simon narra parte della vicenda parlando direttamente a questa donna fenomenale, ma l’autore mescola sapientemente nel suo narrato momenti in cui si fondono presente e passato, ricordi e memorie, e soprattutto l’incredibile e affascinante racconto della donna risvegliata, Elea. Terrorizzata, Elea viene svegliata, lavata, monitorata, saggiata in ogni sua parte, senza comprendere alcunché della lingua in cui questi altri estranei comunicano con lei. Per giorni, non mangia, rifiutando qualunque tipo di nutrimento, anche con forza. Poi, è proprio Simon a cercare di entrare in relazione con lei, prima solo con un carezzevole contatto fisico, con la “sola” presenza, poi chiedendo a uno scienziato di adattare la sofisticata tecnologia della Traduttrice al linguaggio di Elea, grazia anche a degli oggetti conservati con lei. Ma entrare in relazione con questa donna, chiusa in se stessa, è difficile, frustrante: tutti vogliono un pezzo di Elea. Sapere chi è, guardarla, conoscerla, in un senso quasi osceno di controllo: Elea, abituata alla nudità, svelerà pian piano i suoi segreti. E che segreti.

Vissuta in un’epoca remota del passato, grazie ad un complesso meccanismo, Elea racconterà il suo mondo, apparentemente pacifico e armonioso, in cui la gente ha tutto ciò di cui ha bisogno, in cui si può scegliere se lavorare o meno, in cui si viene designati a circa 7 anni ad un compagno, una metà perfetta della propria mela. Il mondo di Gondawa sembra un paradiso ancestrale ma culturalmente e scientificamente avanzato: uno strano marchingegno manipola l’energia per soddisfare ogni bisogno degli essere umani. Facile immaginare l’occhio delle superpotenze contemporanee al gruppo di Simon, avide e spaventate all’idea che una tale tecnologia possa appianare le proficue differenze tra i popoli. Elea non capisce, non conosce tutto questo. Il marcio umano è qualcosa che le è stato precluso per tanto tempo. Designata a Paikan, altrettanto bello, ha vissuto una vita in pace, nella comunione di corpo e spirito tipica della sua gente, godendo del proprio lavoro e del proprio compagno, anche se la Traduttrice fatica a trovare una parola che possa tradurre nella lingua attuale ciò che loro due provavano. Non è amore. Non è bisogno. “Appartengo a Paikan”, “Appartengo ad Elea”, così dicono i due, nei ricordi visivi ed esperenziali che grazie alla tecnologia del suo tempo Elea svela.

Eppure, mentre non riesce a rispondere alle stringenti e complesse domande scientifiche, appannaggio di Colban – l’uomo dormiente, Elea avvizzisce, si spegne. Il suo racconto dapprima gioioso, sensuale, diviene quello brutale della guerra, una guerra devastante capace di distruggere, per la seconda volta, il suo mondo, ma in modo definitivo; Elea, suo malgrado, è stata scelta, novella Eva, per il Rifugio. Ma non vuole, non senza Paikan. La struttura sociale, politica e scientifica di Gondawa è complessa, stratificata, descritta in modo affascinante: eppure, anche loro sono entrati in guerra con i nemici Enisorai: “Gondawa si organizzava, Enisorai si moltiplicava”. E la guerra che i due popoli stanno per combattere è definitiva: ci sono armi in gioco ancora sconosciute per gli scienziati contemporanei. Questi sono popoli che hanno viaggiato sulla Luna e su Marte, colonizzandoli. Sono popoli che hanno tradizioni del passato e potenzialità del futuro; eppure, sono fatalmente umani. Elea ridescrive il concetto di cosmo, di tempo e di spazio, anche se, come dice continuamente, è Colban quello che sa, tra i due, l’intellettuale, lo scienziato, l’altro.

Intenso e struggente, il romanzo di Barjavel è più di una storia di fantascienza, è una storia d’amore, è una velata condanna all’Umanità destinata a sbagliare, sempre, per corruzione, sete di potere e avidità; ecco, sembra dirci l’autore, ancora una volta l’uomo, pur progredito, si è dimostrato fallace. L’epilogo è inevitabile quanto doloroso: quanto si è perso, ma quanto altro si è guadagnato in termini di umanità? Fino a dove può spingersi la sete di conoscenza? Perché qui il tema della conoscenza, del sapere, è fondamentale, centrale: gli scienziati vogliono penetrare il mistero di Gondawa, l’equazione di Zoran ” Quel che non esiste esiste”. Cosa significa? E, subito dopo: come possiamo sfruttarla a nostro vantaggio? Ma di chi è questa scoperta? A chi appartiene, a chi apparterrà? Alle nazioni bisognose? A quelle che vogliono espandersi ancora di più? Sarebbe bello poter credere, come gli scienziati della spedizione, che la scoperta è della scienza, appartiene a tutti. Ma ancora una volta, l’uomo ha sottovalutato l’altro, con esiti singolari.

Dopo aver letto ed amato “Il mago M.”, ero consapevole della scrittura lirica di Barjavel eppure mi ha colpito ancora la dolcezza con cui narra l’amore, che diviene poesia anche mentre il mondo brucia, anche mentre un altro mondo guarda e osserva; l’amore, anche carnale, non perde la sua purezza, e mi ha stregato. Elea, forte e determinata a tutto pur di preservare il suo Paikan, mi ha emozionata; avrebbe potuto piegarsi, eppure ha avuto il coraggio (o la follia, dipende da come si vuol leggere la sua storia) di scegliere per se stessa. Simon, suo protettore, in questo rapporto peculiare tramite il quale la osserva amare un altro, sa le diversità dei loro mondi, eppure, spera, sogna, agogna. E con lui, tutto il mondo, in diretta: desidera, sogna, sospira, sposta lo sguardo, si vergogna, piange. E’ un tripudio di sentimenti.

Capace di descrivere nel dettaglio un mondo come quello di Gondawa, retto da leggi ed equazioni, da scoperte tecnologicamente avanzate, Barjavel ci parla di futuro e di passato, di emozioni umane, di desiderio e colpa, di sacrificio e di speranza. Lo fa con una penna capace di incantare e catturare: mi sono smarrita nei ricordi, negli amplessi di Elea, ho tremato con lei per il suo mondo, ho avuto paura per il destino della più contemporanea umanità, tristemente afflitta dagli interessi politici ed economici, ho sofferto con Simon, fino all’ultima pagina. La sensazione che ho provato alla fine è stata quella di aver letto più di un romanzo: la fantascienza che incontra la storia d’amore e, insieme, diviene altro, come solo questo autore, plasmatore di mondi, sa fare.

Non erano più due esseri che credono di conoscersi e invece s’ingannano. ma un unico essere senza zone d’ombra, solidale e sicuro di fronte al resto del mondo.

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