Sul lato selvaggio

Sul lato selvaggio

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo Sul lato selvaggio, scritto da Tiffany McDaniel (traduzione di Luca Briasco), ed edito da Atlantide Edizioni, che ringrazio per la copia.


“C’era della bellezza, nel lato selvaggio. E c’era della bellezza nelle donne che lo abitavano. Mia madre, mia zia, nonna Keith. Donne dalla pelle sempre calda, che sembrava sudassero anche nel bel mezzo di una tempesta di neve. Donne che si mettevano il mascara ascoltando la radio e parlando con orgoglio della nostra antenata di tanti secoli prima che era stata condannata per stregoneria, impiccata non una ma due volte, e poi bruciata, quando il cappio si era spezzato.«È da lei che abbiamo preso questa pelle sempre calda. Non puoi dare fuoco a una donna e pretendere che le sue eredi non provino il calore delle fiamme. Ed è sempre da lei che abbiamo preso la capacità di predire il futuro», diceva nonna Keith, sottolineando come anche io e mia sorella fossimo almeno un po’ streghe. «Non voglio essere una strega», disse mia sorella. «Hanno le verruche sul naso». «Tesoro», disse nonna, prendendole il viso tra le vecchie mani, «essere una strega non significa indossare un cappello a punta, cavalcare una scopa o avere una verruca sul naso. Significa essere una donna che non vuole padroni. Una donna con un potere. È per questo che le hanno dato fuoco. Hanno cercato di ridurre in cenere il suo potere, perché una donna che dice più di quello che dovrebbe dire, e fa più di quello che dovrebbe fare, è una donna che bisogna cercare di mettere a tacere, e distruggere. Ma esistono cose che neppure il fuoco può distruggere. E una di queste cose è la forza di una donna»”.

Scrive così Tiffany McDaniel ne “Sul lato selvaggio” che viene proposto in anteprima mondiale da Atlantide nella traduzione di Luca Briasco. Il romanzo – che si rivela visionario, potente e ipnotico nello stile di Tiffany McDaniel, tanto apprezzato dai lettori italiani – prende spunto da una serie di sparizioni e delitti femminili insoluti avvenuti a Chillicothe, Ohio.


Allora, che cosa è stata la mia vita? L’ho vissuta sul lato selvaggio, e si può tranquillamente dire che nessun cuore è al sicuro, sul lato selvaggio, ma vorrei aggiungere qualcos’altro. Vorrei dire che sul lato selvaggio c’era comunque amore. Amore per noi, amore da parte nostra, amore fra di noi. Siamo state figlie, sorelle e madri, ma nessuno crederà a questo se non dopo aver pensato che eravamo tossicodipendenti, prostitute e individui dalle mente debole, di cui è stato facile sbarazzarsi per poi dimenticarle.

Arcade, detta Arc, e Farren, detta Poetessa Daffodil o più semplicemente Daffy, sono due sorelle gemelle, dai capelli biondi e gli occhi grigi; vivono a Chillicothe in Ohio, con due genitori tossici, troppo impegnati a farsi di eroina e a bere per poter crescere in modo adeguato due figlie, troppo presi dalla loro dipendenza da riuscire ad essere presenti. Per fortuna, c’è nonna Keith, una figura che mi ha spezzato il cuore: una donna che sicuramente ha avuto il suo trascorso, non lo si vede ma se ne percepisce il peso, eppure prova in tutti i modi di aiutare sia le gemelle, sia le sue figlie, Adelyn e la zia Jo, entrambe tossicodipendenti. Prova a portare del colore nelle vite pallide, grigiastre, nella forma di tende gialle o di pastelli per due sorelle che però non hanno fogli, ma hanno la forza della resilienza. E allora, si disegna sul pavimento, sul cemento nudo decorato da desideri, come le torte di compleanni mai festeggiati, mai ricordati, o dalle paure, come i mostri che però, scoprirà Arc troppo presto, non possono essere relegati a stare sotto il letto. Nonna Keith le porta in fiume, insegna loro a nuotare, prepara per loro la gelatina di uva, le inizia al lavoro con l’uncinetto, che diviene la metafora potente di cui il titolo si fa portavoce: come in una coperta di lana, c’è il lato bello e il lato selvaggio. Troppo presto, però, anche nonna Keith viene a mancare nelle vite delle gemelle: travolta da un uomo che si era fermato a guardare la bellezza del panorama. E la conseguenza di questa vita spezzata piegherà per sempre la vita dell’uomo, John, che si legherà in modi sempre più sottili alle vite di Daffy e di Arc, diventando per un certo periodo il loro unico punto di riferimento. La loro casa è stata violata, ormai la madre e la zia sono diventate delle prostitute ed è fin troppo facile prevedere cosa possa capitare alle due ragazzine. Il fortuito ritrovamento di John rappresenterà l’occasione per sfuggire al marciume, mentre l’adolescenza incombe. Il mondo esterno sembra, fino a questo punto, uno sfondo impalpabile: il fulcro sono loro due, Arc e Daffy, la loro relazione, il loro modo di aggrapparsi l’una all’altra per sopravvivere, per quanto possibile, il loro tentativo di comprendere quel mondo che le guarda con disprezzo e le insulta, ma su cui ancora non si muovono. Poi, esplode l’adolescenza.

I tentativi di vivere una vita “normale” si scontrano con la frustrazione: Daffy, ad esempio, grazie all’aiuto di John riesce ad entrare nella squadra di nuoto ed è anche brava, tanto che si parla di una borsa di studio ma poi … qualcosa si spezza, l’ansia da prestazione, forse, il peso di una solitudine inenarrabile, forse. Le gemelle restano due bambine di cui nessuno ha saputo prendersi cura, e per quanto siano cresciute, il loro resta un arrabattarsi in una vita difficile, in una città che le isola e le indica come predestinate a un tragico epilogo.

La prima cosa dalla quale dipendi è la sensazione. E’ come se un raggio di luce appena sbocciato ti allargasse le ossa, trasformandole in ali con cui sorvolare la realtà. Dopo quella prima dose avrei potuto fermarmi, ma dentro di me c’era una nuova brama che premeva per uscire.

Il loro legame è qualcosa di così potente, di così unico, che spingerà Arc a fare una serie di cose per non lasciare sola la sorella, ancor più sola quantomeno: da tagliarsi i capelli come lei, da prendersi l’influenza anche lei, fino a scelte drastiche da cui non si torna indietro. E sarà proprio abbracciando quella vita che hanno sempre rinnegato che le due sorelle inizieranno a conoscere una carrellata di personaggi angoscianti, dolorosi, perversi, fragili; in questo luogo – non luogo, in questa comunità raffazzonata che si sono costruite e che si fonda sull’utilità e sull’egoismo della dipendenza e non sulla comunione di interessi, che le due sorelle ormai adulte conoscono la crudeltà della disperazione e incontrano la morte. Ma quando a morire sono delle prostitute, nessuno se ne interessa. Che le loro vite contino meno?

Pur conoscendo sin dall’inizio il destino di Arc, che lei stessa svela subito, e avvertendo una giusta dose di angoscia e un brivido lungo la schiena, mentre la mente mi si riempiva di domande e gli occhi di lacrime, ammetto di aver avuto bisogno di qualche pausa durante la lettura, perché il modo di raccontare dell’autrice è di una bellezza brutale, incisiva: per me, Arc e Daffy sono state reali, concrete, vivide. Se avessi allungato la mano, le avrei potute toccare, abbracciare. Il loro destino era davvero già scritto? Era solo questa la fine possibile per Arc, una tossica figlia di tossici? Una storia toccante e agghiacciante al tempo stesso, dove l’autrice non ci risparmia nulla, né morte, né dolore, né perversione, né l’allucinazione delirante della dipendenza. Quest’ultima, soprattutto nei capitoli finali, rende il racconto ancora più drammatico perché si percepisce lo scollamento tra la realtà e il mondo allucinatorio che l’eroina crea, nel caso di Arc alimentato anche dalle superstizioni retaggio della nonna e da oscuri segreti che riguardano il suo passato e che verranno svelati solo alla fine, rendendo le ultime pagine cariche di emozionanti passaggi.

Guardai i dieci dollari che teneva in mano. Li stringeva così forte che potei solo dirle come fossero più che adeguati per ciò che aveva fatto. Dovevano esserlo, o nel cielo si sarebbe aperta una crepa. E sarebbe successa la stessa cosa dentro di noi.

Ho sorriso, ho pianto, ho cercato di comprendere, mi sono indignata, ho sperato, mi sono arrabbiata con Arc, con la madre, con la nonna, con tutti. Ho sentito tutto. Una morsa alla gola, un’intensità lucida, un mondo brutto ma purtroppo reale; partendo da una storia vera, l’autrice ci racconta le vite di Arc e Daffy, della loro infanzia rubata, sporcata, violentata e della loro vita adulta difficile, tra vicoli sporchi e siringhe, tra dipendenza e illusorie momentanee speranze. Arc non cerca redenzione agli occhi del suo lettore, né compassione: non alleggerisce il tono, non si finge null’altro che se stessa, e per questo, nonostante le sue scelte sbagliate, non ho potuto evitare di affezionarmi a lei, non ho potuto evitare di piangere per lei. Un’anima solitaria e sola, spezzata.

Con una prosa elegante, l’autrice ci parla della dipendenza, ambientando la sua storia in una società che preferisce non vedere, alzare il finestrino, ignorare o denigrare il fenomeno. Una società corrotta, dove il mostro è potente, è si nasconde dietro divise e uniformi, dove le urla vengono soffocate, dove non c’è protezione; è una storia che parla del tentativo disperato ed estremo di rispondere alla chiamata del dolore, e che esita in una trappola micidiale.

L’amore è l’amore, e in un sonetto o in una canzone conta più di ogni altra cosa. Ma nella realtà, la dipendenza è molto più potente. E’ una massa gigantesca e inattaccabile di profonda consapevolezza. E’ un lacerto di Dio, economico quanto basta per poterlo comprare, anche se a caro prezzo. E il lacerto più costoso, il lacerto di Dio che continui a pagare per l’eternità, non solo con il denaro, è l’eroina.

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