Review Tour: Esperimenti e catastrofi

Review Tour: Esperimenti e catastrofi

Buongiorno, lettori! Oggi Review Your dedicato ad Esperimenti e catastrofi, volume che raccoglie tre romanzi di Frank Herbert ( a cura di Franco Forte e traduzioni di Roberta Rambelli), edito da Mondadori nella Collana Oscar Draghi Urania. Il volume è disponibile da oggi 26 maggio; ringrazio la Casa Editrice per questa lettura in anteprima!

L’opera contiene i romanzi “L’alveare di Hellstrom”, “Esperimento Dosadi” e “Il morbo bianco”; i tre romanzi mettono in scena scenari apocalittici ed esplorano i temi come la sopravvivenza umana, la religione e i limiti che la scienza non dovrebbe oltrepassare. I protagonisti dei tre romanzi mettono in atto progetti ambiziosi e pericolosi in un mondo dove distinguere “buoni” e “cattivi” è sempre più arduo.

Autore del capolavoro della fantascienza Dune, Herbert è stato uno scrittore prolifico, la cui esperienza personale, anche come giornalista, si è tradotta in una visione decisamente personale del mondo, della società e degli uomini. Il volume raccoglie tre romanzi sicuramente diversi tra loro per ambientazioni, ma legati da tematiche di fondo accomunabili tra loro: la lotta per le proprie idee, la vendetta, la voglia di cambiare il mondo – qualunque esso sia e a qualunque costo, la sete di conoscenza e di potere.

Esperimenti e catastrofi è proprio il titolo perfetto per queste tre storie, che ci portano a compiere un viaggio nelle scoperte tecnologiche, nella scienza, nella biologia, ma più di tutto, nella mente – umana e non, attraverso nuove modalità di sperimentazione e fallimenti catastrofici. Fine conoscitore e attento studio della psiche, Herbert non solo si addentra nell’incredibile compito di creare specie nuove, ambientazioni futuristiche e credibili, ma soprattutto scava e indaga l’emotività, la psicologia degli esseri che popolano le sue storie. I personaggi principali delle tre storie sono collegati proprio da questa indagine, da questo scandaglio emotivo: vengono spogliati, denudati di fronte al lettore a cui si chiede di comprendere e analizzare motivazioni e finalità, come di fronte ad un doppio-specchio, tipico delle osservazioni in campo psicologico. Che cosa ci rende umani? Che cosa spinge una persona a credere in qualcosa? Qual è il fine delle azioni di un singolo e che conseguenze hanno su di lui, e sull’umanità?

Queste sono alcune delle domande e dei quesiti che mi ha stimolato la lettura di questi romanzi, a tratti di difficile comprensione, sia per la terminologia tecnica precisa ed accurata cui l’autore fa costante riferimento, sia per la difficoltà ad entrare in empatia totale con i personaggi, le cui finalità, talvolta, appaiono fumose, sia per lo stile particolare dell’autore. I finali decisamente aperti lasciano al lettore la possibilità di immaginare e di andare oltre l’ultima pagina, solleticando la fantasia e le ipotesi: come potrebbero essere evolute le cose? Cosa può essere successo, dopo?

Il mondo – o i mondi – sono sopravvissuti?

Le competenze tecniche dell’autore spaziano davvero in vari settori delle scienze, da quelle umane e sociali, a quelle biologiche, dalla ricombinazione del DNA, alla biologia molecolare, dalla creazione di una nuova specie comunitaria allo scambio di corpi e immortalità. L’alveare di Hellstrom e Il morbo bianco sono ambientati sul nostro pianeta ma, rispetto a ciò che conosciamo, sono profondamente diversi.

Ne L’alveare di Hellstrom, l’America è diventato uno Stato di Polizia, represso e reprimente, in cui una fantomatica Agenzia detiene un oscuro potere di controllo e indaga sull’enigmatico entomologo Hellstrom, il quale sembrerebbe registrare dei documentari sugli insetti in una fattoria dell’Oregon. L’Agenzia manda diversi agenti ad approfondire la questione, soprattutto in seguito al ritrovamento di misteriosi documenti che parlano, laconicamente, di un Progetto 40. Cosa combinano nella Fattoria? Chi è Hellstrom? Che fine fanno gli agenti mandati lì? La narrazione segue diversi punti di vista, declinati in terza persona, e il lettore entra nelle dinamiche interne al gruppo dell’Agenzia ( burattini o burattinai?), ma anche nella mente di Hellstrom stesso e del suo alveare. La minaccia che l’Alveare rappresenta per il mondo non è quella inizialmente immaginata dall’Agenzia, o meglio … è l’Alveare ad essere una potenziale arma, oltre a possedere le proprie armi. Radicata nel sottosuolo vive una società comunitaria che mutua il suo ordine e il suo equilibrio da quello delle api e vorrebbe proporsi come successivo – e definitivo – stadio dell’evoluzione umana. Il punto di vista strenuamente perseguito da Hellstrom, disposto a tutto per portare avanti l’opera della sua madre di covata, pone al lettore quesiti morali ed etici, e apre raccapriccianti scenari.

Forse con il tempo diventeremo perfettamente funzionali come coloro che copiamo. Avremo facce prive di espressioni; soltanto gli occhi e la bocca, quanto basta per tener vivo il resto del corpo. Niente muscoli per sorridere o per accigliarsi o per tradire in alcun modo ciò che si annida sotto la superficie.

Se le idee di Hellstrom appaiono particolari, colpisce anche l’atteggiamento dell’Agenzia, entità che sembra quasi essere senza scrupoli, disposta a sacrificare i suoi agenti pur di vederci chiaro in questa scomoda faccenda, salvo rimanere invischiata nelle trame di Hellstrom, inevitabili e pericolose. I rapporti umani, tra quelli che vengono definiti Esterni, sono mutevoli: gli umani come noi li intendiamo vengono descritti come manipolatori, e l’autore insinua il dubbio: saremo capaci di distinguere noi e loro? La tematica dell’Altro viene sperimentata dall’autore in ambientazioni diverse, così come quella dell’esistenza di un Potere superiore, oligarchico quasi, che muove le fila, apparentemente. E laddove c’è Potere, esiste sofferenza, repressione e inevitabilmente, ribellione.

Era inutile: quando lavoravi per trasformare il mondo in un acquario, anche tu vivevi in un acquario. L’importante era diventare uno di coloro che osservavano i pesci.

In Esperimento Dosadi ci spostiamo in un universo futuristico, con la presenza di tante e diverse razze, tra cui la più complessa e articolata è rappresentata dai gowachin, che hanno dato vita al ConSenzienza. Tra wreave, enormi vermi, calebani, stelle pensanti, e panspechi, capaci di trasferire il proprio ego ad un corpo altro, e anche umani, l’autore ci guida in una storia che parla di immortalità, di controllo, di sottomissione e dello scontro tra razze. Dosadi è un pianeta, velenoso per la vita, ma è anche il frutto di un terribile esperimento: costantemente sottoposto a una pressione sociale, eccessivamente popolato, sfruttato e degradato, Dosadi e la sua città principale, Chu, sono teatro di scontri, di una vita suburbana tesa e pronta ad esplodere. Uno dei protagonisti della storia è McKie, umano che è stato formato però nella legge dei e dai gowachin e viene chiamato proprio da loro a recarsi su Dosadi, con una missione segreta: infiltrarsi. In realtà, al suo arrivo, scoprirà che proprio coloro che avrebbero dovuto in qualche modo fare da base, hanno capito benissimo chi McKie sia, e, soprattutto, con quale intento e da chi è stato mandato; in pochissimo tempo McKie si renderà conto di tutte le implicazioni di Dosadi, e di cosa è stato chiamato a svolgere. La caduta del mito è dolorosa per McKie che si accorge di essere stato manipolato e sottovalutato: si adeguerà alla visione che i gowachin sembrano aver avuto di lui o si ribellerà? Ancora una volta, la tematica della ribellione ai poteri forti che tramano nell’ombra alle spalle di persone innocenti e inconsapevoli è nodo centrale in tutta la serrata narrazione di questo romanzo. Nulla qui è come sembra: l’autore introduce, come detto, diverse specie finemente tratteggiate non solo esteriormente quanto, soprattutto, in merito alla loro psicologia; a ben vedere, crea da zero i gowachin, spietati tutori della legge, alla ricerca disperata di un modo per vincere il tempo e la morte, disposti a tutto, persino a mentire e a sacrificare un intero pianeta per la loro insana causa. McKie e Jendrik, improbabile alleata, si troveranno coinvolti in repentini cambi di prospettiva, fino alla scena finale, l’arringa, la causa in tribunale, in cui ho trovato davvero difficoltoso seguire le varie dinamiche spesso sottintese: nell’arena McKie deve decidere come muoversi, secondo le rigide regole di quei gowachin che deve, per contratto, difendere ma sono divenuti ai suoi occhi indifendibili, deve decidere a chi affidare la propria lealta’ e anche le sorti della relazione con Jedrik. Ancora una volta, il finale disorientante lascia al lettore domande ed enigmi, etici, morali, psicologici.

Nessun sistema legale può mantenere la giustizia, a meno che ogni partecipante – maestri, accusatori, legum, imputati, testimoni, tutti – rischi la vita in ogni disputa sottoposta al tribunale. Tutto dev’essere posto in gioco nell’arena del tribunale. Se un qualunque elemento rimane escluso e senza rischio personale, inevitabilmente la giustizia viene meno.

Incredibilmente attuale, Il morbo bianco è una storia di radicati ed antichi odi, rivalità e vendette, che portano a conseguenze inaspettate e terrificanti per il genere umano. John Roe O’Neill è un biologo e si reca in vacanza a Dublino con la moglie Mary e i due figli gemelli; in realtà, la famiglia medita di restare in Irlanda per più tempo, poiché John potrebbe completare lì la sua ricerca di genetica, se non fosse che … le cose non vanno assolutamente in questo modo. Con una ricostruzione capillare ed estremamente vivida, che passa attraverso lo sguardo privilegiato dei principali protagonisti della scena, assistiamo ad un atto terroristico che stronca la vita di Mary e dei gemelli e cambia inesorabilmente il corso della vita di John. L’evento traumatico, infatti, porta l’uomo ad una sorta di scissione della personalità, alimentata dall’incessante e inesauribile desiderio di vendetta; la vendetta, per un biologo, però non si limita a una ritorsione verso i mandanti dell’atto terroristico ma diviene una rivalsa globale. Una pandemia. John crea un virus capace di sterminare solo le donne e mette a punto un piano per infettare diverse zone del mondo ( Irlanda, Inghilterra e Libia); le potenze mondiali dovranno confrontarsi con il pericolo rappresentato dalle minacce di John, che si fa chiamare Il Pazzo e cambia diverse identità, tutte connesse alle sue presunte e antichi origini irlandesi, alimentando una storia di odi razziali che faticano ad essere superati pur dinanzi alla morte. L’autore supporta con tecnicismi e linguaggio specifico la ricerca di John. La scelta dell’autore è anche in questo caso quella di lasciare molto lavoro al lettore, immaginando cosa possa accadere al mondo, ora che le donne, rimaste in poche, hanno un ruolo che potrebbe portarle a comandare o a divenire schiave.

Che sia un futuro plausibile o una specie spiccatamente aliena, è innegabile l’incredibile fantasia di Herbert, capace di creare mondi specifici, meticolosi, scenari che restano impressi nella mente del lettore anche dopo l’ultima pagina soprattutto per le implicazioni antropologiche che generano; tuttavia, in alcuni punti delle storie, ho faticato a comprendere sino in fondo le finalità delle azioni dei suoi personaggi o le sue scelte come deus ex machina. La sua fantascienza è impregnata di risvolti psicologici, umani, sociali ed etici, di questioni filosofiche e domande morali, i suoi personaggi devono convivere con il peso delle proprie azioni, in un tempo altro che esula dalla fine delle storie stesse. A conclusione delle opere, le parole di Sandro Pergameno aiutano il lettore ad avere un contesto per il lavoro di Herbert, partendo proprio dalla sua vita, dagli esordi della sua carriera, dalle sue idee, dagli eventi e dagli incontri che hanno fornito linfa vitale per la sua scrittura; inoltre, offrono spunti interessanti per comprendere le tematiche care all’autore.

La violenza sopportata troppo a lungo porta all’anestesia morale. Degra- da persino i leader religiosi. La società finisce per dividersi in agnelli sa- crificali e coloro che impugnano i coltelli. Frasi altisonanti mascherano la realtà tragica: parole come “Libertà” e “Autonomia politica” e così via. Ma sono parole che hanno scarso significato in un mondo senza morale.

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