Review Tour: Il tallone di ferro

Review Tour: Il tallone di ferro

Buongiorno, lettori! Oggi Review Tour dedicato al romanzo Il tallone di ferro, scritto da Jack London ( traduzione di Sara Sullam), edito da Mondadori nella collana Oscar Moderni Cult. Ringrazio la Casa Editrice per la lettura in anteprima. Il romanzo sarà disponibile da oggi, 12 maggio.

TRAMA

California, anno 419 della Fratellanza dell’Uomo, XXVI secolo dell’era volgare. Lo storico Anthony Meredith ritrova nascosto nel tronco di una quercia il Manoscritto che Avis, moglie e compagna del rivoluzionario Ernest Everhard, ha lasciato incompiuto nel 1932, prima di essere giustiziata dai Mercenari dell’Oligarchia. Nelle pagine scrupolosamente annotate da Meredith si narrano «gli anni turbolenti compresi fra il 1912 e il 1932», quando Stati Uniti, Canada, Messico e Cuba sono schiacciati sotto il “tallone di ferro” di una dittatura protofascista e un manipolo di coraggiosi rivoluzionari tenta, invano, di rovesciarla. Il momento culminante è la carneficina della Comune di Chicago (episodio in cui confluiscono le suggestioni della rivoluzione russa del 1905 e del terremoto di San Francisco del 1906). Sopravvissuta alla prigione e al massacro, protetta da una nuova identità, Avis rievoca gli astratti furori di Everhard e la violenza perfettamente orchestrata dell’Oligarchia in maniera vivida, con una totale adesione sentimentale che – chiosa Meredith – «restituisce la percezione in diretta di quell’epoca terribile». Capostipite dei grandi romanzi del Novecento utopico-distopici, Il Tallone di Ferro (1908) anticipa gli orrori dei totalitarismi che di lì a poco avrebbero segnato la storia mondiale, e se da un lato svela tutta l’ambiguità poetica del sogno socialista di Jack London, dall’altro è una lettura di notevole forza icastica, tuttora capace di lasciare senza fiato.

In un mondo del futuro, lo storico Meredith ritrova il manoscritto Everhard, scritto da Avis, moglie del rivoluzionario Ernest Everhard, l’uomo che ha incarnato il modello della rivolta, il filosofo socialista; il manoscritto narra, a posteriori, le vicende del periodo che va dal 1912 al 1917 ed è corredato da corpose note scritte proprio da Meredith.

La rilettura di questa sorta di diario personale consente all’autore di trasportarci in un’analisi attenta e cruda della società, in quasi tutte le sue sfumature: la lotta di classe, la politica, l’industria, la stampa, la religione, l’amore, quasi ogni aspetto della vita viene analizzato e osservato dallo sguardo inizialmente quasi ingenuo di Avis.

Avis è la classica giovane donna della borghesia, ricca, vive all’ombra del padre, scienziato, lontanissima da quella vita sofferente che conosce attraverso l’incontro con Everhard, invitato proprio dal padre in una delle sue consuete cene. In quest’occasione, l’uomo, invitato assieme a un nutrito gruppo di clericali e filosofi, ne smonta, una per una, le convinzioni, e li invita a riflettere su quanto sia ipocrita da parte loro permettersi di parlare e giudicare la classe proletaria, senza minimamente conoscerla. Al contrario, lui è un uomo che viene da quel sostrato, che si è nutrito del lavoro in fabbrica, di quella macchina agghiacciante e senza sentimenti che lo ha anche reso orfano; Avis è al contempo attirata e infastidita dalle asserzioni di Ernest, eppure, il suo carisma, si insinua nei suoi pensieri. Avis inizia, attraverso la sua relazione con Ernest, a squarciare il velo che le copriva gli occhi: le nuove consapevolezze, le nuove verità, che pure giacevano sommerse sotto ai suo piedi, scuotono la sua esistenza dalle fondamenta. Avis prova a mettere in dubbio le asserzioni implacabili di Ernest, per venirne smentita: la realtà, la società, è un coacervo di corruzione e manipolazione, la giustizia è parziale e irrisoria. I ricchi diventano più ricchi sulle spalle dei poveri. Avis assiste quasi impotente allo sgretolamento delle sue convinzioni, e al contempo, si innamora di Ernest, che le appare come un eroe impavido e senza macchia, disposto a tutto per le sue fervide idee che preannunciano un cambiamento colossale.

Avis diviene, prima per amore e poi per esperienza, una rivoluzionaria: la società è sull’orlo di una guerra, che vedrà l’Oligarchia del Tallone di ferro schiacciare la libertà, schiacciare la classe media. La disamina che l’autore compie per mezzo della voce di Ernest è cruda e crudele: non ci sono fronzoli ad abbellire una realtà dolorosa quanto reale. E’ una minaccia e una condanna, quella dell’autore.

Ernest è una calamita che attrae, che divide, un personaggio scomodo che quindi fa paura ai capitalisti, i quali provano, invano, a sedurlo: è come se lui e la società praticassero un gioco di cui Avis ignora totalmente regole, mentre Ernest le conosce, e arriva ad anticiparne persino le mosse. Le sue predizioni fanno paura perché si avverano sempre, ma la sua non è una vittoria felice, anzi: la sua ragione ha il seme della sconfitta schiacciata dal capitalismo. Questo lato pubblico della sua figura si coniuga con una visione privata ed intima, filtrata dallo sguardo di Avis.

Era un umanista, capace di amare. E con il suo carattere battagliero, il suo corpo da gladiatore e lo spirito di un’aquila sapeva trattarmi con la gentilezza di un poeta. Un poeta d’azione. Che intonava il canto dell’umanità, che amava di un amore semplice. Quell’umanità per cui diede la vita e per la quale fu messo in croce.

Il romanzo, pubblicato agli inizi del ‘900, preannuncia eventi che realmente accadranno nel futuro dell’autore; verrebbe da chiedersi: London è un visionario o la società è prevedibile? Lo stile dell’autore si carica del fervore dei comizi, della passione di chi crede in ciò che dice e difende strenuamente le proprie posizioni, convinto di poter davvero cambiare il mondo, pur consapevole dell’enorme difficoltà di tale compito. Il linguaggio risente dell’epoca in cui venne concepito il romanzo e, soprattutto nella prima parte, potrebbe rendere la lettura meno scorrevole; dalla seconda metà in poi, la storia entra nel vivo con Avis impegnata a difendere la propria vita. Le parole si susseguono così come le scene di azione, gli intrighi, le rivelazioni, le paure, le angosce, il tutto sempre supportato da una visione delle vicende sociali e politiche attenta e precisa. E’ quasi doloroso assistere insieme ad Avis ai capitoli finali.

Avis non solo sposa la causa socialista ma ne diviene portavoce: sopporta la prigione, diviene una spia, compie, in sostanza, una trasformazione enorme. Della giovane ragazza che si stupisce di non essere ancora sposata, conosciuta all’inizio del romanzo, resta poco: sicuramente il suo percorso è interessante ma avrei preferito un maggior approfondimento psicologico circa le doverose e lecite implicazioni profonde di questo suo cambiamento, circa i risvolti più intimi di tutto quello che ella vive.

All’alba di una guerra tra Germania e Stati Uniti, scongiurata da uno sciopero generale che paralizza trasporti, comunicazioni, e dura circa una settimana, Ernest tetramente preannuncia la manovra di controllo che i capitalisti attueranno proprio sui sindacati di quei lavoratori che rappresentano la spina dorsale del paese, ovvero industria dell’acciaio, del metallo e dei trasporti. Le disparità tra i sindacati che si lasceranno tentare e quelli che rimarranno fedeli ai propri ideali, rappresenterà per Ernest l’ulteriore miccia per le future rivolte, gravanti sulle spalle del proletariato, sempre schiacciato, sempre perdente. Il culmine delle rivolte è l’episodio della comune di Chicago: Avis, implacabile voce, fa la conta dei sopravvissuti, dei loro destini.

Era molto più facile veder morire i coraggiosi che vedere un vile implorare la grazia.

Il finale mi ha spiazzata: avrei desiderato saperne ancora, avrei voluto uno spiraglio di speranza per Avis ed Ernest, per la società, ma l’autore fa un’altra scelta. La speranza, se c’è, è da ricercare tra le righe delle note di Meredith, in quel futuro lontano che sembrerebbe aver riportato la bilancia dell’equilibrio cosmico in pari: sarà davvero così?

Un romanzo tra saggio sociale – politico e distopia catastrofica, un testo che è manifesto di un’ ideologia, quella socialista, e che parla della catastrofe di una società, in cui l’abisso, multiforme, terrificante, mutevole, resta schiacciato da un potere forte e corrosivo; moderno e cupo proprio per la prospettiva distruttiva che lascia al lettore, ha il merito di essere considerato un precursore della distopia ad esso successiva. A corredo del romanzo, la postfazione a cura di Cinzia Scarpino tratteggia e definisce ulteriormente la cornice e lo sfondo dell’opera, analizzandone le figure principali, nonché l’autore e il panorama socioculturale da lui respirato.

La grande forza propulsiva dell’Oligarchia è la convinzione di essere nel giusto. Contano poco le eccezioni, e tantomeno l’oppressione e l’ingiustizia alla base del Tallone di Ferro. Tutto è concesso. Il punto è che la forza dell’Oligarchia, oggi, risiede nella soddisfazione che prova per il solo fatto di sentirsi nel giusto.

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