Review Tour: Io sono leggenda

Review Tour: Io sono leggenda

Buongiorno, lettori! Oggi Review Tour dedicato al romanzo Io sono leggenda, scritto da Richard Matheson (traduzione di Giovanna Scocchera), ed edito da Mondadori, nella collana Oscar Moderni Cult. Ringrazio la casa editrice per questa lettura in anteprima. Il romanzo è in uscita il 5 maggio.

TRAMA

Robert Neville è probabilmente l’ultimo uomo vivente sul pianeta… eppure non è solo. Un morbo incurabile ha trasformato uomini, donne e bambini in vampiri assetati di sangue. Di giorno Robert attraversa le rovine della civiltà, seguendo le tracce dei mostri come un cacciatore sulle orme della preda, li studia, sperimenta nuovi modi per sterminarli. Di notte si barrica in casa, assediato dalle creature delle tenebre, e implora che sorga presto il sole… Rovesciando la situazione di Dracula, vampiro nel mondo degli uomini, Matheson immagina un uomo solo in un mondo di creature mostruose, dando vita a uno degli scenari più fortunati della letteratura e del cinema novecentesco. Quello che – con la sua scrittura ossessivamente cristallina, asciutta, ipnotica – Matheson dipinge è un mondo apocalittico, straniato, nel quale ogni valore e ogni certezza vengono stravolti. Chi sono i buoni e chi i cattivi? Ci sono davvero dei buoni e dei cattivi? O ci sono solo eventi e creature che sfuggono alla comprensione razionale e alla catalogazione scientifica? L’orrore, suggerisce Matheson, ci abita accanto. Postfazione di Giancarlo De Cataldo.

Robert Neville, trentasei anni, marito devoto e padre amorevole di una moglie che ha seppellito, di una figlia morta. Robert, l’ultimo uomo sulla Terra, almeno questo è ciò che crede, ha visto l’evoluzione, terribilmente attuale, di un virus che trasforma, non si sa bene come, gli umani in creature abiette, instupidite, che odiano aglio, specchi, croci e soprattutto, temono l’esposizione alla luce del sole. Vampiri, proprio loro. Per decenni relegati alla letteratura e ai film, all’improvviso divengono reali, anzi l’unica realtà di cui Neville è consapevole. Lui, che è l’ultimo baluardo dell’umanità, li combatte notte dopo notte, con un lavoro indefesso di uccisioni e smaltimento cadaveri. Un lavoro che svolge quasi come un rituale spersonalizzante, senza farsi troppe domande, perché rompere l’argine degli interrogativi significherebbe esserne sommersi, e Neville non può e non vuole permettersi tale ipotesi. Troppo dolorosi i ricordi della vita passata, recentemente passata eppure così lontana per sensazioni contingenti: Robert anela al suono del suo nome in bocca a una creatura umana, non la pantomima di Ben Cortman che ogni notte ulula alla sua porta, al tocco umano, al sesso e al contatto che gli è negato pur continuando a provare impulsi “vivi” e sessuali.

Neville è teso tra lo straniamento della solitudine, la lotta per la sopravvivenza, il ricordo della vita, le domande che si pone sul suo ruolo, sul perché sia l’unico vivo e immune al virus, e il conflitto interiore verso quei desideri sessuali che ne testimoniano la vitalità. La sua tensione, però, non si esplica in una ruminazione costante: Neville cerca di darsi una tabella di marcia, con una lista di cose da fare e procurarsi, per barricarsi e per mantenersi in vita, imposta la sveglia, ad esempio, si lava i denti, si rade, prova a cucinare un pasto decente. E’ la sera che l’incubo va in scena. Quando i vampiri reclamano la loro cena, Neville si stordisce di musica e di alcol, navigando nel suo incubo personale fatto di perdita e morte.

Pagina dopo pagina, scopriamo cosa è successo alla famiglia di Neville: l’autore non usa orpelli stilistici nel raccontarci il lutto ed il tormento del protagonista. E’ crudo e proprio per questo ha avuto ancor più impatto su di me: anche se Neville non ha nessuno con cui dialogare per gran parte del romanzo, se non se stesso, la sua voce arriva potente al lettore. I suoi pensieri, la sua tensione interna che monta, monta, e divampa, colpiscono e incatenano il lettore alle pagine.

Tra le scene che più ricorderò, ci sono, oltre a quelle in cui Neville ricorda e saluta la sua famiglia, l’incontro con un cane: la gioia, la cura, l’attenzione che Neville si impone per riuscire a stabilire una connessione. L’autore, però, non risparmia nulla: questa non è una storia a lieto fine, questa è una realtà alternativa in cui un batterio trasforma l’umanità in vampiri, in morti rinati. Starà a Robert provare a comprendere cosa e perché, e a scontrarsi con il terribile finale di una storia che è, appunto, già leggenda.

Robert è un personaggio affascinante: un uomo spezzato che non può permettersi di arrendersi ad una morte non dignitosa, come quella auspicata dall’incontro coi vampiri; un uomo che ha perso tutto per un virus maledetto, il cui futuro sembra spandersi in un per sempre estenuante. Anche solo pensarci, immaginare a trenta o quaranta anni di quella vita, stancano Robert. C’è una speranza? E se sì, dove alberga?

Ancora vivo, pensò, cuore che batte inutilmente, sangue che scorre nelle vene senza motivo, ossa e muscoli e tessuti vivi e funzionanti senza alcuno scopo.

La storia si svolge in un arco narrativo di tre anni, durante i quali Robert cambia, si incupisce, si disumanizza quasi, fino all’incontro inaspettato e clamoroso con Ruth, grazie alla quale Robert ricomincia a porsi una serie di domande su se stesso, sui vampiri, sul mondo intero. Non è più il Robert del 1976, preda del desiderio fisico e carnale di contatto, ora è un uomo sospettoso, il cui silenzio verbale è divenuto silenzio emotivo, assenza empatica, quasi. Eppure, un istinto ben più antico e radicato, lo mette in guardia ma, al tempo stesso, è come se il bisogno di umanità, di sentire la propria voce accolta ed ascoltata, di raccontarsi, superi qualsiasi cosa, persino l’idea stessa di avere di fronte una bugia.

Robert, infine, deve accettare il suo destino, e diventare Leggenda.

Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore nato dalla morte, una nuova superstizione che penetra l’inespugnabile fortezza dell’eterno. Io sono leggenda.

Un romanzo moderno, incalzante ed ipnotico, dove i vampiri diventano la metafora di ciò che rimane; un uomo lotta ogni giorno con la solitudine e la certezza della morte, purché essa non sia vana, purché di lui resti in qualche modo traccia. Il male incarnato dal virus diventa la spiacevole spora che mangia, che succhia, che modifica il suo ospite: la minaccia non è un agente esterno, ma il vicino di casa, la moglie, il conoscente, per estensione, chiunque. Un finale che stravolge completamente le aspettative del lettore, e rimette le carte in tavola per un futuro terrificante.

Ultima chicca, ma decisamente non meno importante, la postfazione a cura di De Cataldo, cornice doverosa e del tutto condivisibile sulla grandezza di Matheson e il suo relativo posto, meritato, nell’olimpo della Fantascienza.

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