La tuffatrice

La tuffatrice

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo d’esordio scritto da Julia von Lucadou (traduzione di Angela Ricci), La tuffatrice, disponibile in eBook per Carbonio Editore, che ringrazio per questa collaborazione.
Per le informazioni sull’acquisto e la scheda del libro: https://carbonioeditore.it/le-collane/cielo-stellato/la-tuffatrice-julia-von-lucadou/

TRAMA

Riva Karnovsky è una campionessa di base jumping: si lancia dai grattacieli, dando prova di coraggio in una disciplina che richiede forza, autocontrollo e sprezzo del pericolo. È la numero uno, una superstar con milioni di follower e sponsor che le offrono contratti pubblicitari miliardari. Ma un giorno Riva decide di ritirarsi: non si allena più, non rilascia interviste, non posta più nulla. Passa le giornate seduta sul pavimento del suo lussuoso attico, chiusa in un ostinato silenzio. Per rimotivarla viene chiamata una giovane psicologa, Hitomi Yoshida: a lei il compito di sorvegliare Riva giorno e notte attraverso telecamere nascoste in ogni angolo della casa. Finché Hitomi si accorge di essere lei stessa una prigioniera… Con una narrazione gelida e asciutta Julia von Lucadou dà vita a un futuro patinato, iper-efficiente, altamente competitivo e commercializzato, descritto con inquietante precisione: una realtà virtuale asettica tanto agghiacciante quanto possibile.

In un futuro molto prossimo, la vita è scandita da rigide norme comportamentali, da punteggi e sponsorizzazioni, da gare su palchi il cui premio è la possibilità stessa di una carriera e di un futuro; è un mondo alienante, dove persino le relazioni sentimentali sono mediate e dettagliatamente riportate nelle schede personali, così come le proprie inclinazioni sessuali, togliendo a qualunque tipo di incontro il piacere della scoperta. E’ un mondo in cui sembra non si possa perder tempo, specialmente in cose apparentemente irrilevanti come la spontaneità di un gesto. E’ un mondo in cui crescere con la propria famiglia, con madre e padre biologici, è obsoleto, è passato, e passato significa squallido, aberrante, deviante, ridicolo. Si cresce in Istituti e in Accademie, si accumulano punteggi, si gareggia per emergere nelle discipline e per essere assegnati ad abitazioni migliori, a vite migliori, a professioni migliori. La sensazione soverchiante è che il mondo voglia fabbricare persone migliori, senza minimamente tenere conto delle inclinazioni personali, ma in maniera cieca e pre-impostata, e quindi decida cosa si debba essere. Il concetto che sta alla base è che ogni personalità possa essere modificata, plasmata, migliorata, livellata. Ne consegue che ben presto la maggior parte di bambini, di giovani, decida di aderire alla norma, perché il deviante viene cancellato, sparisce nottetempo, se ne perde la consapevolezza. Dove finisce? Poco importa. Chi è che decide? Poco importa.

Ciò che sperimenta il lettore, la presenza di questa entità superiore che decide, che non si mostra ma sembra tirare le fila sottili delle vite, di questo luogo-non luogo in cui è ambientata la storia, unitamente ad una narrazione incalzante, è un senso di vertigine, di angoscia. Una sensazione, quasi, di soffocamento, a cui fa eco il vissuto che si può associare alla tuffatrice del titolo: la giovane Riva, al culmine della sua carriera e della sua vita, che, improvvisamente e senza nessuna ragione apparente, smette di allenarsi. Lei è una tuffatrice, appunto, ma decisamente particolare: è campionessa di Highrise Diving, si tuffa cioè dai tetti di grattacieli, ed è la migliore. Ha tutto, Riva, fama, soldi, sponsorizzazioni, un fidanzato. Eppure. La facciata sempre perfetta si sta sgretolando, la pelle che pure era sua, sembra non riuscire più a contenerla. Ma come? Come può essere così ingrata, lei che ha tutto?

E’ questo ciò che inizialmente pensa di lei la voce narrante della storia: Hitomi Yoshida, giovane psicologa del lavoro, assunta dalla PsySolutions e indirizzata proprio sul caso di Riva; la richiesta arriva dal mentore e dagli sponsor della campionessa che minacciano di rescindere ogni forma contrattuale se non tornerà ad allenarsi, e al tempo stesso sono terrorizzati dall’abbandono di Riva. Perché il suo abbandono, il suo ritiro, agli occhi delle migliaia di fan che ha, rappresenta una crepa nel disegno della perfezione finta che aleggia nel mondo. Risposte standard alle interviste, relazioni guidate, un bracciale al polso che regola ogni attività e dato fisico, tutto riportato su sistemi consultabili. Nulla è privato. Nulla è intimo. E Riva, nonostante la ricchezza, non si esime da tale regola, anzi, l’occhio di tante telecamere la segue, e dietro tali occhi c’è lo sguardo osservante di Hitomi. Raccoglie e cataloga dati su dati: Riva immobile, Riva che non reagisce. Il tempo stringe, però, e servono strategie adeguate per ridestare Riva dal suo coma auto-indotto; Hitomi deve inventarsi qualcosa. Ma mentre lei osserva Riva, viene osservata a sua volta, dal lettore e anche da qualcun altro: l’obbediente Hitomi comincia a mettere in dubbio ogni cosa mentre i ricordi del suo passato emergono con forza accecante.

Hitomi e Riva, due personalità diverse, le cui storie crescono, pagina dopo pagina, collimano ( anche se Riva ne è all’oscuro) in un perverso gioco di rimandi e rispecchiamenti: e finiscono per collassare su loro stesse. Riva si apre con l’introduzione di un escamotage ideato proprio Hitomi ma non basta, né a Riva, né a Hitomi. La finzione è ormai svelata: il deviante ha ribaltato ogni norma, cancellando i confini denudando un sistema spaventoso. Parallelamente, Hitomi perde tutto: la sua vita è ormai una prigione, come lo è quella di Riva. Una volta che si apre alla possibilità del dubbio, al desiderio di verità, di un contatto umano, di spontaneità, è la fine; i ricordi della sua amicizia con Andorra, di loro due bambine e poi ragazze, con l’amica che aveva colto l’essenza di un mondo manipolatorio e sleale, subissano la mente di Hitomi. La sua paranoia dilaga. Riuscirà a liberarsi di anni e anni di lavaggio del cervello, di controllo?

Una distopia originale e angosciante, che gioca sull’assenza di coordinate spazio-temporali chiare e per questo potrebbe essere dietro l’angolo, potrebbe essere il nostro futuro, in mano a una tecnologia ipercontrollante, in mano a qualcuno che ci vuole perfetti, che controlla le nostre più intime reazioni. L’utilizzo di tecniche psicologiche, sia nella pratica professionale di Hitomi, sia come indicazione alla popolazione in generale, è sicuramente interessante e coinvolgente, ma viene da chiedersi se venga perseguito in modo corretto, in questa realtà o se rappresenti, più verosimilmente, uno strumento, ennesimo, per il controllo.

Un romanzo da cui staccarsi è praticamente impossibile: la storia di Riva e la storia di Hitomi, soprattutto, ci permettono di guardare a questo mondo, a questa realtà disturbante perché plausibile, ma ci permettono anche una fine indagine antropologica ed individuale. E’ lampante la competenza in materia psicologica dell’autrice, che ci fa addentrare in dinamiche sociologiche, psichiche, incredibili ed ammalianti; teorie ed ipotesi scientifiche che fondano il mondo che ha creato, ma che possono anche distruggerlo, sovvertirlo.

La sua penna è seducente, incalzante, riflessiva; usa un linguaggio moderno, cinematografico, che mescola primi piani veloci ma intensi, con fotografie ed istantanee, flashback suggestivi, e uno slang facilmente individuabile. Non credo sia un caso la scelta di far svolgere al fidanzato di Riva la professione del fotografo: Aston riempie la casa di fotografie bellissime di Riva-tuffatrice, ma lei si riconosce in questa versione di sé? Oppure vorrebbe vedersi diversa? Un riflessione, quindi, sullo sguardo dell’altro come ulteriore meccanismo di controllo psicologico e sociale, una regola a cui, purtroppo, nessuna società sembra sottrarsi: come ci vedono gli altri sembra plasmare l’immagine di noi stessi.

Un esordio che riecheggia di grande maturità, uno sguardo sul mondo interno dei protagonisti che diventano emblema ed allegoria della vita stessa.

Hitomi è viva, è reale: mi ha commosso, mi ha emozionata, mi ha convinta. E qual è la storia di Riva? Di cosa soffre? E’ così importante la diagnosi? Il mondo, fuori, vuole la prognosi, vuole l’efficienza che cerca di ricattare con mezzucci quali i soldi, i contratti, l’abitazione; ma Riva cosa vuole? Il suo è il male di vivere? E’ il desiderio di tornare ad essere umana in una realtà francamente disumanizzante? E’ voglia di un contatto autentico, e non di effimere relazioni indotte dalla sua fama? Il tarlo del sospetto si insinua, pericoloso.

Riva vuole essere libera! Vuole tornare alla sue radici e alle sue origini, vuole tornare nelle periferie, in un grembo materno metaforico che le viene di fatto precluso. Ma la libertà è l’unica cosa non negoziabile: la norma, la regola, non lo prevedono.

Adesso ho la sensazione di essere imprigionata tra il mio passato e il mio futuro, e sento entrambi richiudersi su di me. Mi schiacciano.

E Riva cosa farà? Si adeguerà a quello che vogliono da lei, all’immagine della campionessa forte, invincibile? O l’esperienza di isolamento e l’incontro creato da Hitomi – ma non controllato fino in fondo – avranno sortito qualche effetto? Che male sceglierà di vedere?

Hitomi, quasi ossessivamente, non riesce ad abbandonare il suo progetto, e forse non riesce nemmeno ad essere obiettiva, a guardare dall’esterno il baratro verso cui sta scivolando; la sua ostinazione può essere letta in vari modi, e mi sono chiesta se Riva per Hitomi sia stata solo questo, un progetto, o se sia riuscita a superare l’auto-riferimento e vedere Riva come una persona, come un altro da sé. Hitomi sembra quasi, nei capitoli finali, lasciarsi andare, rassegnata, al fallimento personale: si indebita, pur di continuare ad osservare Riva. Per salvarla? Per amor di scienza? Al tempo stesso, viene completamente tagliata fuori dal suo lavoro, dalla sua vita, perde quella chiave, elettronica e non, che la collegava con il mondo: all’improvviso è sola. La gravità, la vastità della portata e delle implicazioni che questa libertà ha, è immensa: Hitomi sarà in grado di coglierla? Di strappare definitivamente il velo?

E’ un personaggio che sicuramente induce riflessioni, positive e negative, nel lettore che potrà, alternativamente, patteggiare con e per lei, o arrabbiarsi, indignarsi per certe sue scelte che vanno però comprese e ritrovate nel suo passato e nella realtà che ha vissuto. Hitomi vuole avere una vita migliore. E vuole credere che sia quella che altri hanno scelto per lei. Non vuole deludere nessuno. L’idealizzazione però si scontra con la realtà e provoca in lei una scissione, uno sgretolamento, una deriva psicologica; abbracciare o sottrarsi a quello che sembra essere inevitabile? Un epilogo straziante, pregno di significati e di riflessioni, per un romanzo che coniuga distopia ed esplorazione intimistica, tecnologia e mindfulness. Il bisogno di essere riconosciuti, di essere amati, di essere liberi ed imperfetti, di una famiglia, di un passato: questi alcuni dei temi che ho trovato, scavando tra le righe di questo romanzo, e che mi porterò dietro, dopo l’ultima pagina.

Quelli contro cui devo combattere sono altri ricordi, frammenti isolati di memoria, che sono incomprensibilmente sepolti nelle mie sinapsi.

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