ilMistero.doc

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Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo “ilMistero.doc“, scritto da Matthew McIntosh ed edito da ilSaggiatore, che ringrazio per l’invio della copia e per questa collaborazione!

TRAMA

Un uomo si sveglia in una casa che non conosce. Una donna che non conosce lo chiama «amore», gli dà un bacio, esce. I mobili, le tende, i tappeti, i libri sugli scaffali, il giardino, la strada che si snoda fuori dalla finestra, gli aceri in fiore: tutto gli è straniero, alieno. Non è mai stato qui. C’è una scrivania, un computer, una sedia gialla. Si siede, preme spazio: sullo schermo appare un documento fatto di una sola pagina vuota. Il documento si chiama “ilmistero.doc”. È l’inizio di un’opera che definire mondo è riduttivo, un’opera-galassia, un’opera-universo che contiene centinaia di romanzi diversi; un’opera-babele, un’opera-babilonia, un’opera-biblioteca; un’opera-enigma, il giallo dei gialli, che può essere svelato solo da chi non cerca di risolverlo; un’opera che, nel suo negare la forma romanzo, ne invera la forza originaria, dirompente, carnevalesca, come – a suo tempo – avevano fatto “Casa di foglie” di Mark Z. Danielewski e “Infinite Jest” di David Foster Wallace, coi quali “ilMistero.doc” condivide un’ideale continuità, non solo per la frammentarietà della struttura o per l’eterogeneità dei materiali narrativi impiegati, ma anche, e soprattutto, per l’intento epico: raccontare, in una singola vita, ogni altra possibile vita umana.

Eppure, un finale ultimo la storia ce l’ha, e io sto cercando la strada per raggiungerlo. Non posso semplicemente arrivare. Devo compiere un viaggio. E viaggiando devo agire. E agendo, allungo il viaggio. Perché con ogni azione arrivano collegamenti. Che devono essere esplorati, e poi interrotti.

“ilMistero.doc” è il mio primo approccio ad un genere letterario che mescola parole, immagini, messaggi, chat, stili e linguaggi differenti: posso, sicuramente, definire la lettura del romanzo un’esperienza, totalizzante, delirante, a tratti fuorviante e a tratti coinvolgente; ineffabile nel suo disvelare una storia che si pone l’arduo intento di essere universale e racchiudere tutte le storie.

Ho cercato di seguire quanto più possibile la lettura senza preconcetti e con un atteggiamento accogliente di apertura, mettendo da parte aspettative ed ipotesi. Poi, ad un certo punto, il razionale è subentrato e ho cercato l’ordine, il primo filo da tirare e seguire che mi portasse alla storia, al centro di essa, alla Voce primigenia e al Protagonista. E mi sono nuovamente persa nella contemplazione di asterischi ed immagini, nel susseguirsi di parole che hanno un loro spazio nuovo nella pagina ma ben definito, nelle pagine bianche, nelle chat, nelle visioni oniriche di un non ben definito qualcuno, nei ricordi di passati ineffabili. Per questo definisco la lettura un’esperienza, capace di elicitare emozioni, ma soprattutto di creare domande. D’altronde, l’avvertimento c’è: se è la risoluzione del mistero che cerchiamo, forse ne resteremmo delusi. Più che la risoluzione, nel romanzo ho trovato spunti di riflessione, momenti di commozione ( penso, nello specifico ai passaggi correlati all’11 settembre, con la conversazione a singhiozzi tra Melissa e un operatore, presumo, che mi hanno commosso proprio per la loro segmentazione e per la capacità dell’autore di evocare con poche parole una situazione che tutti conosciamo), troviamo frammentarietà della comunicazione e dell’esistenza stessa.

Mi sono interrogata, allora, sul fine della lettura, su cosa cerco quando mi relaziono a un romanzo. Avventura? Mistero? Domande e risposte esistenziali? Immaginazione? Voli pindarici? Logica? Credo che ogni lettore debba rispondere da solo a questa domanda e che ogni lettore debba decidere se è pronto ad affrontare un viaggio insieme a McIntosh.

Un uomo si sveglia e non riconosce la propria vita: senza occhiali, senza una lente che possa filtrare la sua realtà, non riesce nemmeno a vedere la donna al suo fianco, che millanta di essere sua moglie. Ne coglie la voce e qualche sparuto frammento velato, mentre lei si ostina a portare avanti una quotidianità che l’uomo non coabita. Chi è, lui? Chi è, lei?

Sono una persona, io, o potrei essere più di una?

Iniziano le prime domande venate da un fondo di paranoia, adesso legittima; l’uomo sembra mantenere una sorta di memoria casuale, sapendo ad esempio come ci si comporterebbe trovandosi in un film o in romanzo simile alla situazione che vive, riconoscendo la sua faccia nello specchio, ma poco altro. Sa che è uno scrittore e si avvicina, quando è solo, alla sua scrivania e scopre il famoso file che da il titolo al romanzo stesso: ilmistero.doc, una pagina vuota. A cosa stava lavorando? Cerca di rimettere insieme i pezzi, ma la ricostruzione che ne viene fuori si lega e si intreccia ad altre storie, a tutte le storie si potrebbe dire. Le voci che si susseguono sono tantissime: alcune si raccontano, a modo loro, alcune compaiono e scompaiono nell’arco di una pagina, alcune si esprimono con immagini. Da qui, inizia il vero e proprio viaggio del lettore che viene trascinato in universi fatti di asterischi come fiocchi di neve e sospensione del giudizio per provare ad afferrare il nucleo pulsante del romanzo.

Ho segnato tante pagine, tante possibili chiavi di lettura per leggere un romanzo che affronta in un modo unico tantissimi temi: dal sogno americano, alla religione, alla morte, alla tecnologia, l’autore volteggia tra linguaggi e stili peculiari.

Quanti romanzi sto leggendo, mi sono chiesta. Quante “sottotrame” mi sta mostrando? Ma, soprattutto, mi sono chiesta, più volte, il senso, il fine e anche lo scopo di quanto narrato, in termini generali e individuali: cosa vuole dire l’autore? Cosa vuole dirmi l’autore?

Boh, cioè, non so tipo – che senso ha? Il senso sta nel Libro vero e proprio, o nell’anima? Nel cervello? Nell’Idea, nella Forma… oltre il Libro? Chi lo sa, ma – mi sta proprio cambiando il cervello. E’ che – perché è concetto dopo concetto e alla fine diventano così grandi e … capito? Sono molto più grandi del Libro… e …… cioè, è buffo pensarci … Ed è come … è come se lo realizziamo nella nostra vita … capito? Tutte le trame è come se si fossero infiltrate nella vita ……………

Chi sta parlando? Il protagonista Daniel, Matt o Ashe? L’autore McIntosh, che pure si ritaglia un ruolo nella finzione romanzata, un personaggio con il suo stesso nome? Un romanzo nel romanzo che ricorda il sogno o il delirio schizofrenico, più volte citato e ricordato, come pure emerge spesso il tema della malattia mentale e della follia. E’ un delirio messianico originato da una patologia o da una spiritualità fervida? Religione, superstizione, Bibbia, Fine del Mondo, l’attesa del Messia, tutti uniti in un intricato intreccio di parole, di onomatopee, di film, di registrazioni audio. Cosa rappresentano le conversazioni? A volte sembrano registrazioni di vita quotidiana usate da Matt per lavorare al suo romanzo, altre volte mi hanno ricordato le registrazioni tra medico e paziente. Ospedali, interrogatori, bevute al bar.

Le mie parole continuano a rubare il senso.

Tra misticismo, morte, dolore e perdite, ritroviamo un’America che fa da sfondo con il suo patriottismo e le sue contraddizioni; troviamo la solitudine della memoria, con il cantante e militare Jay C. Trinklein che muore senza che nessuno testimoni il suo passaggio sulla terra, e la malattia, il cancro, il bisogno irrefrenabile di comunicare con l’altro. Cartoline, ritagli di vita da immaginare e da riempire di passato e di futuro, lasciati allo sguardo del lettore, libero di costruire la sua cornice. Il lettore è spettatore di una sceneggiatura che vorrebbe essere la rappresentazione di tutte le vite, su uno schermo sfarfallante.

L’autore ci parla di dipendenze, di droga, di paranoia, di lutti, di famiglia, ma lo fa con una miscellanea di tonalità emotive, che a volte ritroviamo nel romanzo e altre volte perdiamo nella citazione unica di un frammento; i continui cambiamenti di registro chiedono al lettore una sorta di atto di fede nella lettura, creano attese e disattese, l’aspettativa di essere stupiti ancora, e ancora, tra pensieri profondi sulla vita, sul processo creativo e sull’intima connessione tra i due.

Un mondo in cui non hai una storia è un mondo di assoluta possibilità. Nel cervello la possibilità si converte in paura. La paura in ostilità. L’ignoto, ciò che potrebbe essere, assume le fattezze di un mondo oscuro, violento, piuttosto che di un agnello, un coniglietto o una spiaggia solitaria e assolata dove, seduta con le ginocchia al petto, ti attende una ragazza in bikini bianco e nero.

Ma dove si colloca, allora, il confine tra passato e presente, tra ricordo e invenzione, tra plausibile e verità? Chi ci racconta degli anni giovanili, dell’emicrania lancinante, della vita in Inghilterra, delle relazioni, della scrittura come modalità di evasione e di fissaggio dell’esperienza? E poi, mi sono domandata: è così importante saperlo?

Perché se mi stai leggendo, è molto probabile che tu sappia esattamente chi sono io. E allora mi domando: Chi sei tu? E perché dovrei fidarmi di te?

Si rivolge al lettore, si rivolge a se stesso, si rivolge ai suoi attori, come in un metaromanzo che si avvale anche di immagini e citazioni cinematografiche, affiancate a fotografie di gente comune, a rullini raccontati con parole e a scatti senza didascalia e dai contorni vaghi, quasi affiancando continuamente istanze opposte, vita e morte, bene e male, scienza e fede. Sono riflessioni che fa Daniel, o l’autore le fa compiere ai suoi alter ego?

O è solo il mio pensare errante e onirico, guidato da romanzo-sogno, in quella che posso solo definire, di nuovo, un’ Esperienza: chi sogna il sogno?

La bellezza c’è, ma non è come ce l’aspettavamo.

L’ordine c’è, ma non tutte le nostre domande vi trovano una collocazione.

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