L’uomo che amava i libri

L’uomo che amava i libri

Buongiorno, lettori! Oggi vi parlo del romanzo “L’uomo che amava i libri”, scritto da George Pelecanos ed edito da SEM, Società Editrice Milanese, che ringrazio per l’invio della copia cartacea del romanzo.

TRAMA

Michael Hudson trascorre le lunghe giornate in carcere divorando libri che gli sono stati dati dalla bibliotecaria della prigione, una giovane donna di nome Anna che ha un debole per il suo miglior studente. In un luogo in cui è difficile trovare speranza, il potere dei libri può essere una luce nel buio. Ad alcuni detenuti, come Michael, il lavoro di Anna sta cambiando la vita. Legge avidamente i libri che lei gli passa finché viene improvvisamente rilasciato dopo che un detective privato ha manipolato un testimone nel suo processo. Il detective è Phil Orzanian, un uomo spregiudicato che, insieme a un poliziotto in pensione, ruba con il ricatto e la violenza i soldi sporchi dei criminali. Fuori dal carcere Michael incontra una Washington D.C. profondamente cambiata. Le trasandate vetrine di un tempo ospitano birrerie all’aperto, caffè alla moda e negozi di fiori. Ciò che non è cambiato è la tentazione del crimine. Michael deve scegliere tra chi è riuscito a farlo uscire di prigione e la donna gli ha mostrato una vita diversa. Cercando di bilanciare il suo nuovo lavoro da lavapiatti, l’amore per la lettura e il debito nei confronti dell’uomo che lo ha liberato, Michael fatica a capire quale sia la sua strada. Riuscirà a resistere alla morsa del crimine o precipiterà nell’abisso? Una storia di scelte difficili, che scava nelle profondità dell’animo umano, parla di riscatto e del potere universale dei libri, un’analisi profonda della mentalità criminale e della linea sottile e spesso confusa che esiste tra bene e male.

Quella che ci racconta Pelecanos è una storia di riscatto, di seconde possibilità, una riflessione sull’esistenza e sulle condizioni di vita, differenti, che condizionano il corso degli eventi. I suoi personaggi sono tutti chiamati a fare i conti con il proprio passato, ma, soprattutto, con il futuro, con la speranza di una vita diversa, con la possibilità di cambiare e di avere uno spiraglio di pace. Ma cos’è, per loro, la pace? Cosa rappresenta la tranquillità? Un matrimonio piatto ma accanto a un uomo stabile? La sicurezza economica? La prospettiva di un lavoro onesto?

Questo è un romanzo che parla di confini, di limiti, di umanità e lo fa con una prosa coinvolgente da cui è difficile staccarsi. Lo stile pulito, lineare, con cui l’autore ci narra la sua storia non deve assolutamente fuorviare: ci troviamo di fronte alla complessità dell’animo umano, sapientemente tratteggiato, nelle sue luci e nelle sue ombre. Mi ha colpito la capacità dell’autore di “giocare” proprio sulle sfumature, sul “non detto” lasciato alla fantasia del lettore che deve colmare i vuoti, che poi vuoti non sono: l’autore ci fornisce una traccia ben precisa da seguire, che il lettore segue per ricostruire scenari e suggestioni, anche dopo la fine della lettura stessa.
Mi è piaciuta anche la pienezza della storia, che inizia e si conclude, in modo netto e preciso: dopo l’ultima pagina mi sono sentita appagata, ho sentito come se quei personaggi, che nel corso della lettura erano diventati per me reali, si fossero accomiatati in modo giusto, soddisfacente. Come a dire: ora continuate le vostre vite, ora andate.

La storia si svolge in una Washington moderna, violenta, divisa tra bianchi e neri; una città che l’autore ci porta capillarmente a conoscere, con la descrizione minuziosa di strade, quartieri e architetture urbane. Qui si intrecciano le storie che ruotano attorno alla prigione cittadina, in cui sta scontando la pena Michael e in cui lavora Anna, che si occupa della biblioteca della prigione stessa. I libri, come si evince dal titolo, sono il trait d’union tra Anna e Michael: la prima, infatti, si dedica alla creazione e conduzione di gruppi di lettura (l’autore ci fa partecipare attivamente ad alcuni di questi incontri) e si occupa anche di portare i libri, accuratamente scelti da lei, nei vari bracci della prigione; Michael, dal canto suo, è un giovane uomo sveglio, intelligente e curioso, e ritrova proprio grazie alla presenza e al lavoro di Anna, l’amore per i libri. Cosa può rappresentare, in una prigione, la cura, l’attenzione, l’amore che Anna riversa nella scelta dei testi da proporre? Può un singolo gesto di gentilezza cambiare la vita ai detenuti?

Anna ci crede profondamente: è una donna che ama il suo lavoro, che ci si impegna, e spesso continua a pensare ai suoi detenuti, ai libri che propone, dopo l’orario di lavoro, anche a discapito della comunicazione con suo marito. L’autore ci mostra una coppia che ha delle difficoltà terribilmente comuni, e gioca, come dicevo prima, con ciò che ci lascia osservare e ciò che lascia in sospeso. Anna ha paura che il suo matrimonio, la sua vita, diventino un copione già scritto e già recitato, e forse ravvede nella particolare amicizia con Michael una piccola evasione, una scossa. Nel finale del romanzo, il lettore scoprirà se Anna si lascerà sedurre dall’idea di Michael o se ripercorrerà quel canovaccio che teme. Ma lo teme davvero?

Michael ha sbagliato, in passato, si è macchiato di piccoli crimini e ha deviato da una via che gli sembrava difficile; ha una famiglia unita, una madre che lo sostiene, e due fratelli che rappresentano il suo opposto; colpisce, tuttavia, la dolcezza, la delicatezza con cui tutti affrontano, in famiglia, la situazione di Michael. Ci si aspetterebbero insulti e accuse, e ci si ritrova invece in un clima di accettazione e di sostegno. Michael non vuole più sbagliare, vuole rigare dritto e trova conforto nelle piccole cose della sua nuova vita: un cellulare nuovo, un lavoro routinario ma pagato, una libreria nuova, dei libri, qualche amico. Eppure, il suo passato torna a bussare alla sua porta nella figura del personaggio sicuramente più complesso del romanzo, a mio avviso, Phil. Investigatore privato, detective, Phil è un uomo che si è perso. Corrompe e manipola, credendosi un paladino, un eroe della giustizia che segue vie traverse, ma soprattutto vuole un guadagno “facile” per far vivere comodamente la sua famiglia; la sua è una vera e propria ossessione che lo porta a non riuscire a godere di quei momenti famigliari autentici e genuini, come gli fa notare la sua bellissima moglie, spaventata dalla piega che la vita parallela del marito sta prendendo.

I destini di Phil, di Ward, di Michael, si intrecciano, si toccano, si influenzano, fino al finale, tragico e doloroso. Il romanzo è carico di una suspence sottile: ad ogni pagina, il lettore si aspetta che succeda qualcosa di brutto ai protagonisti, perché vivono in un posto “brutto“, vivono situazioni di bruttura umana; c’è violenza, odio, droga, prostituzione, intorno a loro, e l’autore è bravissimo a creare una tensione narrativa palpabile. La scrittura di Pelecanos si imprime nella mente del lettore e la sua storia sembra trapassare la carta per proiettarsi davanti agli occhi di chi legge; è una storia di vita plausibile, di vita potenziale, che colpisce per la sua attualità e per la sua brutalità.

Quando leggeva un libro, la soglia della sua cella era aperta. Poteva varcarne la soglia. Risalire quelle colline sotto quell’immenso cielo azzurro. Respirare l’aria buona tutt’attorno. Vedere le ombre che si muovevano sugli alberi. Quando leggeva un libro, non era più dietro le sbarre. Era libero.

Michael trova nella lettura la forza di andare avanti, un passo alla volta; trova la voglia di crederci. Leggere, immaginare, confrontarsi con le storie altrui, gli serve per mettersi in discussione costruttivamente e lo aiuta a stimare di più se stesso, senza dimenticare il suo passato. Un messaggio potente di speranza nonostante il male del mondo.

Che le cose cattive continueranno a succedere, perché il mondo è fatto così. Ma una piccola gentilezza può diradare le tenebre.

Un romanzo in cui i personaggi devono affrontare i propri demoni, terribili e terrificanti, venire a patti con le conseguenze delle proprie azioni e guardare in faccia se stessi, togliendo quella maschera che indossano e che gli fa credere di agire per un bene superiore.

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