Terapia allo specchio

Terapia allo specchio

Buongiorno, lettori. Oggi vi parlo del romanzo “Terapia allo specchio” scritto da Irvin D. Yalom e Ginny Elkin, ed edito da Neri Pozza Editore, che ringrazio per l’invio della copia.

TRAMA

Ventitré anni, un indiscusso talento per la scrittura creativa, Ginny Elkin compare al cospetto di Irvin Yalom, docente di psichiatria alla Stanford University di Palo Alto, agli inizi degli anni Settanta e, con sporadiche e fascinose metafore, dipinge subito un fosco ritratto di sé: quello di una giovane donna che odia profondamente sé stessa.
La terapia di gruppo cui viene affidata non sortisce alcun effetto nel corso di un anno e mezzo.
La sua inefficacia non scoraggia tuttavia Yalom. Per venire a capo del demone interiore di Ginny, di quella vocina che la tormenta senza tregua e la fa vivere in uno stato di perenne paura e impaccio, l’autore di Psichiatria esistenziale le propone una terapia individuale basata su un singolare esperimento: in luogo del pagamento di una parcella, scrivere un riassunto onesto di ogni seduta, contenente tutti i pensieri e le fantasie che non emergono mai alla luce in un rapporto verbale. Dal canto suo, Yalom avrebbe compilato delle note non cliniche basate ugualmente sulle impressioni di ogni seduta.
Il risultato di tale intenso esercizio di autorivelazione è questo libro, che non espone semplicemente, come nella vasta letteratura esistente in psichiatria, l’interessante caso clinico di una borderline capace di tenersi al di qua della psicosi, ma traccia simultaneamente il percorso della cura da entrambi i punti d’osservazione, quello del paziente e quello del medico. Descrivendo «il dramma simbiotico della psicoterapia», quest’opera finisce così per essere, come scrive Marilyn Yalom nell’introduzione, «un romanzo… la storia di due esseri umani che si sono incontrati nell’intimità del tête-à-tête psichiatrico e che adesso vi permettono di conoscerli così come loro si sono conosciuti».

Ogni volta che mi ripiegavo su me stessa, lei mi dispiegava.

Il percorso, il lungo viaggio interiore, che il dottor Yalom e la “sua” Ginny ci invitano a fare, è doloroso, come deve essere una terapia che funzioni; è una danza, fatta di alti e di bassi, fatta di carezze all’anima e di momenti di buio interiore. E’ una relazione che si nutre di silenzi, di assenze e lontananze; è la creazione di quello spazio mentale che serve per poter affrontare i propri demoni. In una rara occasione letteraria, anche lo psichiatra decide di mettersi a nudo, di raccontarsi e raccontare il processo terapeutico senza fronzoli o orpelli stilistici che non solo condanna, ma ricorda al suo lettore. La sua non è autoironia ma è la capacità, derivante da una grandissima esperienza terapeutica ed umana, di scendere nel proprio abisso e riconoscere i propri errori. Così il dottor Yalom è il primo a chiedersi quanto forte sia in lui il desiderio degli “applausi”, del riconoscimento, dell’affetto e del legame che sottolinea e rimanda ai suoi pazienti; Yalom si commuove, si lascia “sedurre” da Ginny, ma è davvero così? La verità è molto più complessa, e il lettore termina il romanzo con la sensazione di averne afferrato solo una parte: pur spettatore della terapia, è chiaro che l’atmosfera venga raccontata ma è come se rimanesse una patina di silenzio, di “vuoto”, di intimità che non può essere violata e può essere compresa solo se si conosce la psicoterapia, la sua complessità e la sua profondità.
Il rapporto tra il dottor Yalom e Ginny ricalca pienamente la dinamica tipica del transfert e del controtransfert: Ginny si “innamora” platonicamente del suo medico, su cui fantastica, e il medico ha il doppio compito, sicuramente più complesso, di comprendere i sentimenti della sua paziente, di comprendere e analizzare i suoi e rimandarli, per non lasciarli sopraffare da essi, cosa che ovviamente è contraria a tutte le regole etiche e morali della psicoterapia. Questo non toglie il fatto che Yalom sia lusingato dalla presenza di Ginny, e come lui stesso dice nell’ultima parte della loro terapia quando Ginny porta con sé il fidanzato, Yalom prova un moto di gelosia quando realizza che il suo rapporto con la ragazza è limitato a un’ora settimanale. Verrebbe da dire: la densità di quell’ora è talmente tanto importante da saturare tutto il resto, o ingombrare?

Non ci si esprime sul merito, qui, ma si leggono due storie umane, individuali, che parlano delle fragilità dell’esistenza e del tentativo che la terapia della parola vuole dare per far stare meglio gli altri. C’è commozione, c’è rabbia, c’è dolore emozionale, in questo resoconto a due voci del rapporto terapeutico fatto di fiducia, di osservazione, di analisi.
Ginny è una personalità complicata, piena di rabbia non espressa e che non sa esprimere, anzi lei crede di non averne il diritto; in lei le emozioni sembrano non avere diritto d’esistere e questo la trasforma in una maschera, in una personalità fredda. Lei sostiene di sentirsi sincera solo con Yalom ma è davvero così? I loro incontri sembrano avere una loro intricata alternanza: ad una seduta proficua, prolifica, che sembra andare nella giusta direzione, ne segue una disastrosa, devastante, se non addirittura carica di noia. Ginny rimette in atto con Yalom una modalità personale di gestione della relazione interpersonale, che utilizza anche al di fuori di questa relazione: è piena di vergogne, di colpe, di autocommiserazione. Come interrompere questo ciclo? Come restituire una dignità a Ginny? Questo è il compito che si pone Yalom, il quale crede, supportato dalla moglie, che un aiuto ulteriore a Ginny, aspirante scrittrice in blocco, possa derivare dallo scrivere una relazione a corredo di ogni seduta; con una certa cadenza ( e attesa) i due si scambieranno questa sorta di carteggio, per vedersi con l’occhio dell’altro. Le pagine più intense, a mio avviso, sono quelle di Ginny, nelle quali, accidentalmente o meno, la ragazza ci regala un’interpretazione e una lettura della psicoterapia che diviene metafora della vita stessa. Al punto che la seduta viene definita una “replica imperfetta della vita“.

Tra sentimenti e umanità, tra dolore psichico e vita quotidiana, ne esce fuori un ritratto anche sociale di un’epoca ma soprattutto l’incontro di due vite che inesorabilmente saranno cambiate da questo contatto. E’ l’America degli anni Settanta, la psicoterapia si sta affermando e si stanno sperimentando nuove e diverse tecniche di aiuto; le donne stanno andando verso una maggiore emancipazione e la sessualità viene affrontata, nella vita come in terapia, in modo libero e senza filtri. In questa cornice di riferimento, Yalom e Ginny (pseudonimo) ci fanno osservare e vivere una terapia intensa e commovente, due personalità che si confrontano mantenendo, chiaramente, le rispettive posizioni.

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