Respiro

Respiro

Buongiorno lettori! Oggi vi parlo di Respiro, una serie di racconti di fantascienza, scritti da Ted Chiang ed editi da Frassinelli, che ringrazio per la copia.

TRAMA

“L’universo ha avuto origine da un immenso respiro trattenuto. Perché non si sa, ma quale che ne sia stato il motivo, mi fa davvero piacere sia andata così, se sono vivo lo devo infatti a quel fenomeno. Tutti i miei desideri e le mie riflessioni non sono altro che vortici d’aria generati dalla successiva e graduale espirazione dell’universo. E finché questa grande espirazione non avrà termine, i miei pensieri continueranno a vivere.”. Nel racconto che dà il nome alla raccolta, il protagonista è uno scienziato che fa una scoperta impossibile sulla propria esistenza. E chiude proprio con un’esortazione che contiene la poetica dell’autore: «Anche se quando mi leggerai, esploratore, io sarò morto da tempo, mi congedo adesso rivolgendoti un invito: contempla la meraviglia che è l’esistenza e rallegrati di poterlo fare. Mi sento in diritto di dirtelo. Mentre scrivo queste parole, infatti, io sto facendo lo stesso.» In questo uso della fantascienza come contenitore dei sentimenti e dei pensieri umani, Chiang è degno erede di Philip K. Dick. Nelle altre otto storie che compongono la raccolta ci sono sempre personaggi fuori dall’ordinario, che sperimentano la vita in dimensioni diverse dalla nostra. Come ne “Il mercante e il portale dell’alchimista”, il racconto che apre la raccolta, in cui un varco temporale costringe un venditore di stoffe nell’antica Baghdad a fare i conti con i propri errori e gli offre il modo di rimediare. Come in tutte le sue opere, Chiang sfiora la fantascienza immaginando mondi diversi, intelligenze artificiali, forse viaggi nel tempo (sicuramente nella memoria), e in realtà mette sul tavolo temi umanissimi: il valore della vita, l’ineluttabilità, la paura e il dolore della morte, la necessità della memoria, la ricchezza salvifica del sapere, e volere, comunicare.

La serie di racconti si apre con “Il mercante e il portale dell’alchimista“, ambientato tra una Baghdad e Il Cairo senza epoca precisa, in una sorta di atmosfera che ricorda le “Mille e una notte“, dove un uomo che ha viaggiato tramite un misterioso portale si ritrova a narrare parte della sua incredibile storia, a Palazzo. Proprio come nel celebre racconto di Shahrazad, gli aneddoti che il misterioso uomo racconta, e che legano passato e futuro, hanno una morale e un messaggio. Nonostante la creazione “futuristica” di due portali ( uno dei giorni, uno degli anni), qui legata a una visione alchemica delle cose, c’è qualcosa che tutti possiamo imparare:

Nulla può cambiare il passato. C’è il pentimento, c’è l’espiazione e c’è il perdono. Questo è tutto, ma trovo che sia abbastanza.

Una visione originale e del tutto personale dei viaggi nel tempo, inteso qui come una sorta di “stanza“: i portali, allora, sono ingressi diversi tramite cui accedere all’interno, che, però, rimarrà sempre lo stesso.

In “Cosa ci si aspetta da noi“, l’autore introduce un altro tema a lui caro: l’integrazione, intesa come arricchimento reciproco tra popoli ed epoche, come capacità di esplorare, in uno sforzo che sia prima di tutto conoscitivo e di apertura verso l’altro; l’integrazione non deve essere intesa mai come sfruttamento di risorse e/o competenze ma come possibilità di incontro, un messaggio di speranza.

Ma ho una speranza ancor più sottile, ovvero che chi popola quell’universo non si accontenti di usare il nostro come serbatoio.

Quando i ricercatori creano un digiente, un organismo digitale che vive in un ambiente virtuale, non si rendono conto delle implicazioni che questo avrà sulle vite di chi a loro si affeziona: dalle sembianze che ricordano animali, necessitano non solo della creazione di una loro personalità ma soprattutto di chi se ne occupi. L’azienda che lancia questi digienti diviene in poco tempo ricchissima: sono infatti molto richiesti, sino a quando … gli stessi digienti sottoporranno ai loro “proprietari” richieste in termini di norme sociali e morali con cui orientarsi in mondi virtuali. Pian piano, ciò che sembrava rivoluzionario diviene obsoleto ma non per coloro che con i digienti hanno passato mesi, lavorando per renderli perfetti per il pubblico. Così Ana e Derek, ed uno sparuto gruppo di proprietari, cercano di prendersi cura di questi personaggi e proteggerli da chi vorrebbe usarli per il proprio guadagno o piacere personale; ben presto si renderanno conto di quanto sia difficile proteggere senza controllare, delle implicazioni affettive e relazionali che questa forma di contatto avrà sia per i digienti che per gli umani. Intenzionati a non sospenderli, fanno l’impossibile per ovviare al destino triste che gli si prospetta ma in questo cammino dovranno affrontare un percorso che potremmo definire “genitoriale“: dovranno imparare a gestire i rifiuti, a mettere paletti e confini, in una dinamica sottile in cui i digienti vengono dai proprietari percepiti essere umani … ma sarà davvero così? Ancora una volta, da un’angolazione sorprendente, l’autore ci sprona a riflettere sulla tematica del libero arbitrio: fino a che punto possiamo spingerci per difendere i diritti dell’altro? Quando e come ci accorgiamo che in realtà li stiamo calpestando, in virtù di una nostra idea? Proprio come nel rapporto tra figli e genitori, è un equilibrio complesso.

Tanto l’autore ci porta avanti, proiettati in un futuro non ben collocato ne “Il ciclo di vita degli oggetti-software“, quanto ci riporta ad indagare il passato in “Omphalos“, dove una mostra di mummie diviene pretesto per parlare di religione e origine del mondo. Da quanto tempo esiste il mondo così come lo conosciamo? Cosa accadrebbe se non si potesse più datare il nostro passato oltre una certa data? Che vuoto si aprirebbe, incolmabile. Esistiamo, ma abbiamo bisogno di sapere che ad un certo punto, non importa quanto lontano nel tempo sia stato, non c’era nulla e poi c’è stato il tutto. Interessante leggere come l’archeologa che riflette su queste tematiche sia una donna molto cattolica: chi o cosa ha creato il mondo e noi? Quando una scoperta astronomica sembrerebbe mettere in discussione sia le teorie fisiche che quelle religiose circa il senso, lo scopo del nostro mondo e dell’umanità stessa, l’archeologa metterà in dubbio tutta se stessa. Se si assume che la fisica è una delle scienze che permette di studiare in modo specifico il passato, si può stabilire il momento primo, andando a ritroso nel tempo.

E’ come avere a che fare con una catena composta da anelli consequenzialmente forgiati. Ma il momento della creazione è dove ogni catena di esaurisce … Ecco perché la creazione dell’universo è un miracolo: perché ciò che è successo allora non è conseguenza di ciò che è successo prima.

E c’è altro che esula dalla catena di causa ed effetto: il libero arbitrio.

Ogni atto di volontà è, al pari della creazione dell’universo, una causa prima.

Quasi a equiparare umano e divino, l’autore ancora una volta stupisce con un quesito morale e filosofico di grande impatto sul lettore, e sembra andare alla ricerca di quella domanda prima che muove tutto il sapere: chi siamo?

E la domanda viene posta al lettore non solo in termini di relazione all’universo, ma anche in una declinazione più intima ed individuale nel racconto “L’angoscia è la vertigine della libertà”: sempre ritornando sul tema delle linee temporali, viene proposto un prisma che mette in connessione una persona con il proprio parasè, una versione alternativa di se stessi che vive però in un’altra linea temporale. Il rapporto tra le due parti del sé è molto complesso e delicato, spesso c’è invidia e risentimento perché il parasè è più bello, più ricco, più realizzato rispetto all’altra versione; il racconto è intenso, e questa volta l’integrazione è intesa come accettazione di parti differenti del sé.

Uno dei temi che l’autore ha trattato riguarda l’attenzione prestata alle nuove generazioni, intese sia come “futuro“, sia come modalità di crescita. L’autore in diversi racconti si è interrogato su cosa verrà lasciato alle generazioni prossime, e in che stato, e come esse si relazioneranno a risorse ed oggetti appartenenti ad epoche precedenti: vi sarà voglia in integrazione tra questi due elementi? oppure ci sarà rottura, profitto e mero guadagno? Una questione spinosa e sicuramente aperta, così come lo è l’interesse che l’autore dimostra verso la pedagogia e l’educazione. In particolare, nel racconto “ Il brevetto della Tata Automatica di Dacey“, viene affrontato il tema delle cure primarie: un padre solo si trova a crescere un figlio le cui tate non riescono ad educarlo come vorrebbe. Visto che lui è uno scienziato ed un matematico, si mette al lavoro per realizzare appunto una Tata Automatica, con un grammofono nella testa per suonare le ninnananne, e che si prenda cura dei bambini; l’esperimento sarà ovviamente fallimentare ma instaura una serie di eventi che coinvolgeranno proprio suo figlio e suo nipote, e offrono al lettore diversi spunti interessanti in merito alla pedagogia. Come è ben noto, esistono diversi approcci alla relazione madre-padre-bambino: considerata l’epoca vittoriana in cui è ambientato il racconto, non stupisce l’idea che lo scienziato Dacey ha delle donne – facili all’emotività e tendenti all’isterismo, mentre l’uomo più razionale sarebbe meglio indicato come educatore. Quando però suo nipote, allevato sino a due anni da una Tata Automatica, soffrirà di quella che è una vera e propria deprivazione sensoriale al contrario, avvezzo al contatto con la macchina ma rifiutante il contatto umano, il figlio si renderà conto della forzatura estrema dell’esperimento paterno. Questo racconto, in pochissime pagine, offre una serie di riflessioni morali ed etiche davvero incredibili, e prendendo spunto dai primi approcci allo studio della mente e del comportamento umano, collocati in piena epoca vittoriana, inizia ad interrogarsi proprio su quei quesiti che danno l’avvio alla psicologia comportamentista e, poi, sociale. Nello specifico, mi ha ricordato le teorie di Renè Spitz sui danni allo sviluppo infantile causati da una serie di deprivazioni, in primis, l’assenza di contatto con una figura di riferimento.

Grande importanza, in accordo con il genere a cui la raccolta appartiene, viene data alla tecnologia: proposta come mezzo per dirimere i conflitti, come accade nel racconto “La verità del fatto, la verità della sensazione“, spesso è più ostacolo che facilitatore. L’introduzione di un software che si occupa di gestire tutta la memoria umana, infatti, porta a galla dissidi e dissapori tra la gente, specialmente all’interno di una relazione di coppia. Avallando quasi l’idea di un “segnapunti della ragione“, l’autore, tramite il narratore in prima persona, interroga il suo lettore: la verità è importante ma cosa succede se iniziassimo ad indagarla anche nelle relazioni sociali allo stesso modo di come accade in sede legale? Da qui, il titolo del racconto, per invitarci a riflettere sulla differenze enorme tra verità oggettiva e soggettiva, e su quanto impatto ha sulla nostra vita la memoria. Il ricorso ad ausili per la memoria semantica non ha avuto un corrispettivo per la memoria episodica: da essa dipendono i nostri ricordi. Cosa accadrebbe se ci rendessimo conto che quella patina romantica e dolce che ha un nostro preciso ricordo, non corrisponda alla verità oggettiva? E, soprattutto, che effetti avrebbe su di noi questo eventuale scarto? Il mondo che l’autore tratteggia in questo racconto prevede la creazione di “cyborg cognitivi” capaci di ricordare ogni cosa: ma è davvero un dono, memorizzare tutto? Cosa ne sarebbe del motto “perdona e dimentica” che spesso regola le relazioni interpersonali? Cosa siamo disposti a sacrificare per la verità?

In realtà, l’autore in ogni racconto riesce, con poche righe, a introdurre concetti ed argomenti importanti, che approfondisce e tratta con una grande competenza a cui si associa una chiarezza espositiva: così leggere di “digienti“, di realtà virtuali, di “argan” e polmoni che si ricaricano, di portali degli anni a Baghdad, risulta scorrevole e piacevole per il lettore. Ogni storia lascia poi con una serie di riflessioni e di interrogativi, o riattiva nella memoria del lettore stralci di altre letture: l’autore tratta talmente tante tematiche, toccandole con garbo ed eleganza, da lasciare al lettore una sensazione di appagamento totale alla fine della lettura. Il filo rosso che lega i vari racconti si permea sulla questione del libero arbitrio, a mio avviso, letto ed affrontato da molteplici punti di vista. Gli elementi di fantascienza sono inseriti in contesti chiaramente appartenenti al genere ma declinati in modo talmente spontaneo da risultare quotidiano, quasi come se i futuri e i mondi immaginati potessero essere una eventuale realtà alternativa alla nostra.

Mi congedo adesso rivolgendoti un invito: contempla la meraviglia che è l’esistenza e rallegrati di poterlo fare.

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