L'opale perduto

L'opale perduto

Buongiorno lettori! Oggi vi parlo del nuovo romanzo  di Lauren Kate:  L’opale perduto, edito dalla Casa Editrice Rizzoli che ringrazio per la copia cartacea.

TRAMA

È una cupa notte di dicembre del 1725, Venezia è stretta nella morsa dell’inverno. Violetta, cinque anni, si è rifugiata nella soffitta dell’istituto per trovatelli noto come Ospedale degli Incurabili, dove vive. Oltre il vetro gelido di una finestra, con la sua bambola stretta al petto, sente il canto soave di una donna, giù in strada, e la vede abbandonare un bambino nella ruota. Dieci anni dopo, in quella stessa soffitta piena di vecchi indumenti e violini rotti dove lei continua a sognare una vita libera, Violetta incontra Mino. Violinista dell’ala maschile dell’orfanotrofio e primo essere umano capace di farle intravedere, attraverso il soffio suggestivo della musica, un orizzonte di speranza. Ma questa inaspettata magia ancora non basta: troppo urgente è il desiderio di Violetta di diventare una cantante, e potrebbe essere un desiderio maledetto…

 

L’abbandono le scorreva nel sangue, la sua unica eredità.

Questa è una storia che ha per protagonisti due ragazzi orfani, affidati alla Chiesa degli Incurabili di Venezia, e l’abbandono, con le sue conseguenze, fa da filo conduttore alle loro vita: sono orfani, la cui unica eredità è un frammento di passato, veritiero o meno, non è dato saperlo.
Ognuno dei personaggi presentati ha affrontato questa perdita e la relativa cicatrice in modo specifico. Violetta ha rinchiuso le domande sulla propria origine in un cassetto, preferendo non farsi domande sulla sua mamma e scegliendo di essere arrabbiata con lei; decide di non volere figli perché teme di non sapersene prendere cura nemmeno lei, d è sicura di abbandonarli proprio come è successo a lei. Questi sentimenti covano comunque dentro di lei e la portano a sentire spesso come un  senso di vuoto che non riesce a riempire, un’inadeguatezza profonda, un’incompletezza che la attanaglia.
Mino invece affronta l’abbandono diversamente: costantemente alla ricerca della propria madre, si ritrova in una relazione che lo porterà a doversi confrontare da vicino con la questione genitoriale, volente o nolente; rispetto a Violetta, percepisce il matrimonio e il diventare genitore come la possibilità di riparare al torto subito. Dentro di sé, è alla ricerca di una giustificazione plausibile per il comportamento della madre.
Si conoscono da giovanissimi e sviluppano immediatamente un sentimento d’affetto a cui danno il nome di amore; è il loro primo innamoramento, si scambiano confidenze e tenerezze (nei limiti del contesto storico ed ambientale), ma soprattutto condividono il sogno di una vita differente. Mino quella vita può provare ancora ad ottenerla, Violetta sente di non poterlo fare, e comunque, anche potendo, non si sentirebbe degna di realizzarla con il ragazzo. Ciò porterà ad un frattura profonda tra i due ragazzi che cresceranno e condurranno le proprie esistenze distanti e separati, ma molto presenti nei rispettivi sogni e pensieri.
Violetta persegue nel suo sogno di cantare ad ogni costo, Mino cerca di arrabattarsi per sopravvivere; entrambi si cercano nei versi di una canzone condivisa.
L’autrice sceglie la suggestiva Venezia per parlare di una storia malinconica, che sebbene in alcuni punti centrali sia abbastanza prevedibile per il lettore, parla della ricerca di se stessi, attraverso la scoperta del proprio passato.  E’ evidente l’approfondimento che l’autrice ha dedicato alla ricostruzione di un contesto ambientale coerente e adeguato al periodo in cui si svolge la storia che è, appunto, una dichiarazione d’amore alla città stessa.
Tra le calli veneziane, le maschere e le gondole fanno da cornice all’ultimo periodo di gloria prima della decadenza della Repubblica, in una città che ha fatto degli eccessi e della bellezza il proprio simbolo distintivo. La storia raccontata si nasconde nei vicoli, dietro le grate del coro di una chiesa maestosa, nella maestria di un liutaio inconsapevole, nel fato che accomuna chi non ha famiglia, nel desiderio di meritare un po’ di felicità. Si cela dietro alle superstizioni e alle botteghe, nei casinò e nei tabarri, in un carnevale infinito, giostra di colori e di vita a cui fa da contraltare la sacralità del rito della domenica, l’importanza dei rituali famigliari.
Nonostante la storia sia stata veloce, al punto da poter confondere il lettore sugli archi temporali attraversati, e i due protagonisti abbiano fatto scelte discutibili e poco chiare allo sguardo del lettore, lo stile dell’autrice e la sua narrazione hanno reso la lettura fluida. Il titolo mi ha evocato una storia diversa rispetto a quella che ho trovato poi nelle pagine, una storia che parla di desiderio di appartenenza e di legami da ricucire.
Anche la confusione di Violetta che traspare bene nella sua indecisione e nella sua difficoltà a leggere le dinamiche interpersonali, va compresa nel contesto di vita che la ragazza affronta e nel mondo in cui vive, così distante, sebbene inglobato, dalla Venezia che gioca, beve, folleggia. Violetta è una ragazza che presenta delle grandi fragilità interiori, che compensa con un carattere all’apparenza determinato, ma fatica a comprendere i meccanismi della vita e dovrà scendere nel suo abisso personale per comprendere meglio se stessa e i propri sentimenti. In bilico tra ciò che non sa di essere, ciò che può essere, e ciò che sogna di diventare, Violetta è alla costante ricerca di qualcosa che sembra inafferrabile, tesa nello sforzo di afferrare l’attimo successivo e incapace di cogliere il momento presente. Come le dice Federico, con il quale avrà un rapporto decisamente ambiguo ed è  lui stesso un personaggio determinante, Violetta non riesce a guardarsi con lo sguardo altrui; si lancia con impulso in alcune attività e in altre invece non riesce a scegliere. Vuole sentire qualcosa di vivo ma al tempo stesso è terrorizzata da ciò che di lei potrebbe scoprire.

Il suo sogno cambiava, continuamente; l’unica costante era che restava sempre lontano dalla sua portata. Era come se desiderasse sempre troppo.

Nei capitoli finali, quando Mino e Violetta avranno la loro occasione per ritrovarsi – dopo essersi inconsapevolmente mancati per un soffio diverse volte – è il loro ponte a fare da sfondo ad un incontro che mi aspettavo pieno di rabbia e di asprezza e in cui invece ho letto tristezza, rimpianto per qualcosa a cui non si era dato il giusto peso e che inevitabilmente il tempo ha cambiato. Ma il tempo ha anche mutato lo spessore e l’importanza che i due protagonisti danno ai loro sentimenti. Saranno pronti Mino e Violetta a farsi carico delle nuove verità? Del loro passato e dell’eredità che lasceranno? Saranno pronti ad accettarsi per quello che sono e a perdonare?
L’autrice ci lascia sicuramente con delle domande a cui rispondere, ma in questa storia ha riversato un amore grandissimo; è riuscita a trasmettermi uno struggimento e una malinconia intensi che ho portato con me anche dopo l’ultima pagina.

La vita era come la musica: se cambiavi una sola nota, cambiavi la melodia. 

 

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