Ghiaccio e argento

Ghiaccio e argento

Buongiorno lettori! Oggi vi parlo del thriller d’esordio di Stina Jackson, Ghiaccio e argento, pubblicato da Longanesi Editore, che ringrazio per l’invio della copia cartacea!

TRAMA

Sono ormai tre estati che Lelle, insegnante di liceo e padre di un’adolescente, trascorre ogni notte alla guida della sua auto. Conosce ogni metro degli oltre cinquecento chilometri della Via dell’Argento, la strada che serpeggia tra gli alberi dell’antica foresta nel Nord della Svezia, al confine con la Norvegia. Quella che il sole di mezzanotte non riesce a illuminare. Lelle conosce ogni paesino isolato, ogni insediamento, ogni specchio d’acqua. Sono tre anni che sua figlia è scomparsa, da qualche parte fra il ghiaccio e l’argento, lungo quell’autostrada che d’estate, sotto il sole di mezzanotte, sembra un nastro d’asfalto sulla luna. Lelle ha soltanto l’estate per cercare sua figlia, perché in autunno inizia l’anno scolastico e deve interrompersi. Lelle non ha speranze, eppure la speranza è l’ultima cosa che gli resta. Meja ha diciassette anni e viene dalla città, ma sua madre l’ha costretta a trasferirsi a Glimmersträsk: un puntino sconosciuto lungo la Via dell’Argento. Lontana da tutto ciò che amava, Meja è sola e disperata. Finché non incontra qualcuno che può darle più di quanto abbia mai avuto: una nuova famiglia. Con l’arrivo dell’autunno e la sparizione di un’altra ragazza, i destini di Lelle e Meja iniziano a intrecciarsi in modo indissolubile. E sconvolgente.

Sono passati tre anni da quando Lelle ha accompagnato, una mattina di giugno, la figlia Lina alla fermata del bus per raggiungere il posto del suo primo lavoro estivo. Nessuno sa cosa le sia successo da allora, nessuno l’ha vista, non esiste una sola traccia: l’unica cosa che si sa è che lei su quel bus non è mai salita. Lelle, professore di matematica, da quel momento smette di esistere: vota la sua intera esistenza alla ricerca di Lina, aiutandosi per un periodo con l’alcol e le immancabili sigarette. Sospetto e colpa, negli occhi della moglie Annette, degli agenti, nello stesso sguardo riflesso allo specchio: questo sente addosso a sé Lelle da quel momento. Si aggira come un’ombra ripercorrendo quelle stesse strade, cercando di ricordare se quella mattina Lina gli abbia lanciato un bacio, cosa si siano detti … ma è come se una nebbia ottundesse la sua memoria. Nel suo peregrinare e scavare negli anfratti più remoti dei dintorni, Lelle è accompagnato dalla proiezione della sua mente che vede Lina porgli domande, rimproverarlo per il fumo, chiedergli disperatamente di ritrovarla.

E il silenzio, paesaggistico ma soprattutto della Polizia locale, è spaventoso ed agghiacciante: nessuno ha dimenticato Lina, certo, ma tre anni sono tanti, senza tracce, senza un corpo, senza un testimone; resta solo Lelle ad armarsi di caffè e pistola, a cercarla nella notte dal sole infinito. La moglie ha cercato, come possibile, di andare avanti: le medicine, prima, una nuova relazione poi; i social network, le veglie e le magliette. Ma per Lelle, non è abbastanza. Nulla lo è.

Nella tranquilla cittadina del Nord, dove il sole non tramonta mai in estate, cosa può essere successo a Lina nell’arco di quindici minuti? Lelle si è abituato a non guardare, a non sentire, a non lasciarsi toccare dalla felicità, dalla vita altrui: è la strategia che ha trovato per difendersi dal dolore e dal rimpianto, per fingere una continuità che la scomparsa di Lina ha inesorabilmente interrotto. E’ un uomo arrabbiato, perché nessuno sembra ascoltarlo davvero e tutti intorno a lui sembrano vederlo come un pazzo. Nessuno lo capisce, nessuno legge nei suoi occhi vuoti la speranza di passare dinanzi alla fermata del bus e trovare Lina sorridente. Solo lui, e il suo dolore. Ma tutto cambia con la scomparsa di una ragazza di diciassette anni, Hanna, così simile a Lina che riaccende in Lelle la speranza di un nesso, di un dettaglio che possa riportare a casa la sua bambina.

Parallelamente, conosciamo Meja e Silje, mamma e figlia di Stoccolma, alla ricerca di una vita nuova nelle foreste infinite del Nord. Cosa le ha spinte qui? Che vita hanno avuto le due donne? Attraverso lo sguardo della giovanissima Meja, entriamo nel suo mondo, fatto di mancanze e di fragilità, di responsabilità sbilanciate e di scene raccapriccianti, in cui una figlia è costretta a prendersi cura della madre. Un rapporto malato, una persona malata, Silje: dipendente, dall’alcol e dalle relazioni, è una donna disturbata e sola. Cosa spera di trovare nella baita isolata del suo vecchio amante?

Lo stile del romanzo è scorrevole e fluido: si caratterizza per la presenza di frasi brevi ed incisive, con una accurata ed acuta caratterizzazione psicologica dei personaggi. Dopo poche pagine, il lettore ha la sensazione di conoscere Lelle e Meja, e continua a leggere chiedendosi il nesso tra loro due, chiedendosi quando e come le loro strade convergeranno. La strada sarà proprio un punto di ritrovo per loro, un raccordo: sulla Via d’Argento, Lelle darà un passaggio a Meja, che ha scelto di abbandonare sua madre per trasferirsi a vivere dalla famiglia del suo nuovo fidanzato. Etichettati come “strani” dal villaggio, non appaiono tali agli occhi di Meja, che seppur giovane ha già dovuto convivere con lo stigma sociale del diverso: la famiglia di Carl- Johan si auto- sostenta, ha bandito la tecnologia per paura del controllo esterno, e vive in attesa dell’apocalisse. I genitori ed i tre figli maschi lavorano sodo e si sono chiamati fuori dalla vita sociale. Meja, che non vuole stare sola, e vuole provare a combattere la solitudine a modo suo: restia a fidarsi, qualcosa nel terzetto di fratelli che conosce al lago, la spinge fuori dalla sua naturale diffidenza, lontano dalla sua famiglia patologica, alla disperata ricerca di una cucina pulita e profumata, di una madre equilibrata che indossa abiti e prepara il pranzo … ma questo bisogno offuscherà la sua percezione degli altri?

L’ambientazione è magnifica: questi spazi aperti, in cui la natura, nella sua declinazione di foresta, suggestiona, abbraccia, arraffa, nasconde e spaventa personaggi e lettore; questo sole infinito che non offre tregua al giorno, che colora tutto di una luce suggestiva ma al tempo stesso , contrariamente a quanto verrebbe da pensare, non rivela i misteri del luogo. La luce è continua eppure non “svela”, non illumina su cosa sia accaduto a Lina prima e ad Hanna poi.

Il romanzo è intriso di riflessioni psicologiche e sociali interessanti: è presente l’analisi del sentimento della vergogna, che spinge a cercare riparo e rifugio in situazioni sconosciute, pur di non ricadere in precedenti comportamenti. La paura di restare soli, il desiderio di essere finalmente normali e di essere visti davvero, unitamente al bisogno viscerale ed umano di appartenere a qualcuno: queste alcune delle corde che il romanzo tocca, e l’autrice lo fa con una penne elegante, profonda, che emoziona il suo lettore. Da sottolineare la scelta di non dividere il romanzo in capitoli, quasi come un flusso di coscienza, un incalzante racconto che spinge il lettore a terminare per scoprire, per sapere.

E la rabbia, tantissima rabbia, che esplode tra le pagine e nella pancia del lettore: un senso profondo di angoscia e tormento per il senso di morte, che aleggia in tutto il romanzo. Rabbia per chi non ha voluto cogliere, per chi poteva aiutare, salvare e non l’ha fatto. E quel buio, quell’urlo profondo che squarcia la foresta illuminata che quasi si fa beffa del dolore umano. Una storia di malattia dell’animo che trova nell’ambientazione sconfinata dall Svezia estrema il suo luogo ideale e porta il lettore a riflettere sul tema dell’isolamento e della solitudine, fisica ma soprattutto psicologica.

Cosa si è disposti a fare per avere un po’ d’amore? L’autrice esordisce con un thriller potente e suggestivo, che cattura l’attenzione del lettore e lo immerge in atmosfere uniche e in complesse relazioni personali; la lettura è accompagnata da momenti di grande intensità emotiva e di angoscia serrante per le sorti dei protagonisti.

Forse era per quello che l ’amore era pericoloso. Non perché si diventava ciechi, ma perché si decideva di ignorare i segnali di pericolo

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