Vitriol

Vitriol

Buongiorno lettori! Oggi vi parlo di un romanzo fantasy davvero interessante, scritto da Antonella Giacona ed edito da Elpìs Editrice, che ringrazio per l’invio della copia. I miei complimenti al lavoro di questa Casa Editrice sia per la copertina stupenda, sia per il lavoro di editing e per la scelta di autori che hanno spessore e qualità.

TRAMA

Alice si trova a metà tra due mondi: il nostro, al quale lei appartiene, e la dimensione elementale, in cui i quattro elementi sono delle forze vive, governate dal Sole. Nella dimensione elementale c’è appena stata una guerra e Alice si ritrova seduta sul prato, mentre tutto tace, con un corpo evanescente che avrebbe dovuto evitarle qualunque ferita. Sta ancora tentando di calmare le proprie emozioni, di comprendere quello che è davvero successo, quando riceve un ciondolo d’ambra e, insieme a questo, un ruolo importante: raccontare la storia che ha vissuto. A quel punto, non potrà fare a meno di assecondare quel qualcosa dentro di lei che ama le storie. Leggerle, scriverle, tutto. Inoltre, vuole che gli altri sappiano della guerra, della vittoria. Gli altri: gli esseri della dimensione elementale che vivono indisturbati nel nostro mondo. Alice non sceglie di inventare una storia, ma di viverla. Attraverso frammenti di un mondo.   Così è iniziato tutto. Con un foglio bianco.Chi ha dato al bianco il significato della vita deve aver avuto in mente una pagina bianca: la prima. Io, almeno, la penso da sempre così.Allora mi sono messa a scrivere, a riempire questa terrificante pagina con le prime parole.

Alice è una giovane ragazza con una grande passione: i libri fantasy. Ama leggerli, e sogna da sempre di riuscire a scrivere un suo romanzo. Quando si troverà catapultata in un mondo magico, prostrato dalla guerra, un personaggio per lei fondamentale le farà dono di un ciondolo dalle doti speciali: in esso, saranno contenuti Frammenti di memorie e ricordi, che le permetteranno di comprendere meglio la terra magica e di poter finalmente scrivere la sua storia. Non è chiaro da subito il collegamento che Alice ha con questo mondo, né come vi abbia avuto accesso: è lampante invece il suo desiderio, e al tempo stesso il grande timore, di approcciarsi al racconto di questa storia, che appare per lei carica di significati. Alice vive la scrittura in modo molto maturo: per lei, è un modo per scandagliare l’animo umano e affrontare il dolore; il suo approccio al racconto altrui è sempre in punta di piedi, con il timore di invadere e deturpare la storia con la sua voce. D’altro canto, scrivere è una necessità quasi fisica per lei, e la scelta di questa storia nello specifico è in un certo senso obbligata. Crescerà, infatti, pagina dopo pagina, la consapevolezza di appartenere ella stessa al narrato, in una sorta di fusione con la storia: Alice non si vuole sostituire ai protagonisti che racconta, ma capisce di essere comunque il loro portavoce, l’unica capace di dare loro forma e importanza. Al suo rientro, fatica a riadattarsi ad un contesto normale, e colpisce di lei il suo atteggiamento: lungi dall’avere modi e moti irritanti o arroganti, Alice si dimostra una ragazza dotata di grande sensibilità ed intelligenza. E’ un personaggio positivo che mi ha colpita favorevolmente: matura, pur con le sue fragilità, Alice mostra una caratterizzazione ben precisa che la rende coerente e vivida agli occhi del lettore; le sue paure, i suoi tentennamenti, la sua rabbia, sono compatibili con il modo in cui l’autrice ce la descrive senza renderla fredda o distaccata. Alice non riesce a distinguere, inizialmente, la se stessa che vede attraverso il frammento dalla se stessa reale ma sa bene di non poter in alcun modo influenzare quelle memorie che appartengono al passato: il suo sguardo sembrerebbe quindi passivo ma in realtà, quello che colpisce è la caleidoscopica forza dei sentimenti che lei vede attraverso i frammenti. Metaforico del suo coinvolgimento sempre più intensivo nella storia è che, ad un certo punto, separare le due realtà sarà difficilissimo e vi sarà una sorta di permeabilità tra le dimensioni: così Alice riporta fisicamente i segni degli avvenimenti altrui, e i personaggi del mondo magico possono lasciarle dei messaggi nel mondo umano. Questo la turba, certo, ma Alice capisce che è proprio quello il suo compito: il viaggio che farà nella mente e nel cuore di Meracus, Dorotea, Medeor e Aither, diviene pretesto per l’autrice per far compiere ad Alice stessa un viaggio interiore e personale. L’abbattimento della barriera rappresentata dal ciondolo , “tramite di memorie“, per fare incursione nella storia magica, rappresenta un momento chiave nella vita di Alice che si chiederà perché le accade.

Alice riesce ad accedere al mondo “altro” anche attraverso la dimensione del sogno: questo invito che l’Universo le riserva, aprendosi per lei e alla sua vista e permettendole di raccontare la storia, rende Alice una persona nuova e diversa, legittimando il suo bisogno di esserci, di dire chi è e di trovare un proprio posto nel mondo che non corrisponda solo a cosa vogliono gli altri per lei, ma sia una scelta. Liberando la storia di Meracus, attraverso il potere salvifico della parola, Alice libera se stessa. La sua esperienza di vita è attraversata dal dolore che lei affronta a testa alta: la ragazza è da tempo in cura da una psicoterapeuta. Il rapporto e lo spazio che l’autrice pensa per il rapporto di cura è trattato in modo approfondito e competente , cosa non sempre facile né scontata: ho apprezzato moltissimo le scene con la sua dottoressa, la loro interazione, il loro lavoro.

Alice è allora depositaria di conoscenze e di memorie, confluenza di ricordi potenti e di storie che meritano di essere raccontate: in un parallelismo costante tra Io Narrante, Alice come oggetto/soggetto della storia, il narratore si rivolge direttamente al lettore, lo invita a riflettere, ad analizzarsi tramite il lavoro di Alice e della sua dottoressa. Alice racconta anche la sua storia, in prima persona e attraverso un flusso di coscienza che denota la sua urgenza di dire: il suo mondo famigliare e personale viene mostrato al lettore senza fronzoli; Alice mostra la sua umanità quando si arrabbia con la madre centrata sul proprio lavoro ed assente, o quando Lucy, sorella adottata, scompare misteriosamente. Il suo bisogno di affetto è fortissimo e la sensazione di sentirsi poco adeguata ad alcuni contesti traspare nettamente al lettore: ma proprio narrando questa storia, scoprendo il legame che ha con lei, perdonando ed accettando, scendendo in guerra e nel dolore, che Alice risorge e si ritrova. Il percorso è ancora lungo, dinanzi a sé, ma quella speranza finale, quell’incontro con Matteo ed Alyssa e con la potenza della musica, sono indicativi di un processo di crescita ed evoluzione enorme che lei compie: si mette in discussione, ci prova.

Il romanzo contiene tanti e plurimi livelli di interpretazione e di analisi, tante angolazioni e visioni tramite cui leggere la storia: lo stile dell’autrice è interessante e suggestivo, sia quando parla del mondo magico, sia, soprattutto, quando descrive la dimensione individuale della protagonista. Mi ha coinvolta ed emozionata, riuscendo a toccare corde che sento molto personali; ha trattato argomenti che mi stanno particolarmente a cuore con garbo, con grande competenza lessicale e approfondimento.

E’ come se lei avesse costruito per me un ponte attraverso il quale posso raggiungere le stanza, le vite degli altri.

Quale modo migliore per descrivere e parlare della stanza d’analisi, luogo spesso sconosciuto e anche un po’ temuto; l’autrice, invece, lo rende per quello che è , spiegandolo in modo semplice (ma non banale, mai) anche a chi non si è mai relazionato ad esso.

E la metafora/ suggestione del ponte si ricollega anche alla presenza dell’elemento fantasy: esistono tanti mondi e tante dimensioni, ed in particolare, dopo una sanguinosa guerra, il mago più potente crea un ponte proprio per separare la dimensione umana da quella elementale, più vicina alla Natura. Chi nasce dotato di magia elementale è collegato ad uno degli elementi della Natura, che è di fatto la fonte ed il fulcro di tutto; si consuma, però una lotta tra Bene e Male, tra magia elfica e magia proibita. Un personaggio malvagio, l’Alkaid, vuole conquistare le terre tramite il suo temuto esercito, gli Antares; peggio, vuole creare un erede perfetto, non generato ma plasmato sui suoi desideri e sulla sua visione corrotta del mondo. Quando rapisce la principessa della Terra di Sole, Dorotea, scoprirà che l’elfa è incinta e farà di tutto perché il figlio Meracus diventi il suo successore. Ma la magia del bene è potente e quando Meracus si rivelerà essere diverso rispetto alle aspettative dell’Alkaid, ci sarà da tremare. Una figura misteriosa farà dono a Meracus di un ciondolo con incisa la parola Vitriol: che significa? Chi è davvero Meracus? Enigmi e misteri, creature magiche e fantastiche, popolano il mondo degli Elfi, descritto davvero bene dall’autrice.

E’ chiaro il lavoro e lo studio che sta alla base di questo testo, in cui la dimensione fantastica è presente sì nella costruzione di un mondo “altro“, ma la vera magia, per me, è rappresentata dal coraggio di Alice di accettarsi, di mettersi in gioco, di essere serena. Sono evidenti i riferimenti culturali presenti nel romanzo, che attingono dalla filosofia e dalla letteratura classica: in particolare, mi ha colpita l’utilizzo delle frasi sulle tazze che usano Alice e suo padre, e che denotano un bel rapporto tra loro due. Il loro modo di comunicare e di dirsi anche attraverso la scelta della “frase del giorno” fa capire quanto Alice sia sostenuta dal genitore, che ha creato per lei uno spazio protetto, in primis dentro di sè.

Mi spingerei a dire che il fulcro della storia sia la “parola” che in ogni sua declinazione, scritta o parlata, salva; che sia sotto la forma di testo musicale, di frase su una tazza, di lettera, romanzo, o di comunicazione verbale, è potente.

Un messaggio positivo e pulito, che mi è arrivato in modo diretto: dopo l’ultima pagina ho continuato a riflettere e ragionare. La sensazione che ho portato con me è che vorrei che Alice fosse reale, per abbracciarla e per dirle che ce la farà!

Il dolore è il segno della vita, lo diceva Epicuro nell’antica Grecia: non dobbiamo avere paura del dolore, perché se lo proviamo sicuramente non siamo morti.

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