Review Tour: Binti

Review Tour: Binti

Buongiorno lettori! Oggi Review Party dedicato alla nuova uscita “Binti“, raccolta di tre romanzi brevi e un racconto, scritta da Nnedi Okorafor ed edita da Mondadori nella collana Oscar Fantastica. Ringrazio la Casa Editrice per la possibilità di leggere questa novità in anteprima.

TRAMA

BINTI EKEOPARA ZUZU DAMBU KAIPKA di Namib è una ragazza di etnia Himba, talmente brava in matematica e nella tecnica dell’astrolabio da venire selezionata per frequentare la prestigiosa Oomza University. È l’occasione della vita e così, nonostante la contrarietà della sua famiglia, e le radicate tradizioni della sua terra, Binti fugge dal villaggio in cui vive e si imbarca sulla Terzo Pesce per intraprendere il viaggio interstellare verso Oomza. Ma tutto cambia quando le Meduse, feroci creature belligeranti, attaccano il veicolo che la ospita, uccidendo l’equipaggio, i passeggeri, gli altri studenti che Binti ha appena conosciuto. La giovane si trova così a doversela cavare da sola, intrappolata su un’astronave piena di esseri assassini, per cinque lunghi giorni prima di raggiungere la meta. Ma chi sono le Meduse? Binti scopre che dietro la loro storia, e la guerra che hanno scatenato contro i Khoush, si nasconde molto più di quanto non appaia. E ora una serie di compiti piuttosto gravosi le si para davanti: sopravvivere alla trasferta, proteggere gli abitanti del pianeta su cui ha sede l’ateneo; e provare a usare i propri ineguagliabili talenti per porre fine a un conflitto sanguinoso.

Noi Himba non viaggiamo. Noi restiamo dove siamo. La nostra terra ancestrale è vita; allontanarsi da essa significa appassire

Il rapporto con la terra, intesa sia nella sua accezione fisica di argilla rossa, sia nella sua accezione ideologica di senso di appartenenza, è molto presente, sin da subito nel romanzo. Binti, figlia di una famiglia numerosa, è la prima Himba a decidere di andarsene; ha solo 16 anni ed è l’unica del suo popolo ad essere stata ammessa in una prestigiosa università. Gli Himba, di solito, non si avventurano così oltre, si limitano a fare quello per cui sembrano destinati; nello specifico, la nostra Binti è dotata di un dono importantissimo, in quanto è una maestra armonizzatrice. Questa sua qualità la rende la degna erede di suo padre, costruttore di astrolabi. Binti, però, vuole di più e quindi, furtivamente, si sottopone ai colloqui per entrare nella selettiva università situata su Oomza Uni, che accetta solo il 5% di iscritti umani; passa la selezione e viene ammessa, fugge nel cuore della notte per prendere uno shuttle che la porterà ad intraprendere un viaggio interstellare che le cambierà la vita. Sulla nave Terzo Pesce, Binti inizierà a legare con gli altri studenti, futuri compagni di corso, ma all’improvviso, un evento bellicoso, sconvolgerà il lungo ma ben pianificato viaggio verso l’università: le terribile Meduse, nemiche giurate della popolazione Khoush, attaccano la Terzo Pesce, compiendo una strage. Solo Binti, miracolosamente, sopravvivrà e scoprirà il potere di un edan, oscuro oggetto trovato nel deserto quando era piccola. Binti affronterà il panico, la paura per la propria incolumità e il trauma; ma imparerà anche a guardare oltre, a prescindere dai preconcetti che la vogliono nemica della strana Medusa Okwu. In un crescendo di avventure ed imprese, Binti cercherà di salvare il suo popolo e la sua famiglia, facendosi portatrice di pace ed armonia in un mondo che però fa della paura dell’ignoto un proprio tratto distintivo.

Binti, legatissima alla tradizione della sua tribù che ricorda le culture africane, è abituata a cospargersi di otjize, una mistura di argilla rossa tipica del suolo della sua terra di provenienza, e oli di fiori locali; la sua tribù usa questo particolare unguento per lavarsi, poiché scarseggia l’acqua. In particolare, solo le donne lo adoperano ed è considerato molto imbarazzante nonché caldamente sconsigliato, mostrarsi senza otjize. Binti si percepisce nuda senza questo miracoloso unguento: emblematico il potere curativo di una sostanza figlia di un territorio chiuso mentalmente! Sarà proprio l’otjize cosparso sulle treccine di Binti a salvarle la vita nell’incontro con Okwu. Quei capelli che la definiscono, proprio come l’ungento argilloso, che la rendono riconoscibile e che la sottopongono allo sguardo giudicante dell’altro, intrecciati secondo complesse sequenze matematiche, segneranno il primo momento di svolta per la vita della ragazza.

Il legame profondo con la terra – madre e origine di tutte le cose – è significativo anche nel nome che ha la casa di Binti, abitata dalla sua famiglia da generazioni: Radice, richiamo primordiale a una connessione con il terreno, centro e fulcro della famiglia stessa ma anche punto di riferimento per il villaggio. Binti non è solo figlia della sua famiglia, ma anche del suo popolo.

Ero una confluenza di mondi

Ogni persona che Binti incontra nella sua vita ha una propria visione della ragazza: chi la vorrebbe legata a tradizioni, chi sta cercando di capirla, chi ne rivendica l’amicizia e chi la discendenza. Quasi nessuno si preoccupa di chiedere a Binti come sta, cosa sente, come si vede. E Binti pur soffrendo di questa cosa, è così imbrigliata in quella vita, in quella modalità relazionale, che vive con senso di colpa enorme ogni deviazione dal binario già stabilito per lei. Compiacere tutti è uno sforzo enorme: Binti comprende razionalmente, ad esempio quando torna a casa, che la sua famiglia sta reagendo male nei suoi confronti, urlandole contro accuse campate per aria e ingiuste verso lei che vuole solo essere libera di fare le sue scelte ( andando a studiare altrove e scegliendosi i propri amici); ma emotivamente, non riesce a controbattere, e si avvilisce. Tutti le rinfacciano di essersi lasciata in qualche modo cambiare sia dal pianeta ma soprattutto dalla frequentazione con Okwu, che viene vista come una nota di demerito e biasimo. Binti non vuole deludere nessuno, soprattutto il suo papà che in lei vedeva una continuità lavorativa e all’interno della tribù; tuttavia, crescere implica proprio quel processo di individuazione che può avvenire solo tramite la differenziazione. Come tanti giovani, Binti deve prendere le distanze – metaforicamente, ma Binti lo fa anche fisicamente – dalla sua origine: non per allontanarsene, per rinnegarla, ma per integrarla.

E integrazione è una delle parole cardine di questo romanzo, intesa non solo come integrazione tra culture, etnie, specie umane ed aliene- obiettivo non ancora raggiunto ma sicuramente auspicato; integrazione, in primis, di aspetti di se stessi che, in un’ottica di crescita personale, compongono la personalità matura. Così Binti è crocevia di culture, transizione di mondi, prototipo di una multiculturalità che nessuno è ancora pronto a vedere. Accettare la presenza di parti “altre”, capire che il tutto è molto più della semplice somma delle parti e che sono le azioni a definirci, più che la nostra provenienza … beh, è un processo lungo ma necessario, per crescere. E Binti attraversa nei vari romanzi brevi tutte le varie fasi: rabbia, diniego, accettazione. Io sono questa– sembra dire la ragazza: Himba, medusa, eroina, matematica, armonizzatrice, discendente di un’antica razza, figlia, amica… una parola su tutte: io sono una persona.Ho apprezzato molto che nel testo l’autrice si rivolga sempre ad ogni personaggio- umano o alieno- col termine di persona: sicuramente è evidente l’importanza che ha per l’autrice la tematica dell’accettazione. L’approfondimento psicologico, sociologico e antropologico che l’autrice ha dedicato alla stesura dei romanzi e alla nascita di Binti come protagonista è lampante.

Binti, sopraffatta dagli sguardi ilari e diffidenti della gente, abituata ad essere nota a margine, si scopre eroina. Scopre che non vuole tacere né nascondersi, e lo fa proprio quando capisce che integrazione non è omologazione, ma risalto delle differenze. Quando coglie in lei gli aspetti così complessi, stratificati, della sua personalità, quando li riconosce, li esamina, li nomina e li accetta … Binti esplode. E grida al mondo: io esisto, io ho qualcosa da dire. E la sua voce arriva dritta all’obiettivo.

Questo percorso si declina anche in un viaggio non solo fisico- geografico, ma attraverso il passato: messa a conoscenza di una memoria storica collettiva e condivisa, Binti viene ammessa ad un sapere diverso, messo a punto per prepararla a quello che sembrerebbe essere il suo destino.

Ma Binti lascerà che siano le voci degli altri a parlare per lei? O griderà la sua indipendenza? Quando le sembrerà di aver perso tutto, continuerà a lottare per ciò in cui crede?

Binti dice: io voglio solo “essere“. E in quella parola, l’autrice racchiude lotta sociale, lotta individuale, tutto.
Il mondo creato dalla Okorafor è qualcosa di strabiliante: colpisce per la sua originalità, pur attingendo ad elementi reali, come le tribù a cui si ispira per descrivere Himba e altre popolazioni, inseriti in un contesto che abbraccia passato e futuro; intesse una trama complessa ma avvincente. Dai pianeti, alle culture, dalle specie, all’organizzazione sociopolitica, dalle interazioni tra le specie alle prospettive di vita, fino alla lingua e alla cosmogonia propria di ogni popolo (concentrandosi sulla religione degli Himba che venerano i Sette), tutto nel romanzo si incastra ed affascina il lettore. L’autrice dimostra una grandissima padronanza lessicale e una attenta e precisa costruzione del suo mondo; lo stile è gradevole, e segue l’impeto della storia, descrivendo e raccontando al momento giusto ciò che serve al lettore. Questo è un romanzo chiaramente di fantascienza per ambientazione: tra razze aliene, shuttle, spazio, sistemi di comunicazione particolari (come l’astrolabio), l’autrice però vi inserisce tematiche non banali, che riesce a trattare con grande empatia e approfondimento psicologico. La fatica di Binti a inserirsi in questo mondo nuovo, la sua determinazione a provarci nonostante tutto, la sua apertura all’altro anche se con paure e quesiti morali, rendono Binti una ragazza con cui il lettore si immedesima. Binti imparerà ad abbattere i suoi pregiudizi, muri di gomma contro cui anche gli altri si “scontrano” quando guardano a lei. Non è facile lottare contro l’ottusità della gente: l’ altro fa paura e la paura rende malvagi. Ma dopo tutto il dolore, dopo la guerra, sotto gli strati di odio … Binti riesce a riconoscersi, a ritrovarsi: è pronta per il suo cammino glorioso, che lei stessa può plasmare. In lei convergono razze, aspettative, ma Binti ora può decidere chi essere, liberamente.


Che tu indossi l’otjize o no, io sto semplicemente guardando te.

L’introduzione scritta da N.K. Jemisin è un ulteriore valore aggiunto alla potenza di Binti, eroina indiscussa di questi romanzi brevi. Il taglio nettamente antropologico che Jemisin propone per spiegare ed introdurre il mondo creato dalla Okorafor, mostra una tale competenza da risultare essere un piccolo gioiello all’interno di un’opera di fantascienza che va oltre la fantascienza. Mi ha emozionata, incuriosita e predisposta alla lettura di Binti con animo risoluto, certa di incontrare nella pagine determinazione e forza di volontà; un’eroina che non ha paura di essere chi è, di affermarsi al mondo, senza timori. Un inno alla libertà di esprimersi attraverso il corpo e con il proprio corpo, senza limiti.

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